I Be Forest tornano con Knocturne e la notte gli sorride
Il trio pesarese vira sulla new wave più tenebrosa con l’ultimo album, in cui rileggono e aggiornano la lezione dei Cure prima maniera
Forse non sono iperproduttivi (tre album in circa dieci anni), ma in quanto a creatività non hanno bisogno di lezioni.
I pesaresi Be Forest sono tornati alcuni mesi fa con Knocturne, un album minimale e tenebroso, inciso per la label indipendente We Were Never Being Bored e missato da Josh Bonati, mago della consolle già al servizio di David Lynch, Mac DeMarco e Zola Jesus. E non è proprio poco.
I cinque anni trascorsi dal precedente Earthbeat non sono passati invano. Di certo non li ha sprecati il visionario chitarrista Nicola Lampredi, che si è dedicato ai Brothers In Law, altro inquietante progetto marchigiano di matrice noise pop. Ma non li hanno buttati via neppure la cantante-bassista Costanza Delle Rose e la cantante-batterista-tastierista Erica Terenzi.
Già: il trio è cresciuto a livello artistico, si è distaccato dalle infatuazioni tribali della precedente produzione e punta con decisione verso sonorità oscure debitrici di certa new wave (ad esempio, i Cure prima maniera e i Cocteau Twins) e dello shoegaze inquietante degli Spaceman 3 e degli Slowdive.
Sonorità più che internazionali, a riprova che partire dalla provincia non vuol dire essere provinciali.
Il tuffo nel buio è ribadito anche dalla scelta estetica (l’artwork di copertina, che raffigura un sipario nero scostato con delicatezza da mani guantate di bianco su uno scenario altrettanto buio) e dal nome (Knocturne significa bussata nella notte).
Ma la notte non è solo nel cuore, come rivela l’open track Atto I una microsuite strumentale che riporta il calendario indietro di trent’anni grazie ai ricami del basso distorto ed effettato su cui si innestano i delicati ricami della chitarra.
La ritmica carica di controtempi fa da legame con la seguente Empty Space che strizza l’occhio ai Cure di Pornography ma con quel pizzico di sensualità in più che le voci trasognate delle due frontgirl riescono a dare.
La batteria diventa martellante nella breve Gemini, dal refrain sognante e dal crescendo vagamente epico a cui le armonie distorte della chitarra aggiungono toni inquietanti.
Più pop oriented e melodica, K è un bell’omaggio alle sonorità dei tardissimi ’80, che non sfigurerebbe (visto che si è citato Lynch) in un remake di Twin Peaks.
Leggermente più vintage, Sigfrido combina alla perfezione una linea ritmica ipnotica marcata da un basso veramente oscuro e arricchita dai ricami della chitarra con un cantato etereo e delicatissimo.
Atto II, l’altro pezzo strumentale dell’album, fa un po’ da interludio grazie alle sue armonie dilatate a dismisura dall’uso abbondante dei riverberi e del delay, in perfetto stile ottantiano.
In Bengala il lirismo delle voci domina il tappeto sonoro basato su armonie aperte e delicate e su una ritmica, al solito martellante.
Fragment è un altro omaggio agli anni ’80, pieno di richiami ai papà e alle mamme del lato oscuro della musica, a partire dai Joy Division e da Siouxie.
I titoli di coda scorrono su You, Nothing, una perla oscura dalla bellissima melodia.
A volte è proprio vero che la mancanza crea l’attesa e l’assenza stimola il desiderio. È il caso dei Be Forest, che, subito dopo l’uscita di Knocturne, si sono imbarcati in un tour internazionale zeppo di date.
Segno che la notte, evocata con tanto garbo, gli sorride non poco.
Da ascoltare (e da vedere):
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