Lù, quando l’elettronica va a braccetto col vintage più pregiato
In uscita Lù, il secondo album del molisano Kory Walt Blek: un caleidoscopio di stimoli ed emozioni prodotto da un giovane talento
Due album in otto mesi. Quasi un record. Roba che capitava negli anni ’60 e nei ’70 e a pochi, come nel caso dei Led Zeppelin, che sconvolsero il mondo con i primi due album, lanciati praticamente back to back, o in quello dei Black Sabbath, che fecero altrettanto.
Oggi iperprodurre non è un problema. O meglio, lo è meno di allora. Il problema, semmai è la qualità.
Per Kory Walt Blek, al secolo Corrado Cerano, un ventunenne di Campobasso, conciliare le due cose non è stato difficile: il suo recentissimo Lù, uscito a metà settembre, riprende e sviluppa in chiave elettronica gli spunti di Timeless, l’album di esordio uscito a gennaio.
Gli spunti non sono pochi né banali: si va da Bowie ai Muse, passando per gli Zeppelin e i Pink Floyd, il tutto mescolato con la capacità d’ascolto irriverente e priva di pregiudizi tipica dei millennial. Già, perché millennial non vuol mica dire ignorante. Kory, ad esempio, ha già una notevole base artistica, in cui gli studi musicali (pianoforte classico e jazz al Conservatorio e poi, da autodidatta, un po’ tutti gli strumenti) si mescolano a quelli visivi.
Non a caso è un tuttofare, capace di curare tutta la sua produzione, dalla musica alla grafica e ai videoclip con pignoleria maniacale.
Qual è la differenza tra Lù e il suo predecessore? L’aspetto più vistoso è l’elettronica, che irrompe negli arrangiamenti classicheggianti assieme ai suoni più tipici del rock. Un esempio di questa nuova formula è Deepest Love, il secondo singolo tratto da Lù: qui la chitarra, una bella Gibson Les Paul nera spara un assolo lancinante su un tappeto di archi e di synth, il tutto ritmato in maniera tenue da una batteria elettronica vecchia maniera. Altrettanto convincente Perfect Lover, una ballad romantica anni ’70 dove violini ed elettronica vanno a braccetto, anzi si sposano letteralmente. Qui e lì fanno capolino i Muse, come nel Rondò finale, una mini opera divisa in tre brani, dove Kory cala tutti gli assi del suo repertorio: dai controtempi agli strumentali alle voci sovraincise e arrangiate in chiave sinfonica.
L’omaggio agli anni ’70 non poteva essere più completo, dato che Lù, a modo suo, è anche un concept album: tutti i 13 brani che lo compongono ruotano, appunto, attorno alla figura enigmatica di Lù, una specie di entità metafisica: né umano né alieno. Una sorta di angelo che recepisce tutto con la curiosa e dolce voracità di un bimbo.
O di un millennial. Perché i millennial come Corrado hanno un vantaggio rispetto a chi è più anziano di loro e ha consumato il rock fino all’assuefazione: il privilegio di vivere la musica senza condizionamenti temporali, grazie alla straordinaria sincronia della rete.
C’è da aspettarsi solo che tanta irriverenza, che si traduce in una capacità (che già è possibile cogliere) di rimescolare bene le carte, si traduca in maturità e quindi, nella capacità di creare qualcosa di nuovo, perché l’innovatività nel caso di Corrado non basta.
Nel frattempo, godiamoci pure Lù.
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