Un album in memoria di Gary Moore
Moore Blues For Gary-A Tribute To Gary Moore è l’album con cui i big del rock, coordinati dal bassista Bob Daisley celebrano il grande chitarrista irlandese scomparso nel 2011
Possiamo commuoverci ed applaudire. Oppure storcere il naso con fare snob.
Ma, in ogni caso, dobbiamo tener presente, dalla prima all’ultima delle tredici canzoni che lo compongono, che Moore Blues For Gary-A Tribute For Gary Moore, uscito da poco per la Earmusic, non è una banale operazione nostalgia né l’occasione di sfoggiare virtuosismi per il consueto pugno di big dell’ugola e di vari strumenti.
Messa in piedi dall’amico di sempre Bob Daisley – tra l’altro storico bassista dei Thin Lizzy, dei Rainbow e di Ozzy Osbourne – questa raccolta è una commemorazione sentita del grande chitarrista irlandese Gary Moore, prematuramente scomparso l’11 febbraio del 2011, e, contemporaneamente, l’ennesimo modo per ribadire che Moore non è solo l’indimenticabile autore interprete di Empty Rooms e di quella Still Got The Blues che ha portato il rock blues alle orecchie più improbabili, tracimata dal mainstream ai karaoke di periferia.
Bob Daisley And Friends è il supergruppo che si è sobbarcato l’onere di quest’iniziativa non facile, composto dal bassista e da un’impressionante compagnia di ospiti, che val la pena scoprire brano per brano.
L’operazione, dicevamo, è stata tutt’altro che facile. Innanzitutto per la selezione dei brani. Già: come riuscire a sintetizzare in sole tredici tracce la produzione di un artista complesso, poliedrico e pieno di tante sfaccettature?
La scelta, in questo caso, è caduta in prevalenza sull’anima blues del chitarrista. Una limite? Sì, ma è probabilmente voluto, visto che, a partire dagli anni ’90, il Moore bluesman ha letteralmente oscurato il Moore metallaro.
Una seconda difficoltà è dovuta alla resa dei brani, visto che interpretare un artista dalla personalità marcata e originale non è facile. Detto altrimenti: le canzoni di Gary Moore sono sin troppo cucite addosso al loro interprete-autore e il rischio di scadere in pacchianate è tutt’altro che remoto, quando si tenta di coverizzarlo.
Tuttavia, c’è da dire subito che l’operazione è più che riuscita e il rischio è scansato alla grande, perché per interpretare Moore come si deve non basta la bravura ma occorre molta classe e gli artisti coinvolti in Moore Blues For Gary di classe ne hanno da vendere.
E ci se ne accorge sin dall’open track That’s The Way I Play The Blues (cover tratta dall’album The Power Of The Blues, del 2004) cantata alla grande da John C. Butler dei Widowmaker e suonata come si deve da Tim Gaze, chitarrista degli australiani Rose Tattoo.
Un’altra coppia di assi si esibisce nel classico The Blues Just Got Sadder: sono l’ex Rainbow, Deep Purplee Yingwie Malmsteen’s Rising Force Joe Lynn Turner, in forma strepitosissima, e sua maestà Steve Lukather, che si esibisce in assolo prodigioso.
La prima parentesi non blues dell’album è la supercelebre Empty Rooms (tratta dal pluridecorato Run For Cover del 1985). L’interpretazione, stavolta, è affidata al tastierista-cantante Neil Carter, tra l’altro coautore del brano, che restituisce all’ascoltatore una versione personalissima ed efficace, e al chitarrista australiano Illya Szweck, che si cimenta con ottimi risultati sulle partiture dell’illustre irlandese.
Da un hit all’altro: forse includere Still Got The Blues può essere banale. Ma è altrettanto vero che escludere il brano più celebre di Mr Moore sarebbe stato quantomeno arbitrario. Anche in questo caso la resa è ottima, grazie all’interpretazione appassionata di Danny Bowes, il frontman dei britannici Thunder, all’esecuzione di John Sykes, celebrato chitarrista tra gli altri degli Whitesnake e alle armonizzazioni di Don Airey, uno dei più importanti keyboard wizard della scena rock mondiale.
Sempre dall’album Still Got The Blues (1990) è tratta la tosta Texas Strut, in cui Moore parafrasava Stevie Ray Vaughn, cantata con grinta southern dall’irlandese Brush Shiels, già sodale di Mr Moore negli Skid Row, e suonata come Cristo comanda da Tim Gaze.
Da applausi la performance del mitico Glenn Hughes, che canta la toccante Nothing’s The Same (tratta da After Hours del 1992) con una particolare inflessione black, ben accompagnato dal suo fido chitarrista Louis Maldonado.
L’apice chitarristico della raccolta è la strumentale The Loner, da Wild Frontiers (1987), in cui un fenomenale Doug Aldrich si misura (benissimo) con la partitura di re Gary. In questo brano, seconda parentesi non blues dell’album, Aldrich è in ottima compagnia: le tastiere, infatti, sono affidate a Don Airey e la batteria a un mostro della caratura di Eric Singer.
Nella notturna Torn Inside (da Power Of The Blues, 2004) spadroneggia Stan Webb, cantante-chitarrista e vecchia gloria del rock blues britannico, con un’interpretazione sofferta e piena di pathos.
Con Don’t Believe A Word si esce dalla produzione solista di Moore. Il brano, infatti, è tratto da Johnny The Fox (1976) dei gloriosi Thin Lizzy e fu scritto dal mitico Phil Lynott. Misurarsi con un classicone così non è facile. Eppure il chitarrista-songwriter Damon Johnson c’è riuscito alla grande. Anche come cantante e grazie all’arrangiamento heavy elaborato da Daisley.
Story Of The Blues è un’altra hit tratta da After Hours ed è affidata di nuovo alle sapienti cure di John C. Butler e Tim Gaze.
In This One’s For You, composta appositamente da Daisley assieme a Dennis Wilson, ci sono i commoventi camei di Gus e Jack Moore, i figli di Gary, che si esibiscono rispettivamente alla voce e alla chitarra con grande efficacia.
In Power Of The Blues torna Joe Lynn Turner con un’altra convincente interpretazione, affiancato dal bravo Jeff Watson dei Night Ranger alla chitarra.
In chiusura, la terza parentesi non blues della carriera di Mr Moore: una cover a dir poco strepitosa di Parisienne Walkways, cantata con feeling da Ricky Warwick e suonata maestosamente da Steve Morse. E scusate se è poco.
Forse i tributi stanno diventando una moda, soprattutto nel decennio in corso, che si sta portando via uno dopo l’altro i grandi della musica che amiamo. Ma per Gary Moore ci voleva davvero.
More Blues For Gary è il doveroso e sincero riconoscimento di artisti che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare col grande e compianto irlandese. Un vuoto finalmente riempito. Un omaggio alla memoria di un pezzo di storia del rock più intenso e significativo.
Da ascoltare:
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