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Rudhen, stoner rock e doom dal Profondo Nord

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Di(o)scuro è la terza prova in studio del quartetto trevigiano: riff sabbathiani, suoni oscuri e atmosfere plumbee in un disco esplosivo

Nato nelle assolate pianure della California, lo stoner rock rende bene anche tra i rigori climatici trevigiani.

Lo prova Di(o)scuro, la terza, recentissima prova in studio dei Rudhen, un quartetto di Crespano del Grappa, costituitosi nel 2013 e composto dal cantante Alessandro Groppo, dal chitarrista Fabio Torresan, dal bassista Daniele Lucato (che ha sostituito Maci Piovesan, il quale, a sua volta è subentrato nel 2015 a Riccardo Rigo).

Caratterizzato da un wall of sound cupo e pastoso, grazie all’abbondantissimo uso di distorsioni valvolari e al consueto downtuning (cioè l’accordatura abbassata), Di(o)scuro è anche il primo lp della band, reduce da una gavetta intesa, fatta di tour nella mittel e nel nord Europa (Slovenia, Austria, Germania e Danimarca) e nel centronord dell’Italia e puntellata da due ep: Rudhen (2014) e Imago Octopus (2015), dai quali sono stati tratti quattro video.

Rispetto ai due predecessori, l’ultimo album vira con decisione sul versante doom – in altre parole, la band toglie un po’ di Kyuss e aggiunge un bel po’ di Black Sabbath – e tenta un approccio da concept, più che nei temi attraverso la continuità sonora dei brani.

Scendiamo più nel dettaglio: il titolo stesso gigioneggia un po’ coi doppi sensi, visto che Di(o)scuro può essere interpretato sia come Dio oscuro o come Dioscuro.

Infatti, se il riferimento alla divinità monoteista arriva direttamente dal sound, non manca la strizzatina d’occhio alla mitologia greca: non a caso Castore e Polluce, due brani strumentali, aprono e chiudono l’album. Non del tutto strumentali: i Rudhen, che evidentemente hanno la citazione facile, cedono alla tentazione di infilare due terzine della Divina Commedia alla fine di Castore: «Fatti non foste/a viver come bruti/ma per seguir/virtute e conoscenza». Quasi a voler invitare l’ascoltatore ad esplorare il cupo scenario sonoro di Di(o)scuro attraverso le parole dell’Ulisse dantesco.

Il viaggio vale la pena.

Il secondo brano, Magnetic Hole, da cui è tratto il finora unico video, si snoda minaccioso e cadenzato, con la voce di Groppo che ora sussurra e ora urla melodie squisitamente seventies sui riff distortissimi e acconciati con wha wha a palla di Torresan. Solo lo stacco centrale, caratterizzato essenzialmente da un calo dei volumi e da un alleggerimento del drumming, addolcisce un po’ l’impatto.

Fragile Moon mescola un andamento sabbathiano con spunti grunge e flash psichedelici.

Particolarissima, invece, 14-07-1789 (Prise de la Bastille), in cui i clamori del celeberrimo episodio della Rivoluzione Francese sono rievocati da un’evoluzione del sound: apre le danze un giro di basso cupissimo e col volume a palla, degno del miglior Geezer Butler, poi tutto evolve in un riff che sembra uscito da Volume IV dei Sabbath, quindi uno stacco di pianoforte introduce una marcia militare su cui la voce narrante recita in francese l’incipit della Dichiarazione dei Diritti del 1789, infine l’accelerazione fino al parossismo.

Più semplice ma altrettanto sabbathiana Carthago Delenda Est, che inizia, appunto, con la celebre frase di Catone il Censore: «Ceterum censeo Carthago delenda est», la quale poi torna all’interno del brano, tostissimo e cadenzato, come unica strofa del coro. Al riguardo, una piccola nota: non sarebbe stato meglio pronunciarla alla latina anziché secondo in maniera anglosassone, sebbene il resto del testo sia in inglese?

Psichedelica al massimo, infine, My Girls are like Hallucinogenic Frogs.

Di(o)scuro, con le sue atmosfere fumosissime, è la classica prova della maturità che si concretizza attraverso la riscoperta delle radici del rock classico, di cui il doom dei Black Sabbath fa parte a pienissimo titolo. Niente derive verso l’alternative rock, percorse da molti gruppi stoner fino a inflazionare il genere, ma una robusta e originale rilettura della lezione dei Padri Fondatori. Che dire ai Rudhen se non: bravi, continuate così?

Da ascoltare (e da vedere):

Il video di Magnetic Hole

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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