Above The Sky, ovvero: la rinascita dei Majestica
Gli svedesi ReinXeed cambiano nome e sfornano un bell’album di power metal classico che promette bene
Il power metal? È ancora vivo e la sua formula, a dire il vero poco suscettibile di innovazione, non si è ancora logorata.
Lo dimostrano benissimo gli svedesi Majestica, freschi d’esordio col bell’album Above The Sky, uscito da poco per la Nuclear Blast.
A rigore, più che di esordio si dovrebbe parlare di ritorno, visto che i Majestica non sono altro che la reincarnazione dei ReinXeed, la storica band del chitarrista-cantante Tommy Johansson, attualmente in forza nei pluricelebrati Sabaton.
Proprio questo ingaggio prestigioso ha costretto i ReinXeed a una pausa prolungata (l’ultimo album della formazione, A New World, risale al 2013) e perciò, come ha spiegato Johansson, si è preferito cambiare nome per riprendere (anche perché, a dispetto della bravura, le vendite non erano quel granché), ma con un riferimento al passato, per la precisione all’album Majestic del 2010.
Per il resto non è cambiato molto. E per fortuna.
Non è granché cambiata la formazione, che include, oltre al frontman, il chitarrista-cantante Alexander Oriz e il notevolissimo bassista Chris David. L’unica novità è alla batteria, suonata per l’occasione dal mitico Uli Kusch (già negli Helloween e nei Gamma Ray), ospite gradito dalla band e dai suoi ascoltatori, che dal vivo è rimpiazzato da Daniel Sjoegren.
Non è cambiata, inoltre, la formula musicale: come già detto un power metal classico arricchito da elementi sinfonici, in cui la lezione dei grandi (senz’altro dei superbig tedeschi, ma anche degli Stratovarious, degli Edguy e dei Sonata Arctica) è interpretata e ammodernata alla grande.
Un fraseggio di basso introduce Above The Sky, la title track, che apre l’album con un impatto a dir poco notevole: riff e ritmo serrato grazie a un uso efficacissimo della doppia cassa, interpretazione vocale a dir poco superba, nella quale Johansson esibisce una grande padronanza dei registri più alti. Sugli scudi Chris David, che si concede anche un bell’assolo di basso a metà brano su un tappeto sinfonico. Che altro chiedere come biglietto da visita?
Non è da meno l’epica e sostenuta Rising Tide, che si regge su un crescendo maestoso che culmina in un coro esplosivo e in una parte strumentale ben orchestrata come da tradizione del genere, in cui gli assoli della band cedono il posto all’orchestra per un bell’insieme nel finale.
The Rat Pack, più melodica nell’approccio, richiama gli Helloween prima maniera, grazie anche al timbro vocale di Johansson, che si ispira non poco al leggendario Michael Kiske. Notevole anche il duetto delle chitarre nella parte solista, che si intrecciano alla grande con le tastiere, suonate anch’esse dal frontman.
Motley True, che irride un po’ i papà del glam metal, è un pezzo lungo (coi suoi otto minuti e rotti, il più lungo dell’album) e articolato. Una bella rilettura dell’epic metal piena di cambi di tempo, cori marziali e, ovviamente, bei numeri solisti pieni di citazioni classicheggianti.
The Way To Redemption è un esempio da manuale di power-speed metal, grazie ai tempi serratissimi e supersonici, spezzati a ripetizione da stop and go. Superba la prestazione vocale di Johanssen, che sconfina a più riprese in falsetti micidiali.
Difficile immaginare simpatie ottantiane fuori genere in una band così massiccia. Ma l’orecchiabile Night Call Girl riesce a far ricredere (e bene) gli addetti ai lavori e gli ascoltatori comuni: è un piccolo gioiello aor dai suoni power, pensato per la diffusione radiofonica (ma da noi sarebbe troppo heavy persino per Virgin Radio), in cui, tuttavia, il quartetto non sacrifica un briciolo della propria bravura all’orecchiabilità.
La marziale Future Land è un compiaciuto omaggio al passato: infatti, il brano risale al 2002 ed è la prima composizione originale del leader (ma sarebbe più corretto definirlo mastermind): una pièce epica, veloce e maestosa, scritta nel pieno rispetto dei canoni del genere.
In The Legend gli arrangiamenti orchestrali prendono il sopravvento, con un effetto gradevole da colonna sonora di film fantasy.
Father Time (Where Are You Now) è un divertissment zeppo di citazioni, a partire dall’uso del piano e dai cori che riprendono sfacciatamente i Queen di Bohemian Rhapsody per finire al Can Can (sì, proprio il celebre balletto del Moulin Rouge), il tutto inframmezzato da inserzioni orchestrali e, va da sé, in chiave ultra metal.
Chiude l’epica Alliance Forever, un’altra mini suite (poco più di sette minuti) in cui la band dà fondo a tutte le proprie risorse di creatività e virtuosismo.
Due chicche per bonus track.
La prima è la versione originale di Future Land, leggermente più lenta e dalle sonorità meno brillanti. Un amarcord che consente di valutare l’evoluzione artistica di Johanssen, che dimostra di essere riuscito a crescere mantenendo una grande coerenza stilistica.
La seconda è una cover di Spaceballs dei The Spinners, per capirci la sigla di Balle Spaziali, la commedia satirica di Mel Brooks dedicata a Guerre Stellari. Un altro divertissment in cui i suoni del pop ottantiano sono sottoposti a una cura power non poco efficace e, soprattutto, simpatica.
Above The Sky è un ottimo ritorno per la band guidata dal paffuto (e, diciamolo pure, geniale) Tommy Johansson, che si spera abbia il successo che merita in questa sua nuova incarnazione. Sabaton permettendo, ovviamente.
Da ascoltare (e da vedere):
33,298 total views, 4 views today
Comments