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Trasgressioni, elettronica e sesso made in Germany, tornano i Rammstein

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La band teutonica rompe il suo silenzio discografico di quasi nove anni con un album omonimo, che ha spaccato le classifiche e scatenato molte polemiche, a partire dal provocatorio Deutchland, singolo apripista dalle tematiche forti e accompagnato da un video choc, in cui la Germania è interpretata da una bella modella di Colore

Sì, c’è l’elettronica. La solita elettronica a piene mani dispensata dalle tastiere di Christian Lorenz, che è forse il vero marchio sonoro della band e della sua Neue Deutsche Harte.

E poi ci sono le chitarre assassine di Richard Z. Kruspe e Paul Landers a ricordarci che l’industrial è un sottogenere del metal. Forse, tra i tanti sottogeneri, quello che ha contribuito di più (e meglio) a resuscitare il rock estremo durante l’agonia grunge degli anni ’90.

L’incendiario live set dei Rammstein

E c’è il beat martellante e squadrato del batterista Christop Schneider, come sempre a suo agio sia nelle ritmiche Tanz da rave trucido sia in quelle metal (meglio ancora se marziali), contrappuntato dalle linee secche del basso di Oliver Riedel.

Infine l’altro dop: la voce cavernosa di Till Lindemann, il frontman europeo che è riuscito a diventare sinonimo di trasgressione senza strafare e, soprattutto, a inserire la lingua tedesca nel gotha del rock, come non aveva fatto la mitica Nina Hagen.

Sì, sono i Rammstein e sono tornati con le consuete polemiche, con le consueta ricetta sonora (che non spostano di una virgola e fanno bene) e col solito successo, testimoniato dai numeri nelle classifiche e su Youtube, dove il video di Deutchland ha sfondato i 70milioni di clic in pochi mesi.

La copertina di Rammstein

Tutto meritato, perché Rammstein, il settimo omonimo album del sestetto berlinese uscito all’inizio dell’estate per la Universal, ha tutte le carte in regola per compiacere i fan e, più in generale, gli intenditori.

Certo, manca la carica di novità del passato: il tempo trascorre per tutti e ciò che era innovativo e travolgente nel cuore degli anni ’90 oggi è diventato un classico contemporaneo. E allora godiamocelo per quello che è: un disco in cui la trasgressione sonora è diventata tradizione musicale tutta postmoderna.

Sì, sono sempre i Rammstein, i soliti Rammstein, e Deutchland, il singolo apripista lo conferma col suo mix di elettronica, dance e metal, che fanno da cornice a un refrain epico e magniloquente come pochi per raccontare l’amore-odio che lega Lindemann al suo Paese.

Un pezzo da ascoltare senz’altro, ma anche da vedere, perché proprio non si può tacere il bellissimo video diretto da Specter Berlin e interpretato dalla bella modella nera Ruby Commey, che impersona la Germania nelle sue plurisecolari vicissitudini.

I Rammstein dal vivo

Altro singolo altro pezzo, altro video. Si tratta di Radio, in cui i Rammstein mescolano la techno da dancefloor a riff thrash per confezionare una serie di immagini (poetiche senz’altro ma anche quelle filmiche del videoclip) di rara trasgressività.

Il thrash e il Tanz si mescolano con l’industrial più rude in Zeig Dich, dedicata alle polemiche religiose (in realtà rivolte alle ipocrisie delle Chiese in quanto sistemi di potere) tipiche da sempre della band. Il tutto introdotto e intervallato dalle voci gotiche dell’Academic Choir.

La techno si riveste di metal nella strafottente Auslander, in cui i terribili sei danno fondo alle loro non poche risorse di ironia e tamarragine per irridere la xenofobia esplosa sulla scia dei populismi. Irresistibile nella sua cafoneria il coro in più lingue, dove fa bella mostra di sé uno «sciao piccola» maccheronicissimo, anzi crucco.

Simpaticissimo anche il video, che caricatura i documentari del National Geographic d’antan.

In Sex torna un altro dei temi evergreen della band. Certo le provocazioni porno di Du Hast, Pussy e Sehnsucht sono un ricordo. Ma la trasgressione resta, incorniciata in un arrangiamento di rock elettronico che cita sfacciatamente i Muse.

Un primo piano di Till Lindemann

La straniante Puppe (nessun equivoco, per cortesia: si traduce con bambola) è, a giudizio di chi scrive, il vertice compositivo dell’album: un arpeggio dissonante introduce una ballad stralunata che esplode in un crescendo carico di violenza sonora, in cui l’interpretazione di Lindemann diventa straziante prima di dissolversi nella chiusura, marcata dagli agghiaccianti cluster del pianoforte.

Un pattern metal della batteria introduce Was Ich Liebe, in cui tuttavia il suono si sbilancia verso l’elettronica e si arricchisce di citazioni new wave.

Diamant, il secondo pezzo forte di Rammstein, è una pausa nella tempesta sonora dell’album: è una ballad dolcissima tessuta su un arpeggio di chitarra tenue e minimale, contrappuntato qui e lì dai tappeti delle tastiere e da inserzioni elettriche. Notevole l’interpretazione del frontman, che sconfina con dolcezza nello Sprechgesang, declamando quel che basta per arricchire l’atmosfera.

Oliver Riedel in azione sul palco

In Weit Weg i Rammstein tentano una puntatina verso il prog, grazie al Moog di Lorenz che cita sfacciatamente la Kosmische Musik e al refrain sognante e decisamente meno tenebroso.

Con la tosta Tattoo il sestetto torna ai suoi consueti canoni: le chitarre picchiano più sui riff e il refrain si orienta addirittura verso il pop rock.

Hallomann chiude l’album nel segno della stessa magniloquenza epica del suo incipit con l’aggiunta di qualche citazione psichedelica delle tastiere.

Fin qui l’album base. A cui, per i fan incalliti, si aggiunge l’edizione de luxe, che comprende sei bonus track. Innanzitutto la versione ultratechno di Deutchland, remixata per l’occasione da Kruspe, quella discotecara di Radio, riarrangiata da Twocolors.

L’impressionante fireshow dei Rammstein

Segue il remix di Mein Herz Brennt, celebre singolo di Mutter (2001), riproposto e stravolto da Boyz Noize. Non male anche l’idea di inserire Gib Mir Deine Augem, singolo del 2012 incluso nella compilation XXI (2015), con cui la band ha tentato di spezzare la lunga assenza discografica. Non male anche i due ripescaggi finali: si tratta di Mein Land e di Vergiss Uns Nicht, un classico minore dei teutonici.

Ci hanno messo tanto a tornare, i Rammstein, ben dieci anni dalla loro ultima produzione.

Il lasershow dei Rammstein accende il palco

Quest’ultimo album ribadisce due cose. Innanzitutto, che la band aveva già detto quel che doveva nei sui primi quindici anni di attività. E infatti Rammstein si limita a riprendere dove Liebe Ist Fur Alle Da aveva lasciato, senza aggiungere quasi nulla, se non gli ammodernamenti apportati al sound dal nuovo produttore Olsen Involtini.

Ma, in secondo luogo, c’è da dire che i Rammstein, come tutti i pionieri, non hanno bisogno di fare cose nuove per forza, non dopo anni passati a innovare. Semmai, devono dimostrare di essere all’altezza di sé stessi.

Ed è inutile dire che, con Rammstein, ci sono riusciti.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale italiano dei Rammstein

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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