Ironico quel che basta, folk ma non troppo: l'”Anima Popolare” di Flavio Oreglio
Il cantautore milanese cita Jannacci e ripropone il teatro canzone della tradizione lumbard nel suo ultimo album
Un ritorno particolare, celebrato con due serate (il 15 e il 16 febbraio scorsi) allo storico Zelig.
Questo per dire che forse quello dell’ultra poliedrico Flavio Oreglio non è teatro-canzone ma quasi. Almeno, ne prende tutta l’eredità nobile, che risale a Enzo Jannacci, a Giorgio Gaber (ma in questo caso non troppo), a Nanni Svampa, Dario Fo e I Gufi. E scusate se è poco.
Lumbard l’è lumbard, Oreglio: biologo di formazione e polistrumentista per vocazione con una passione smodata per il ragtime, il Nostro è un autore prolifico, che si è diviso equamente tra il cantautorato e la scrittura, senza far capire bene quale delle due passioni abbia avuto la meglio.
Certo è che è bravo in tutte e due i settori e il suo recente Anima Popolare, uscito per Long Digital Playng Edizioni Musicali, l’etichetta milanese fondata dal collega Luca Bonaffini, lo ribadisce.
Cabaret e canzone, quindi, che affondano le radici nella Milano, non ancora da bere ma ancora moralmente sana del pre boom. Una formula proposta con suoni un po’ vintage e un approccio postmoderno grazie agli arrangiamenti degli Staffora Bluzer, una band particolare composta dal fiatista Stefano Faravelli, che si alterna con efficacia tra il piffero, il flauto e la cornamusa, dall’altro fiatista Daniele Bicego (sax soprano, cornamusa, cornetta e bouzouki), dal fisarmonicista Matteo Burrone e dalla sezione ritmica, costituita dal bassista Cristiano Giovannetti e dal batterista Giacomo Lampugnani.
Il risultato di tanto impegno, professionale e artigianale allo stesso tempo, sono nove brani, animati da un’ironia a volte non proprio sottile, in cui il cantautore meneghino esprime al massimo la propria visione artistica e morale, ovvero per citare lo stesso Oreglio, la sua personale «via ludica all’impegno».
Volutamente sgangherata, Benvenuto apre l’album con un tempo liscio e toni da balera, su cui Oreglio sciorina i propri pensosi nonsense.
La poetica densa di sarcasmo del cantautore emerge appieno in Anima Popolare, la title track, in cui lo spirito genuino delle tradizioni diventa il rimedio all’era artificiale, dominata dalle due finzioni contrapposte, quella populista e quella tecnocratica, che animano l’attuale dibattito culturale e (quindi) politico.
Infatti, canta Oreglio col consueto sarcasmo:
«Populisti vestiti di stracci come briganti/si nascondono dietro un impero di carità/Hanno facce già viste/voci da replicanti/rare lacrime/furbi sorrisi senza pietà».
E poi:
«Professori che senza sconfitta/ma senza vittoria/sopra il ring della vita/non sono saliti mai/Ma che ostentano spudorati/la propria boria/ubriacandoti del veleno dei parolai».
Ma
«C’è un’anima popolare/che alla porta ha bussato già/Con la sua voglia di cantare/dalla gola ti sgorgherà».
Il richiamo alla tradizione popolare, che si nutre di folk senza tuttavia scadere nella volgarità, emerge con più forza in Bluzer (Revoliscion), un pezzo sperimentale senza averne l’aria.
Canta ancora con un pizzico di sarcasmo Oreglio:
«Ho nel corpo una rabbia straniera/che mi fa fare un valzer in blues/Una voglia davvero sincera/una rabbia straniera/champagne e cous cous».
Canta e lo fa: Bluzer (Revoliscion) parte con un tipico coro a cappella della tradizione lumbard, si lancia in un refrain blues e sfocia in un tempo di liscio nel coro, giusto per ribadire che il sincretismo non è solo metafisico e hi-tech, ma può essere sensuale e gastronomico. Il tutto interpretato con un pathos che ricorda Guccini.
La vita è una brugola è un breve intermezzo su tempo di valzer pieno di allusioni e (di nuovo) nonsense.
Un muro di cornamuse introduce la cover di Ma Mi, il classicone di Jannacci, che evoca memorie dolorose e la serenità dei tempi in cui il dialetto milanese non era ancora un dop della Lega vecchia maniera.
È profondo nordico, ci mancherebbe. Ma alzi la mano l’over quaranta che non si commuove a risentire il mitico:
«Ma Mi, Ma Mi, Ma Mi/Quaranta dì, quaranta nott/A San Vittur a ciapaa i bott».
Come da titolo, Blues dei deliri quotidiani è uno shuffle divertentissimo, in cui il Nostro si lancia in ficcanti fraseggi di chitarra e ci ricorda che:
«Obbligati dalla sorte/noi voliamo sulle ali del blues».
Dai nonsense ai doppisensi, Mezza minerale è una sequenza spassosissima di allusioni su ritmo latino:
«No, non è una mezza minerale/Questo è il mio corredo naturale/No, non è una pianta ornamentale/anche se si appoggia al davanzale».
Altro brevissimo intermezzo di cabaret con Questione di carattere e si giunge al gran finale di Il Bounty, in cui il celebre ammutinamento diventa una metafora esistenziale e politica, su un crescendo countryeggiante.
Oreglio è tornato e lotta con noi. Riflessivo ma non intellettualistico, ironico quel che basta, strappa il sorriso e fa pensare.
Scanzonato ma non troppo, il cantautore milanese riesce a dare quel tocco di serenità che non copre ma supera le amarezze.
Buon ascolto e buon divertimento.
Da ascoltare (e da vedere):
10,344 total views, 10 views today
Comments