Spazzature digitali e altre amenità. Il ritorno dei Mudhoney
Con Digital Garbage il quartetto americano propone le sue sonorità di sempre, che ispirarono il grunge. Punk contemporaneo, protesta spinta e satira corrosiva nelle undici canzoni del loro nuovo album
Digital Garbage, ovvero spazzatura digitale. E i mitici Mudhoney riprendono la protesta – tanto per cambiare – contro l’estabilishment americano che, rispetto ai tempi di Bush (a cui nel 2006 avevano dedicato Where Is The Future) è diventato cyber e usa della rete a più non posso per pompare la propaganda.
Digital Garbage, ovvero undici brani nuovi di zecca usciti in autunno per la iconica Sub Pop, che segnano il ritorno della band pioniera del grunge ma epigona del protopunk degli Stooges, citati ogni due battute, e degli MC5 a cinque anni di distanza dal tosto Vanishing Point.
La musica è quella di sempre: un punk perennemente contemporaneo con puntate (appunto…) verso il grunge e qualche tirata hardcore. Né potrebbe essere altrimenti, per una band che ha fatto della coerenza il proprio vessillo e si ripresenta con una formazione stabile dal 2001.
Niente virtuosismi e finezze, solo un rock brado, praticamente lo stesso da sempre, perché sarebbe un peccato pretendere altro da un gruppo così seminale a cui forse sarebbero bastati i primi due album per passare di diritto alla storia del rock.
Basta sentire il giro di basso brado e leggermente distorto, senza nessuna cura apparente del sound, dell’opener Nerve Attack, per capire che davvero non è cambiato nulla. Però la sciatteria è solo un’apparenza, perché Guy Maddison sa usare le quattro corde meglio di quanto non sembri e infatti armonizza alla grande i vari passaggi del brano, lasciando alla chitarra di Steve Turner il compito di colpire con riff rozzi e distorti e a Dan Peters il ruolo di picchiatore sui tamburi, mentre il carismatico Mark Arm declama i versi allucinati come non avrebbe fatto neppure l’Iggy Pop delle origini.
Paranoid Core è un pezzone tiratissimo un po’ alla Dead Kennedys, in cui i Mudhoney se la prendono con l’uso disinvolto della disinformazione online attribuito a Trump e ai suoi fiancheggiatori. Un vero e proprio manuale in musica sulle fake news. Leggere per credere i versi a dir poco allucinati dell’attacco:
«Robots and aliens stealing jobs/They’re bringing drugs, they’ll rape your mom/ Beware the city’s dazzling lights/ Where dykes are waiting to steal your wife».
Tempi più cadenzati e andatura che evoca un funky sghembo in Please Mr. Gunman che culmina in un finale enfatico.
In Kill Yourself Live, i Mudhoney si danno alla satira contro la dipendenza da social con versi crudi come tutte le verità:
«When i kill myself live/I got so many likes/Go on give it a try/ Kill yourself live/ You’ll never be more famous/ You’ll never be more popular».
E poi i versi micidiali che danno il titolo all’album:
«You’ll live on in digital garbage/And you’ll live on/Lest we forget…».
Il tutto su un motivo scanzonato, commentato dagli accordi di una vecchia tastiera Farfisa.
Con la cupa e lenta Night And Fog si cambia registro e il sound vira verso certa psichedelia oscura pregna di suggestioni horror a cui, per fare degli esempi, non sono stati estranei alcuni grandi come i Cramps (e forse non è un caso che la voce di Arm ricordi a tratti quella del compianto Lux Interior).
La tosta 21st Century Pharisees è un hardcore vecchia scuola cadenzatissimo e pieno di stop and go cantato a botte di declamazioni e urla.
Hey Neanderfuck è un’altra tirata a cavallo tra hardcore e neopsichedelia marcata a fuoco dai riff rozzissimi delle chitarre che navigano su un tappeto ritmico funkeggiante con una bella linea di basso in evidenza.
Prosperity Gospel è una durissima parodia a tempo di hardcore ska del sogno americano naufragato in un’economia della truffa costellata dagli abusi:
«Fuck the planet/Screw your children/Get rich/You win!/Build a prison/Pack em in/Get rich/You Win!/Mortgage crisis/ Steal people’s homes/Get rich/You win!».
La lenta Messiah’s Lament è un atto d’accusa alle ipocrisie religiose in forma di stralunata ballad psichedelica.
Un’armonica a bocca sulfurea introduce il riff trucido di Next Mass Extinction, un brano allucinato in cui il garage e lo stoner rock si incrociano nel segno della psichedelia più becera.
Chiude la garagissima Oh Yeah, un minuto e mezzo di punk retrò nello stile degli esordi di fine anni ’80.
Essere una cult band e sopravvivere alla moda a cui si è data più di un’ispirazione non è da tutti. I Mudhoney ci sono riusciti e Digital Garbage, decimo album in trent’anni di carriera lo dimostra: già alfieri della rabbia della cosiddetta Generazione X e ora post yuppies over 50, Arm e soci sono invecchiati senza mai maturare. Un primato non da poco, perché forse solo la follia lucida è l’unico elisir credibile di lunga vita.
Godiamoceli, allora, con l’augurio che restino sempre così. Perché di ipotetici Mudhoney educati, imborghesiti (e che magari si danno al metal per dimostrare di aver imparato a suonare come si deve) non sapremmo che farcene.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Mudhoney
Da ascoltare (e da vedere):
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