Il diavolo in musica (e non solo) nelle controculture rock
Da Charles Manson ai metallari satanisti che misero a ferro e fuoco la Norvegia ventisei anni fa. Una mini storia degli aspetti più oscuri della cultura del Ventesimo secolo in “Suoni dal buio”, il libro della criminologa Chiara Penna e del musicista Claudio Mangolini
Il diavolo, si presume.
E allora, nell’album di famiglia c’è necessariamente Charles Manson, capo carismatico con corposi precedenti alle spalle, un minimo talento musicale e un fascino indiscutibile, che ordinò alla sua Family la strage di Cielo Drive (sì, proprio quella in cui morì l’attrice Sharon Tate, ecc.ecc.), più altri delitti, i quali macchiarono di sangue i sogni della stagione hippe e della Summer Of Love.
E ancora: Anton Szandor LaVey, personaggio interessantissimo e quantomeno equivoco, organista ed ex circense, cultore del pensiero di Aleister Crowley (il mago inglese che piaceva ai Beatles ma anche ad Ozzy Osbourne) e quindi autoproclamato papa nero della Chiesa di Satana, nonché fondatore del satanismo razionale, che viene contrapposto a quello acido dagli addetti ai lavori.
E come non menzionare il bizzarro cineasta sperimentale Kenneth Anger, noto per alcuni corti artistici a dir poco borderline (ne citiamo due: Inauguration Of The Pleasure Dome e Lucifer Rising)?
Posticcio o meno, l’odore di zolfo c’è tutto, magari coperto dagli incensi e innaffiato con quell’acido lisergico che, proprio a partire dagli anni ’60, iniziò ad andare di gran moda, non solo tra gli artisti e i cineasti che avevano frequentato almeno uno dei tre personaggi in questione.
A proposito di diavoli e demonolatri, è impossibile non fare una riflessione sulle tragedie esplose nella scena black metal norvegese degli anni ’90, a partire dal suicidio di Dead (1991), lo stralunato cantante dei Mayhem, per finire con la morte di Euronymus (1993) chitarrista della medesima band, ucciso da Vag Vikerness leader della one mand band Burzum.
Nel mezzo, atti di vandalismo nei confronti delle istituzioni religiose – restano celebri i roghi delle chiese norvegesi -, minacce e tentati omicidi. Una breve stagione di sangue, cementatasi attorno all’Helvete (è persino banale specificare che in italiano significa inferno), il negozio di dischi fondato da Euronymus, e consolidatasi nell’Inner Circle, il gruppo di fanatici del black metal legatissimi al defunto chitarrista. L’arresto di Vikerness spense i rigurgiti di teppismo sanguinario e iconoclasta, ma non impedì che certi deliri contagiassero la dirimpettaia Svezia.
Come discesa agli inferi non c’è male. E ce la raccontano, con forte senso della sintesi ma anche con un gran gusto dei dettagli, due autori decisamente agli antipodi, professionali e geografici: Chiara Penna e Claudio Mangolini, nel loro Suoni dal buio, fresco di stampa delle Edizioni Il Foglio di Piombino.
Cosentina, avvocata penalista e criminologa lei, torinese, musicista e giornalista freelance lui. Ma siccome il diavolo è nei dettagli, a spulciare di più si scopre che la Penna è una ex ballerina con la passione per il rock e Mangolini coltiva letture sui casi di cronaca nera, sui serial killer e sulla psicanalisi junghiana.
Proprio questo mix di competenze stratificate consente ai due di raccontare i rapporti proibiti tra l’immaginario rock (non solo musicale, ma anche cinematografico e figurativo) e le controculture, esoteriche e non, più pericolose.
Un racconto, il loro, che si snoda attraverso alcuni episodi significativi e mira a fornire al lettore un primo approccio, ragionato e laico, sull’argomento.
In altre parole, Suoni dal buio non è un testo ultraspecializzato come i lavori dedicati da Antonello Cresti – si pensi al monumentale Come To The Sabbath – ai rapporti tra rock e (contro)culture esoteriche o come l’inchiesta dettagliatissima di Michael Moyniham e Didrik Soderlind sulla storia del metal satanico scandinavo (imprescindibile, al riguardo, il loro Lords Of Chaos). No, come recita il sottotitolo, Penna e Mangolini si sono semplicemente proposti di fornire Appunti di musica, cronaca e visioni.
E questa scelta, considerata la bibliografia a dir poco sterminata su ciascuno degli argomenti e personaggi trattati, è il punto di forza del libro, che riesce a dare una visione d’assieme senza appesantire e, soprattutto, fornendo molti stimoli ai più curiosi.
Qual è il filo rosso che lega Manson, LaVey e Anger a tutto quel che è venuto dopo?
A rigore, si dovrebbe parlare di fili, che sono molti e di vario genere: c’è il percorso carsico tipico delle controculture, che affiora più volte nel mainstream; c’è la rete delle relazioni personali (i rapporti tra Manson e i Beach Boys e la fitta ragnatela delle frequentazioni altolocate di LaVey) e c’è quell’esigenza fortissima di stimoli, da rielaborare e rilanciare, senza la quale l’arte non esisterebbe.
C’è di tutto, tranne i complotti e le trame sataniche. Già, i due autori giocano molto a poliziotto buono, poliziotto cattivo e se Mangolini spinge a manetta sul versante della suggestione, Penna demistifica il tutto in punta di analisi secche e chirurgiche.
