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Anna Calvi, il ritorno di una cacciatrice spietata d’amore

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Nel suo ultimo The Hunter la giovane artista italobritannica racconta la sua bisessualità. Ma, soprattutto, sforna dieci perle di pop rock ad altissimi livelli

Diciamo subito che, dal nostro punto di vista, non è il caso di prendere troppo sul serio la recente ispirazione transgender di Anna Calvi, che ha tutta l’aria di un’abile campagna di marketing basata sulle tematiche queer che oggi usano tanto.

Semmai, è opportuno concentrarci sul valore musicale, davvero alto di Hunter, uscito da un paio di mesi per la Domino, che ha convinto la critica e gli ascoltatori, che hanno fatto scalare all’ultimo album della giovane cantautrice britannica di origini italiane le più importanti classifiche internazionali.

La copertina di Hunter

In parole povere, le traversie sentimentali di miss Calvi, uscita da una tormentata storia d’amore per lanciarsi in un nuovo rapporto lesbico con una compagna francese, sono affari di miss Calvi, anche se ispirano pesantemente la sua poetica. La musica, invece, no: riguarda tutti.

E non diciamo questo sulla base di pregiudizi, ma perché riteniamo davvero limitativo legare il giudizio su un notevole prodotto artistico come Hunter a tematiche postsessuali e postfemministe da tabloid o da riviste di gossip. Tanto più che gli anni ’60 e il loro santonismo sono lontani e il pubblico normale sa benissimo che quelle della Calvi sono le classiche scelte che una star può intreprendere con più libertà rispetto a chi è costretto a fare i conti con la quotidianità.

Sono lontani anche gli anni ’80, in cui la tematica gay veniva affrontata in maniera sindacale e trasgressiva dai gruppi bandiera dell’epoca, come i britannici Bronski Beat o gli americani Frankie Goes To Holliwood.

Di tutto questo nei testi di Hunter resta solo un ripiegamento privato e ad uso privato di tematiche delicate che necessiterebbero riflessioni ben diverse: una civetteria con l’ambiguità alla David Bowie vecchia maniera, che puzza di artefatto lontano un miglio.

Meglio, decisamente meglio, la musica, che ci consegna una artista giunta al terzo album in gran forma e molto ispirata, almeno su pentagramma, e che riesce ad affrontare il saturissimo mondo del pop con quel piglio originale che le deriva da anni di vicinanza alla scena indie, in cui ha potuto contare sull’appoggio di big come gli Interpol, e di frequentazioni alte, come Nick Cave e Brian Eno, i suoi padrini artistici.

Hunter ha avuto e ha il successo che merita perché è un esempio raffinato e creativo di pop rock, pieno di garbati richiami vintage agli anni ’80, di sconfinamenti nel funky e di consistenti ammiccamenti rock.

Anna Calvi sul palco con l’inseparabile Telecaster

Merito della produzione profonda e cristallina allo stesso tempo di Nick Launay. Merito anche dell’ottima squadra di comprimari che ha accompagnato la Nostra in quest’avventura, provenienti dalla scena rock che conta: il batterista Alex Thomas, che milita negli sperimentalissimi Squarepusher e vanta una collaborazione con l’ex Velvet Underground John Cale; il chitarrista Adrian Utley, che vanta un curriculum chilometrico e complesso, in cui le performance jazz coesistono senza problemi con le collaborazioni con Jeff Beck e Marilyn Manson, il bassista Martyn P. Casey, che proviene dalla corte di Nick Cave, e una nutrita sezione d’archi, in cui non si può omettere la violinista Fiona Brice, passata dai Simply Red ai Placebo.

Merito, infine e soprattutto, di Anna Calvi, che vanta doti notevoli sia come cantante sia come chitarrista e violinista.

E tutto questo si sente, eccome, a partire dall’opener As A Man, in cui Anna gorgheggia alla grande con timbriche che richiamano un po’ Shirley Bassey su un ritmo funky pop lineare e piacevolissimo gestito in crescendo e culminante in una parte strumentale ariosa ed epica.

La title track Hunter, accompagnata da un video ai limiti dell’hard, è una ballata sensuale dai toni notturni ma mai languida. Una dichiarazione di (dis)identità sessuale interpretata con gran classe ma da prendere sul serio solo come autobiografia dell’artista.

Don’t Beat The Girl Out Of My Boy, aspetto queer a parte, è un pop rock scattante, in cui una ritmica sostenuta lega bene l’arrangiamento prevalentemente acustico con la parte elettrica (ottimo l’assolo jazzato di Utley). Su tutto, l’incredibile voce di Anna, che passa dai sospiri agli acuti con una facilità estrema.

Indies In Paradise è un esempio di post pop ben arrangiato, che riprende la lezione della Madonna più elettronica e la porta a vette artistiche più consistenti, grazie alle qualità artistiche spiccate della giovane britannica. E, visto che arte significa anche eclettismo, non si può passare proprio sotto silenzio il lancinante assolo noise della chitarra, che parafrasa il migliore Reeves Gabrels.

Una delicata intro acustica crea il piccolo miracolo musicale su cui si regge la sognante e maestosa Swimming Pool, un inno alla lussuria in chiave new age reso rovente dalla strepitosa performance della cantante, che dà letteralmente fondo alle proprie capacità vocali. A giudizio di chi scrive, il miglior pezzo dell’album.

Con Alpha, che allude al carattere dominante dell’energia sessuale (maschile o femminile non importa) si torna su coordinate funky pop, tra l’altro interpretate con grande originalità: il ritmo è bizzarro e saltellante, farcito di controtempi, l’armonia minimale e il crescendo contenuto. Il tutto culmina in un’esplosione noise della chitarra al culmine della distorsione.

Più lineare, Chains è un pop rock robusto ed energico, impreziosito dal cantato potentissimo e dai fraseggi liquidi e nervosi della chitarra, che si lancia in scorribande bluesseggianti.

Wish è un funky notturno dai colori vagamente new wave e dalle aperture melodiche ariose nei cori rallentati che creano un gradevole contrasto con il crescendo movimentato del refrain.

Away è il momento più intimista. Il titolo evoca la fuga, ma la prigione sembra tutta interiore: lo si intuisce dall’arrangiamento minimale, per sola chitarra e voce, arricchito nel finale da un delicato tappeto d’archi.

Con Eden Anna Calvi saluta gli ascoltatori nel segno della complessità. Non è facile trovare un’altra definizione per una canzone che si tiene in equilibrio tra minimalismo new age e pomposità pop, delicatezza melodica ed epicità del refrain.

Anna Calvi in concerto

Un commiato da standig ovation per un album di alto profilo. E lasciamo stare l’aspetto gender, che in questo caso è davvero un optional. Al più, una furbata per far parlare di Hunter riviste e giornalisti che, altrimenti, non avrebbero scritto un rigo.

Ma la musica è un’altra cosa. Ed è quanto basta per dire che Anna Calvi è una grande artista.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale di Anna Calvi

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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