Black Anima, una conferma di classe per i Lacuna Coil
La band milanese torna alle origini con un album duro e oscuro dalle sonorità moderne. I malesseri della mente raccontati in un’ora di metal ad alti livelli
È dolcissima come sempre, Cristina Scabbia, quando ricama coi suoi vocalizzi eterei il tappeto sinistro del piano su cui si regge Anima Nera, l’intro di Black Anima, ultima e validissima fatica dei milanesi Lacuna Coil, uscita in autunno per la Century Media.
Un’intro piena di atmosfera e di citazioni esoteriche, nella quale spicca un verso agghiacciante cantato a mo’ di nenia: «Cosa ne rimane della mia anima nera/anima nera…».
È l’incipit di un album che Andrea Ferro, voce maschile e fondatore della band, ha paragonato (forse non a torto) a un film horror.
Ma Black Anima può essere molto di più: è, o almeno ne ha l’aria, un viaggio nei meandri oscuri della mente. Una resa dei conti con traumi rimossi e mai emersi alla luce. Non è, e questo lo ha chiarito la band nelle numerose interviste che hanno accompagnato il lancio dell’album, un concept come il precedente Delirium (2016), perché l’unità tematica è piuttosto labile.
C’è da dire che anche i suoni sono diversi rispetto alla produzione precedente, di cui è senz’altro recuperata la modernità, grazie all’ottimo lavoro alla consolle dello storico bassista Marco Coti Zelati, coadiuvato da un fonico d’eccezione come Marco Barusso. Tuttavia, il songwriting vira con decisione verso le atmosfere gotiche delle origini, grazie all’uso massiccio, ben contestualizzato e mai invasivo dell’elettronica, che si sposa bene con l’impressionante wall of sound prodotto dal chitarrista Diego Cavallotti e con la ritmica martellante e versatile del batterista Richard Meitz, che non fa rimpiangere affatto il predecessore Ryan Blake Folden.
Ma torniamo all’album: come in ogni horror che si rispetti, alla sigla di testa segue subito il primo colpo di scena.
Al riguardo, Sword Of Anger risulta all’altezza delle aspettative: il feroce cantato in growl di Ferro si staglia durissimo sui riff compatti della chitarra e duella coi controcanti delicati della Scabbia, che si lancia in un coro arioso e delicato, in gradevole contrasto con l’arrangiamento, che cita ora gli Slipknot e ora i Korn.
Un giro di basso pesantemente effettato introduce Reckless, il secondo singolo tratto dall’album. Stavolta il riffing e la ritmica cadenzata strizzano l’occhio al doom e le parti vocali si invertono: Cristina fa gli onori di casa con gorgheggi vagamente orientali e Ferro si dedica ai controcanti in growl. Di grande effetto anche l’assolo di chitarra, che precede un break elettronico, unico attimo di respiro prima della parte finale del brano, in cui il coro è ripetuto in maniera ancora più ossessiva.
Grande varietà compositiva in Layer Of Time, il primo singolo apripista, in cui la band spazia dai riff ipercompressi in pieno stile djent ad atmosfere meno pesanti (ma non per queste più leggere) piene di rinvii al nu metal. Ancora ottimo il duetto Ferro–Scabbia.
Decisamente più morbida, Apocalypse è una bella vetrina per la vocalità cristallina della frontwoman, appena contrappuntata dal suo collega, che si limita a declamare alcune strofe in scream, quel che basta a ottenere un effetto simile a certo metalcore d’Oltreoceano. Ipermelodico e carico d’atmosfera l’assolo di Cavallotti, che cita Gilmour in maniera discreta.
La durissima Now Or Never riporta il sound dei Lacuna Coil sulle coordinate alternative tipiche della band. Il riffing durissimo richiama gli Slipknot più pesanti e il growl di Ferro è più aggressivo che mai. Solo i gorgheggi di Cristina, alla quale è affidato il coro, ammorbidiscono un po’ l’impatto. Ma è un’impressione temporanea, perché anche la Nostra si scatena in urla dure nel bridge che precede il violentissimo assolo.
La martellante Under The Surface alza la posta dell’impatto sonoro, grazie al grande dinamismo ritmico e alla varietà armonica, che ruota come al solito sulla contrapposizione tra il refrain duro urlato in growl e il coro melodico e arioso.
Con la suggestiva Veneficium i Lacuna Coil toccano l’apice goth dell’album: è senz’altro gotico il coro introduttivo, sono piene di richiami gotici le parti vocali di Cristina, protagonista assoluta del brano, e risulta affascinante anche la performance di Ferro, che stavolta usa una timbrica meno pesante.
A cavallo tra l’industrial e il nu metal la lenta The End Is All I Can See, una canzone tenebrosa in cui la voce della Scabbia risulta più chiaroscurata ed è accompagnata come si deve dalla voce maschile, che rinuncia al growl e risulta efficace anche sui timbri più puliti.
La melodica e orecchiabile Save Me racchiude un’anima pop in uno scrigno metallico. Le sonorità diventano quasi radiofoniche senza tuttavia cedere alle facilonerie gradite da certo mercato. Non a caso, il brano è il terzo singolo tratto dall’album.
Chiude Black Anima, la title track, che riprende la nenia dell’intro ma con un arrangiamento decisamente più corposo e pesante. Come da titolo, un gioiellino nero grazie al quale il quintetto milanese esibisce il suo aspetto più oscuro.
I Lacuna Coil tornano e non deludono. Né i propri fan storici né gli appassionati, anche i più esperti,
Black Anima è un lavoro compatto, vario e ben orchestrato. Una prova della maturità per i Lacuna Coil, che dimostrano una volta di più di aver meritato il successo internazionale, e per un ambiente musicale, la scena metal italiana, che ha raggiunto un livello di maturità forte, a dispetto dello snobismo di certa critica e dell’ignoranza di non pochi addetti ai lavori. Forse il rock made in Italy non sta troppo bene e rischia di essere fagocitato dal pop. L’heavy metal tricolore, in compenso, gode di ottima salute. E il quintetto meneghino lo ribadisce.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Lacuna Coil
Da ascoltare (e da vedere):
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