Dal grunge al folk rock, i Kismet omaggiano i padri
La band veneta cambia direzione e nel nuovo album Fathers predilige un approccio più intimistico e sonorità più sfaccettate e ombrose
Il grunge non bastava più, forse perché è un genere di passaggio. Ed è fatale che, giunti alla quarta produzione discografica, anche i veneti Kismet scegliessero una direzione musicale diversa.
Che, nel loro caso, non è il metal (opzione tipica, sulla scia degli Alice In Chains) ma il folk rock, con una prevalenza di suoni acustici e un cantato pulito e suggestivo.
Il risultato di questa rinnovata attitudine sono le undici canzoni che compongono Fathers, uscito a fine 2018 per la milanese Maninalto Records.
Niente muri sonori aggressivi né ritmiche schiacciasassi: al massimo qualche chitarra elettrica fa capolino qui e lì. Ma la compattezza, ottenuta in circa venti anni di attività intensa, fatta soprattutto di tour e partecipazione a festival internazionali è quella di sempre, a riprova che l’amore per la musica e il relativo pathos artistico non sono solo questione di volumi.
Nessuna meraviglia, allora, che la band composta dai fratelli Crivellari (il cantante Alberto, noto ai più come Albert Eno, e il chitarrista Alessandro, noto come Crivez), dal chitarrista Mirko Stevanin, dal bassista Angelo Girardello (Otus) e dal batterista Alberto Danese (Penot) dia una prova, l’ennesima, di grande affiatamento, magari con la speranza di non perdere il proprio seguito storico e, allo stesso tempo, di acchiappare qualche altra fetta di pubblico.
A New Tomorrow apre l’album con un saggio della nuova poetica dei Kismet, che riprendono i classici della East Coast, con qualche ammodernamento nel sound (la parte strumentale, affidata a chitarre elettriche morbidissime).
Più minimale, Tears On The Lake aggiorna la lezione dei Byrds e di Crosby, Stills, Nash & Young, quasi a ribadire che l’omaggio al passato implicito nel titolo dell’album è un omaggio di gran classe, segno che i figli le provano tutte per essere all’altezza dei padri.
Ma il recupero del passato è anche la consegna di un testimone, il passaggio di una tradizione da una generazione all’altra, dai padri ai figli. E non è un caso, allora, che Fathers And Sons sia un po’ malinconica e sognante, con un bel crescendo che esprime in note quel legame unico tra passato e presente che è la filiazione.
Uncertain Steps è un altro omaggio ai Byrds, grazie anche alle sapienti armonizzazioni vocali, che danno al brano l’atmosfera di una ninna nanna.
Più epica e potente a modo suo, Comeback, il singolo apripista di Fathers, ruota sul piacevole contrasto tra un refrain minimale e un coro in crescendo, che richiama a tratti i Led Zeppelin di III. E forse anche per questo l’assolo di chitarra è deliziosamente settantiano con palesi riferimenti al Page d’antan.
Con Mother’s Cry i Kismet virano verso il country folk: il risultato è una ballad dolce come tutto ciò che si dedica alle mamme, anche in un album dedicato ai padri.
In Acceptance, un bel pezzo rock pieno di atmosfere suggestive e chiaroscuri, fa capolino l’anima più rock della band.
Ma è solo una momentanea deviazione, perché il tema minimale e notturno di Dream I Made Last Night riporta il sound sui nuovi binari del quintetto.
A proposito di omaggi ai padri, non si può non apprezzare la versione molto originale di Whole Lotta Love, il classicone per eccellenza non solo di Page e compagni ma di un modo unico di intendere il rock. In questo caso i Kismet evitano urla e falsetti e stravolgono il refrain ammorbidendo al massimo il piglio aggressivo dell’originale. Niente orgasmi simulati ma un cantato dolcissimo che rinnova a fondo uno dei pezzi più coverizzati della storia del rock.
Legacy è un altro tuffo in sonorità più toste, in cui il rock si riprende i suoi diritti, ma lo fa con garbo e spinge il country in un angolo.
I titoli di coda calano su una chicca che più chicca non si può: una dolcissima cover di My Way, interpretata in maniera sobria, senza i tocchi melensi in cui cadono i crooners quando cercano di imitare The Voice.
Disco nuovo vita nuova? Forse sì, e senza per questo togliere nulla al loro passato duro, auguriamo ai Kismet che l’attuale presente soft ispiri le scelte artistiche future.
Sobri, senza le sbavature melodiche tipiche dei rockettari quando cambiano genere, i cinque veneti risultano convincenti nel riproporre con originalità una formula musicale classica.
Fathers è un viaggio nel passato pieno di avvenire.
Da Ascoltare (e da vedere):
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