Improvvisazioni divertenti. Gli Animatronic si raccontano
Il trio lombardo, side project di Luca Ferrari dei Verdena, fa il punto sul particolare approccio alla composizione adottato nell’album d’esordio Rec
Gli Animatronic si formano nel 2018: su iniziativa di Luca Ferrari, il batterista dei Verdena, del chitarrista Luca Worm Terzi, chitarrista, e del bassista Nico Aztori. Tutto inizia da una serie di jam del fine settimana. Poi, dalle improvvisazioni sono usciti gli spunti per i brani registrati di Rec, il primo disco strumentale uscito a novembre 2019 per l’etichetta indipendente La Tempesta Dischi.
L’album è anticipato dal singolo Fl1pper#, accompagnato dal relativo videoclip videoclip. Da qui segue un tour italiano di tre mesi. Parliamo direttamente con i tre protagonisti di questa avvenuta musicale.
L’animatronica è la tecnologia che fa muovere i pupazzi robotici. Il vostro impulso creativo nasce dalla passione e dal divertimento. Un dato che sembra cozzare col vostro nome. Quindi nella vostra musica non c’è spazio per nessuna regola, visto che si tratta di improvvisazione? Oppure lo sconvolgimento dei canoni deriva semplicemente da una conoscenza approfondita delle regole?
Nel nostro caso la pura passione per la musica ha stimolato la nostra creatività. Siamo arrivati pian piano, attraverso l’intuito, alla creazione delle canzoni e alla scelta dei suoni.
Il disco è stato registrato in presa diretta, ma alle spalle avete avuto tante giornate di prova, che in realtà erano pomeriggi di svago. Quanta improvvisazione c’è davvero nelle vostre tracce?
I pomeriggi in cui siamo trovati per le jam session erano delle vere e proprie prove: siamo arrivati a registrare pronti e consci di quello che facevamo. Anche perché il tutto si è svolto in tempi brevissimi: due pomeriggi e mezzo di registrazione. Il prodotto ha avuto una lunga maturazione, poi la registrazione è stata veloce e questo ci ha evitato tanti ripensamenti. Abbiamo avuto tanti dubbi sulla riuscita dei pezzi. Ma poi in un secondo momento sei quasi felice delle imperfezioni.
Voi provenite da esperienze diverse. Come siete riusciti a convergere in un unico progetto?
Giocando. Ci siamo trovati e abbiamo provato. Il risultato ci è piaciuto, una cosa che non succede sempre. Tutto dipende da quanta voglia hai di fare le cose insieme. Tutto è nato da un istinto verso la musica a prescindere dalle precedenti esperienze musicali.
Non ci siamo ispirati nemmeno a nessun artista in particolare, sebbene molti ci abbiano accostato a gruppi come i Battles.
Ritmi briosi e citazioni psichedeliche. Assenza quasi totale dei testi. L’unica voce è la musica. Oggi quanto è difficile rendere unica protagonista la musica nel mercato major e in quello indipendente?
La nostra idea era proprio questa, cercare un equilibrio tra musica psichedelica e ritmo. Non abbiamo lasciato spazio a momenti di musica lenta. L’assenza del cantato non è mai stato un problema. Anzi, non l’abbiamo mai considerato un’opzione. Certo non era nostra intenzione fare uno strumentale lungo, anche in modo inconsapevole e senza dircelo. In modo naturale abbiamo avuto un’idea concisa e serrata, senza dare spazio alla noia e senza perderci nelle divagazioni di certa psichedelia. A livello di mercato sappiamo quanto può essere difficile lanciare un disco strumentale, tant’è che inizialmente non pensavamo nemmeno di registrare. Ma per fortuna abbiamo trovato un’etichetta aperta a questo tipo di ricerche sonore.
Come nascono i titoli dei vostri pezzi? Che significato danno alla musica dei pezzi?
I titoli sono nati tutti durante la lavorazione del pezzo: ci veniva un’idea e la mettevamo ai voti. Inizialmente i brani erano numerati senza alcuna motivazione (ad esempio La7). Oppure, mentre registravamo ci siamo resi conto che il nastro era finito a circa tre quarti di un pezzo ed ecco che è nato il brano Fuori nastro. In un secondo tempo ci siamo affidati alle sensazioni che poteva trasmetterci un certo tipo di ritmo: Dcp era all’inizio Dichiarazione di Conformità. Invece 6sbarre era stata scritta su un foglio con, appunto, sei sbarre.
È la copertina? Da cosa è ispirata?
È solo un disegno che avevo, portato al grafico, il quale gli ha creato uno sfondo. Non rappresenta nulla di particolare. Certo ha molto impatto ed è in perfetto equilibrio con il retro. Nel logo che è riportato nella parte interna del disco viene rappresentata una navicella.
Rec è un’improvvisazione estemporanea o avrà un seguito dopo la fine del tour?
Siamo arrivati fin qui senza pensarci troppo. Ciò significa che il progetto ci ha appassionati tanto. Abbiamo la volontà di suonare e creare. In un altro momento e con delle tempistiche prenderemo altre decisioni. In scaletta abbiamo un pezzo in più rispetto al disco, 5(3)n.m., che ha una durata tale da stare su un sette pollici. Il pezzo è costruito su un loop, sul quale ci divertiamo a giocarci sopra. Potrebbe essere un nuovo singolo. Inoltre, c’è nell’aria l’idea di un possibile tour in Europa, e portare una nuova pubblicazione sarebbe l’ideale.
(a cura di Fiorella Tarantino)
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