Sette donne scarlatte. Cesario racconta i Noah
La band cosentina si muove tra cantautorato e rock. Il loro album d’esordio è un concept dedicato al mondo femminile.
Noah è un progetto musicale ideato da Tullio Cesario, voce e chitarra, accompagnato da Rodolfo Capoderosa alla chitarra e Giuseppe Paese al basso. Il loro album d’esordio, Lettere scarlatte, risale a tre anni fa. È una specie di concept che racconta sette figure femminili, con un approccio rock e un’elaborazione cantautorale. A breve Cesario darà alle stampe un libro, al quale sarà allegato Venezia, il suo nuovo singolo.
Il percorso su cui si sviluppa il percorso di Noah come potrebbe definirlo?
Il progetto Noah nasce dalla voglia di fare una cazzata così grossa da non potere più salvarsi. Ho trovato degli amici musicisti che mi hanno accompagnato in questo suicidio che è la mia musica. Che è poi la mia unica capacità di trasmettere qualcosa al prossimo. So che può sembrare sopra le righe, ma è la pura verità. La musica e la scrittura sono il mio unico sfogo.
Nel brano Per non perdere il tema centrale è dal tempo: «Ieri non sarà mai più di domani, non voglio il tempo per rimpiangermi», come intendi questo concetto?
Potrei riassumere il concetto con: è meglio un rimorso di un rimpianto. L’idea è che il tempo sia l’unico strumento che abbiamo per riuscire in ciò che vogliamo. Perciò è inutile nascondersi dietro il tempo per accontentarsi.
Ne Il complesso di Elettra emerge la nostra tendenza al conflitto fra la speranza del futuro e la malinconia del passato. Non basterebbe, invece, fuggire le esperienze negative per lavorare su se stessi?
Certo. Ma ne Il complesso di Elettra c’è il mio modo di considerare l’universo femminile: esattamente uguale a quello maschile
Le Lettere scarlatte infatti raccontano l’universo femminile…
Le donne sono uguali a noi. Gli stessi istinti e le stesse passioni. La stessa voglia di evadere e di sbagliare. Ma le racconto trattandole con delicatezza. Perché rispetto a noi hanno in più la fragilità. Nel senso che tutto dentro di loro è amplificato, e questo va trattato con gentilezza.
Hai dichiarato: «Si scrive una canzone perché si vuol dire qualcosa e non sempre si è capaci di riuscirci in poco più di tre minuti». Parli di odio e di amore maturati attraverso pancia, cuore e testa. Ma la scrittura può essere aggressiva, rassegnata oppure propositiva. Per rientrare nei famosi tre minuti, quale registro pensi sia più funzionale?
Tutti e tre. Dipende solo dallo stato d’animo del momento e da quello che si vuole confidare a chi ascolta. E in questo la musica ci viene in soccorso con le tonalità minori o maggiori. Ovviamente anche con i riff. Le tonalità minori si usano per trasmettere tristezza, quelle maggiori per infondere allegria. Personalmente i riff più cazzuti li uso per esprimere rabbia. Ma in mezzo ci sono tante altre sfumature, come l’ansia generata dai sospesi, le tensioni. La musica ha il suo bel linguaggio, completo e complesso.
Puoi dire qualcosa in più sul disco e sul libro di prossima pubblicazione?
A metà aprile uscirà il mio libro con l’ultimo singolo dal titolo Venezia che sancisce un nuovo ciclo e un nuovo lavoro. Il disco è stato coprodotto con Alkatraz Label. Il libro è un picture book che cambia le regole sui punti di vista, come lo ha definito la casa editrice. È uno sguardo impietoso dentro sé stessi nelle peggiori notti, aggiungo io. È uno sfogo senza le correzioni narrative. Pensieri feroci scritti così come sono pensati. D’impulso, come se nessuno ascoltasse. Tutto condito con altrettanti disegni di me, che in un secondo momento ho ceduto a un illustratore, Francesco Caporale, alias Fra!, che ha saputo tirar fuori l’essenza di ogni parola. Il progetto è nato da una sfida lanciatami dalla casa editrice. Le Pecore Nere Editorial, che ha sempre apprezzato la mia scrittura e mi ha spronato a non smettere di sfogarmi. Sono una realtà all’avanguardia e internazionale. Maria Pina Iannuzzi, italiana, e Regina Cellino, argentina, pubblicano autori la cui scrittura abbia un’impronta glocal. Sono opere che nascono in un territorio definito ma che, al tempo stesso, sono capaci di suscitare interrogativi su questioni universali. È stato un onore accettare questa sfida, che ha comportato l’onere di non sfigurare nella loro scuderia, che vanta autori eccelsi. Ed è per questo che ho deciso di regalargli il mio ultimo singolo, che sarà allegato al libro. È la mia personale chiave di lettura e l’inizio di una nuova avventura.
Il nuovo disco, che include il brano Venezia, come si differenzia dal primo lavoro discografico?
Il singolo uscirà a metà aprile, con il libro e nella presentazione anche qualche altro brano. Poi il video di cui sto scrivendo la sceneggiatura. Non so etichettarlo in realtà. Forse meno rock e più indie, nel senso attuale del termine, anche se indie lo sono sempre stato. Più punk, nel senso letterale e non di genere del termine. Di certo meno acustico perché senza batteria. E io che abbandono uno strumento che non ho mai imparato a suonare, la chitarra, per maltrattarne un altro che non ho mai suonato, le tastiere. Ma senza la presenza della batteria acustica. Perché sto lavorando con dei suoni elettronici da miscelare con le nostre chitarre, il basso e le tastiere. Ritornando al termine indie, in questo caso posso dire che lo uso nell’accezione più pop, ma finalmente nel senso di popular. E cioè per tutti. Non più un significato negativo.
(a cura di Fiorella Tarantino)
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