Flesh & Blood, il nuovo morso del Serpente Bianco
Gli Whitesnake tornano con un nuovo album che rinverdisce le origini hard e i fasti della seconda metà degli anni ’80
Sì, sono tornati. Ma stavolta in maniera assai decisa: gli Whitesnake hanno ripreso a fare gli Whitesnake con il recente Flesh & Blood, pubblicato dalla napoletana Frontiers, il tredicesimo album in studio in circa 40 anni di attività della band di David Coverdale.
Sempre per restare alle statistiche, Flesh & Blood è il primo album di inediti dal 2011, anno di uscita del valido Forevermore, e segue di quattro anni The Purple Years (2015), la raccolta di cover del periodo trascorso dal frontman nei Deep Purple. Nel mezzo, The Purple Tour e Unzipped, i due live del 2018 che testimoniano sia l’imponente attività dal vivo sia l’ottima condizione della band.
Questo stato di grazia è confermato da Flesh & Blood, ben concepito ed interpretato meglio da una formazione consolidata dal 2015, in cui, accanto allo storico dominus, militano i due bravissimi chitarristi Joel Hoekstra (che ha rilevato il posto del virtuosissimo Doug Aldrich) e Reb Reach, il notevole bassista Michael Devin, il tastierista e polistrumentista Michele Luppi e il batterista Tommy Aldridge, sodale di lungo corso del frontman.
Il risultato è un album corposo, che mescola bene le due direzioni artistiche degli Whitesnake: quella hard rock di fine anni ’70 e quella hair di metà ’80.
Il che significa: melodie aggressive, spesso ruffiane ma piene di quell’impronta bluesy che è il marchio dell’ugola di mr Coverdale. Ma significa anche un sound più pesante e guitar oriented, caratterizzato da un groove denso.
C’è da dire che, a dispetto dei sessantott’anni suonati, Coverdale tiene botta. Certo, sui toni alti (che comunque non sono mai stati la sua specialità) gracchia un po’. Ma la voce è quella di sempre, da Robert Plant meno urlatore e usignolo e più heavy. Tuttavia, ciò che conta è il risultato complessivo, che c’è e si sente in tutte le quindici canzoni dell’album (tredici di track list e due bonus inedite), che diventano diciotto nell’edizione de luxe (a cui si aggiungono tre versioni remixate di brani della scaletta ufficiale).
Ci hanno messo tanto e per farsi perdonare forse hanno un po’ strafatto. Ma hanno strafatto bene.
Lo ribadiscono perentoriamente i riff pastosi con cui Good To See You Again apre la raccolta: un hard blues torrido dal tempo spedito e infiorettato dai flash della slide guitar.
Più americane e notturne le atmosfere di Gonna Be Alright, in cui i passaggi inquetanti delle chitarre drammatizzano una melodia ariosa, resa a sua volta heavy dalla voce rauca di Coverdale.
Shut Up And Kiss Me, il singolo apripista, è un ritorno strafottente agli anni ’80 più torridi: un hard rock tosto e tirato venato di blues quel che basta. Notevoli gli assoli di chitarra, che si tengono in perfetto equilibrio tra virtuosismi e melodia.
Hey You (You Make Me Rock) ruota attorno a un riff pesante pieno di riferimenti agli anni ’70, soprattutto ai Deep Purple Mark III, in cui l’allora giovanissimo frontman si fece le ossa, e ai Led Zeppelin di Physical Graffiti.
Con la radiofonica Always & Forever gli Whitesnake si orientano di nuovo su sonorità americaneggianti. Da applausi gli assoli di chitarra, brevi e velocissimi.
When I Think Of You (Color Me Blue) è la classica ballad romantica dal refrain robusto che in un album di Coverdale non può mancare mai. Un altro tuffo negli anni ’80 con le sonorità ammodernate quel che basta per far capire che non è solo un’operazione nostalgia (che in molti apprezzeremmo comunque).
Un riff vagamente southern introduce degnamente Trouble Is Your Middle Name, un hard rock tostissimo dal ritmo massiccio e dai richiami settantiani, impreziosito dai funambolismi dei chitarristi.
Flesh & Blood, la title track, è un efficace mix di richiami zeppeliniani e ammiccamenti agli Ac/Dc.
Well I Never è un altro hard rock nel classico stile Whitesnake, arricchito da un ammiccante coro a cappella.
Anche Heart Of Stone è un exploit tipico della band di Coverdale: una semiballad dalle armonie blues sensualissime e intense.
Invece Get Up è un delizioso fuori scaletta: un tiratissimo hard stelle e strisce che strizza l’occhio ai Van Halen (era Sammy Hagar) e ad alcune cose del Lee Roth solista.
After All è una ballad acustica dalla melodia delicata e vagamente country folk accompagnata da un raffinato arpeggio in fingerpicking.
Sands Of Time è la degna, sontuosissima conclusione della tracklist ufficiale dell’album: un hard cadenzato pieno di influssi orientaleggianti che rimandano un po’ agli Zeppelin (è persino superfluo citare Kashmir) e un po’ ai Black Sabbath dell’era Tony Martin.
Anche le due bonus track inedite sono di ottimo livello e tutto lascia pensare che la band e la casa discografica le abbiano inserite perché sarebbe stato un peccato lasciarle fuori.
Infatti, Can’t Do Right For Doing Wrong è un gran bell’hard blues carico di pathos e atmosfera.
E non è da meno la ritmata If I Can’t Have You, un hard dall’andamento funkeggiante marcato da un bel riffone retrò che rinvia ai migliori Aerosmith.
A mo’ di appendice, le versioni remixate di Gonna Be Alright, Sands Of Time e Shut Up And Kiss Me, che a dire il vero non aggiungono troppo alle originali e risultano ritoccate il minimo indispensabile per poter essere ascoltate in auto senza troppi problemi.
Gli Whitesnake sono vivi (eccome…) e lottano alla grande. E consigliare l’ascolto di Flesh & Blood è il minimo.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale degli Whitesnake
Da ascoltare (e da vedere):
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