Dal Maryland con furore, i metalmeccanici del rock colpiscono ancora
I Clutch tornano alla grande con Book Of Bad Decisions, quindici brani tra southern, stoner e rock blues, tosti ma a volte anche da ballare…
Ruspanti, tosti e gradevolmente seventies, i Clutch sono tornati con loro recentissimo – e diciamolo subito: davvero bello – Book Of Bad Decisions (Weathermaker), che chiude un’ideale trilogia iniziata nel 2013 con Earth Rocker e proseguita nel 2015 con Psychic Warfare.
E sì, sono sempre loro, il cantante tastierista Neill Fallon, il chitarrista Tim Stult, il bassista Dan Maines e il batterista Jean-Paul Gaster, con il consueto miscuglio di stoner e southern rock rovente e le tute da matalmeccanico. Groove e rozzezza eletti a cifra artistica. A dop rockeggiante del Sud profondo degli Usa.
Il quartetto del Maryland riesce ad essere fedele a sé stesso a dispetto dei quasi trent’anni di carriera e riproporre la propria formula, dimostratasi vincente sin dai primi ’90, senza ripetersi.
Infatti, non c’è un solo cenno di stanchezza o di autocompiacimento nelle 15 canzoni che compongono quest’ultima fatica. Con una durata media di tre minuti e mezzo a brano, i cinquanta minuti circa del disco scorrono via che è una bellezza e lasciano l’ascoltatore galvanizzato: niente fronzoli né ghirigori, che tra l’altro stonerebbero nel contesto, ma rock sano e martellante, a tratti persino ballabile e comune sempre divertente.
Gimme The Keys rompe il ghiaccio con una intro vagamente psichedelica ed esplode subito in un potentissimo garage rock, con ritmi ora martellanti e ora tribali, su cui si stagliano imperativi il vocione di Fallon e i riff trucidi di Stult.
La cadenzata Spirit Of ’76 è un crossover da manuale tra stoner e southern, grazie al riff sulfureo che evoca contemporaneamente Iommi e Gibbons. Belle anche le incursioni soliste, che danno una verniciata acida al sound.
L’attacco minimale di Book Of Bad Decisions, la title track, ricorda un po’ gli U2 vecchia maniera (avete presente Bullett In A Blue Sky?), ma è solo un’impressione, perché il pezzo si lancia in un rock blues psichedelico, con il basso essenziale e pulsante di Maines sugli scudi.
La schizoide How To Shake Hands è un divertissment allucinato in cui il barbuto e massiccio frontman canta e declama ciò che farebbe se fosse lui il presidente degli Usa. I continui riferimenti a Jimi Hendrix nel coro fanno ben sperare.
In Walks Barbarella è un funky ballabile e divertente, impreziosito da una sezione fiati efficacissima, interpretato in maniera efficacissima da Fallon, che riesce a sembrare un James Brown in chiave metal.
Introdotto da un piano martellante, Vision Quest è un rock ’n roll violento e stralunato, che rinvia a tratti ai Motorhead più scanzonati.
Una rullata violenta apre la veloce Weird Times, un’efficace puntata nel protometal.
Emily Dickinson, omaggio bizzarro alla grande poetessa americana, è un rock rock blues massiccio impreziosito dal ruggito dell’organo hammond nel coro.
Decisamente più leggera, Sonic Counselor è un r&b con un andamento funky marcato da un riff tosto ed efficace.
A Good Fire, ovvero il boogie secondo i Clutch: un brano durissimo dall’impostazione settantiana e dal ritmo che definire martellante è poco.
Ghoul Wrangler è un rock blues serrato dalle sonorità pesanti. Interessante il bridge che pesca a piene mani dal protometal di fine ’60.
H.B. In Control è un crossover granitico dall’ispirazione bluessegiante su cui Fallon urla e declama a piena raucedine.
Hot Bottom Feeder è un southern rivisto e scorretto dalle sonorità pesanti e pastosissime, grazie a un uso del wha wha decisamente vintage.
La stessa formula torna in Paper & Strife, che contiene anche qualche riferimento agli Hawkwind più d’annata.
Lorelei, che chiude l’album, è il massimo della dolcezza che i Clutch possono esprimere: una ballad sui generis dal refrain tenebroso e dal coro urlato su un crescendo rumorosissimo.
I quattro ragazzi del Maryland si rivelano attempati ma non invecchiati. O meglio, invecchiati bene come può essere solo il vino buono imbottigliato come si deve.
Per restare al paragone coi vini, i Clutch sono ottimi per un bel pranzo a base di bistecche, perché le loro sonorità grezze rendono digeribili anche le pietre. Le anime delicate si astengano, perché la violenza sonora del quartetto potrebbe davvero risultare nociva. Ma solo loro. Ai gourmet del rock, invece, buon ascolto.
Da ascoltare (e da vedere):
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