Il passato deviante di Mason col suo carico di frustrazioni e ansie di rivalsa, è secondo la criminologa calabrese, la principale spiegazione delle visioni secondo cui la beatlesiana Helter Skelter sarebbe diventata nella mente del leader della Family l’annuncio di una guerra razziale che avrebbe spazzato via i bianchi.
Discorso in parte analogo per la predicazione di LaVey, che influì su musicisti e cineasti (emblematica la consulenza rilasciata a Polanski che chiese la consulenza per Rosemary’s Baby): il contropapa della Church Of Satan, traghettò nella nascente cultura rock le tesi di Crowley, lette soprattutto sotto il profilo libertario e influenzò col suo eccezionale carisma molti artisti, tra cui lo stesso Anger.
Ma il diavolo, in questi casi, c’entra davvero poco: le tecniche suggestive e le manipolazioni psicologiche dei due controsantoni risultano uguali, a un esame spassionato, a quelle che avvengono in tutte le psicosette, incluse quelle di ispirazione cristiana o legate alle religioni tradizionali, di cui sono propaggini devianti.
Se è vero che Luciferoè un angelo caduto, è altrettanto vero che i meccanismi che funzionano con lui funzionano anche al contrario e le seduzioni del male possono pervertire anche il bene. Si può ammazzare o indurre ad ammazzare, truffare e istigare all’odio anche in nome di Gesù, di Allah o di Budda, come confermano le cronache con abbondanza di morbosità e truculenze. La spiegazione della saldatura, più o meno esplicita, tra cultura rock e controculture più o meno esoteriche va cercata, semmai, nel fatto che il rock è stata la controcultura di maggior successo dello scorso secolo: nato come genere giovanile di rottura dai marcati accenti ribellistici, il rock si è rivelato un canale formidabile per il travaso nel mainstream delle culture non occidentali (si pensi alla fascinazione per l’Oriente e per l’India).
Un discorso simile vale anche per l’estremismo trucido e acido dei metallari satanisti scandinavi, nel cui immaginario si mescolano – senza soluzione di continuità e con gran confusione – satanismo, neonazismo, neopaganesimo nordico ecc.
Su coordinate simili si muove la riflessione sui cosiddetti messaggi subliminali, che per molti novelli inquisitori sarebbero la prova delle suggestioni sataniche. Siamo sicuri, si chiedono i due autori, che le manipolazioni sonore (che tra l’altro non funzionano nella musica digitale) siano state solo un dop di certa musica oppure non siano stati usati a lungo con intenzioni più pericolose per la libertà dell’individuo anche quando il diavolo non c’entrava? L’uso dei messaggi subliminali nella pubblicità o a scopi politici – anche in democrazia – è stato probabilmente più massiccio e invasivo di quello accusato nella musica, con buona pace dei demonologi pret a portér.
E ciò riporta alla concezione laica di Suoni dal buio, che spiega senza prendere altre posizioni all’infuori della corretta informazione, in questo caso non solo cronachistica ma anche scientifica. Sapere è il miglior modo di difendersi, dal diavolo come da chi pronuncia il nome di Dio invano.
Diviso in sei capitoli – a proposito di diavoli… – il libro ha una corposa parte speciale dedicata all’esame di otto canzoni simbolo (cap. 4) del fenomeno, agli influssi occulti o comunque strani sull’underground italiano (cap. 5) e ai rapporti tra musica e cinema di matrice più o meno occulta.
Nulla o poco che il lettore scafato sull’argomento spesso non sappia già. Ma anche questa seconda metà del viaggio è piacevole sotto la guida di Penna e Mangolini.
Ed ecco che Helter Skelter, vivisezionata a dovere, acquista un significato particolare accostata alle prurigini sessuali della stonesiana Stray Cat Blues, alle divagazioni sentimental-lisergiche dei Beach Boys di Never Learn Not To Love, al delirio acido del Charles Manson musical-galeotto di People Say I’m Not No Good, alla narrazione agghiacciante e disincantata di Revolution Blues di Neil Young. Per non parlare del trittico finale, in cui il testo più accettabile è quello di (Don’t Fear) The Reaper dei Blue Oyster Cult, a dispetto del fatto che non troppo tra le righe sia facile leggervi un’istigazione al suicidio. Il resto è decisamente peggio: si va dalla descrizione minuziosa ed esplicita della scoptofilia in Voyeur dei Venom (paradossalmente uno dei pochi brani della band britannica di ispirazione non satanica) alla necrofilia dei Mahyem di Chainsaw Gutsfuck.
Dall’underground italiano arrivano invece le vere chicche: se artisti come i Metamorfosi di Inferno e Antonius Rex di Zora sono conosciuti e apprezzati dagli esperti del progressive italiano, i misconosciuti Fabio Celli e gli Infermieri e gli zappiani Jek Dicoppe e Kilroy sono piccole rivelazioni. E ha tutta l’aria di un cameo la menzione de Le Streghe, trio danzereccio dell’Italia del riflusso di fine anni ’70.
Sul versante cinematico, si prosegue con l’alternanza tra big (Carpenter, Argento, Avati e Visconti) e registi minori di culto, fino ad approdare al delirio psicotico di Ex Drummer dotato di una trama che non ha nulla da invidiare per eccessi a Trainspotting.
Il tutto in appena 164 pagine di agevole lettura e bene illustrate, al termine delle quali il diavolo apparirà meno offensivo di come certi santocchi d’assalto se lo figurino.
È tutta una questione di conoscenza e buon senso: più si sa e meno ci si fa fregare. Oppure: se lo conosci lo eviti o, se proprio non puoi evitare, lo tieni a bada.
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