Il blues senza complessi. Un viaggio in Oklahoma con Keb’ Mo’
Un omaggio alle origini della black music con un gusto particolare per le contaminazioni nell’ultimo album dell’artista losangeleno
Keb’ Mo’, ovvero: il blues senza complessi. Giunto col recentissimo Oklahoma (Concord) al traguardo del quattordicesimo album solista in trentanove anni di carriera, l’artista losangeleno prosegue nel suo, particolarissimo duplice discorso sulla musica nera.
Da un lato, rilancia la formula inaugurata assieme alla black star Taj Mahal con l’album Tajmo (2017), premiato con un Grammy Award, dall’altro continua con la linea poetica (ma anche filologica) intrapresa col suo precedente Bluesamericana (2014), che consiste nell’interpretare il blues come un capitolo della tradizione musicale statunitense – che quindi include anche il country, il folk, l’hillibilly e il rag – e non come una faccenda per soli neri o per bianchi ammalati di etno.
Classifiche alla mano, mr Kevin Roosevelt Moore, ha fatto centro, regalando ai propri fan e agli appassionati una raccolta di undici gemme dell’America profonda, ricche di varietà musicale ma cesellate con rigore e finezza, grazie a un cast di ospiti di tutto rispetto.
Quest’intenzione è ribadita con perentoria efficacia dall’open track I Remember You, un dodici battute dall’arrangiamento minimale, in cui la voce profonda di Mo’ gigioneggia alla grande, ben accompagnata dai fraseggi strascicati della chitarra, che ricordano tanto il vecchio JJ Cale.
Con la title track mr Moore cambia decisamente tiro: Oklahoma è un pezzo latin dall’armonia senz’altro blues ma dall’andamento messicano (a riprova dell’accezione larga con cui Keb’ Mo’ intende l’aggettivo southern), a tratti ballabile e impreziosito dalle finezze violinistiche di Andy Leftwich e dalla lap steel guitar di Robert Randolph.
Put A Woman In Charge, rilasciata a settembre 2018, è più di un singolo apripista e chiarisce all’ascoltatore una volta di più la peculiare concezione di crossover del bluesman californiano, che mescola con rara efficacia elementi soul e country. Non a caso, il brano si regge su un bel duetto con la bravissima Rosanne Cash, cantautrice di successo e figlia di primo letto della leggenda country Johnny Cash. C’è davvero altro da dire?
This Is My Home, cantata assieme alla brava Jaci Velasquez, è un’escursione delicata nel country folk acustico su un leggero tappeto d’archi.
In Don’t Throw Me Away, un dixieland dall’andamento vagamente rag, fa capolino Taj Mahal che arricchisce il sound con l’arpa e, ovviamene, canta qualche strofa.
Con The Way I Keb’ Mo’ si lancia nel folk acustico più intimistico, appena toccato da alcune soluzioni pop nel refrain, che non dispiacciono affatto.
Ridin’ On A Train è un bell’esempio di blues alla texana, torrido e minimale, arricchito dalle roventi incursioni della slide guitar.
I Should’ve è un rhytm’n blues allegro e sostenuto dalle sonorità in prevalenza acustiche, in cui la chitarra duetta alla grande coi ricami dell’armonica a bocca.
In Cold Outside, un blues squadrato pieno di spunti funky, il Nostro si lascia andare a fraseggi più ruvidi con la chitarra ed evoca a tratti BB King.
Beautiful Music, Un duetto in famiglia con la moglie Robbie Brooks, chiude l’album: le atmosfere oscillano di nuovo tra country folk e pop, più un bel passaggio della slide guitar.
Basta questo per avere l’ennesima nomination al Grammy appena ottenuta? Probabilmente sì, perché Keb’ Mo’ ha confermato ancora una volta di essere il classico artista capace di realizzare molto senza strafare.
Ma che lo vinca o meno, questo benedetto premio, poco importa. In fondo, per lui non sarebbe una novità e noi, da semplici ascoltatori, non potremmo comunque fare a meno di apprezzare l’approccio diretto di Keb’ Mo’, che riesce ad essere genuino dopo tanti anni di successi.
Buon ascolto, allora.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di Keb’ Mo’
Da ascoltare (e da vedere):
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