Thornstar, un concept arcaico per i paladini del metal futuribile
Venti brani dedicati alla Pangea e all’Atlantide del Nord nel sesto album dei teutonici Lord Of The Lost, che citano Marilyn Manson, sognano gli anni ottanta e suonano il tutto con competenza e pesantezza
Sì, è un altro concept, dedicato stavolta alla mitologia norrena. La storia riguarda la Pangea, il mitico continente unico, e i pangeani, i suoi abitanti. Inoltre, i motivi salienti di questa storia si legherebbero alla cosiddetta Atlantide del Nord.
Questo ed altro, con dovizia di dettagli, è il piatto forte di Thornstar, uscito da poco per Napalm Records, sesto album in studio dei teutonici Lord Of The Lost, attivi dal 2007 e autori di una discografia sconfinata in termini di album, ep, singoli, album live, dvd, vinili e collaborazioni.
Ovviamente la mitologia, più o meno romanzata e ritoccata, non è l’unico stimolo di Chris Harms, cantante-chitarrista-violoncellista e leader fondatore della band, dotato di un immaginario artistico a metà tra il caleidoscopio e il tritacarne, in cui passa davvero di tutto: dall’industrial metal al dark passando per le stramberie di Marilyn Manson, più delle spruzzatine di new wave che, a dirla tutta, non stonano nel contesto. Anzi.
Il problema vero, semmai, è la ricerca di una sintesi tra tutti questi elementi: quando questa c’è, si ha a che fare con prodotti notevoli, in cui anche gli aspetti più kitch diventano sfumature artistiche, quando non c’è, invece, si scade nel patchwork e, più che col kitch, si ha a che fare con la tamarragine vera e propria.
A proposito di eclettismo e di stranezze, non si può proprio fare a meno di notare i sottintesi un po’ blasfemi della opener track, significativamente intitolata On This Rock I Will Build My Church, con palese riferimento al sacramento petrino.
A livello musicale, il citazionismo di mr Harms e soci (il bassista Class Grenayde, il tastierista-percussionista Gared Dirge, il chitarrista TT e il batterista Niklas Kahl) mescola l’industrial alla Ramnestein, cenni di dark wave e new metal, grazie soprattutto al camaleontismo vocale del frontman, capace di passare dal growl a timbriche oscure degne del miglior Peter Murphy d’antan, allo screaming più sfacciato.
Nella seguente Loreley l’elettronica e le citazioni ottantiane prendono il sopravvento, tanto che a tratti si ha l’impressione di ascoltare i Depeche Mode in chiave metal.
Una corposa introduzione al violoncello apre Black Halo. Il pezzo si snoda su una ritmica danzereccia che ricorda un po’ i Crematory, tranne per il cantato di Harms, che insiste sul versante new wave e fa solo qualche puntatina nello screaming, giusto per ricordare che comunque si tratta di metal.
In In Our Hands prosegue il crossover tra new wave, elettronica ballabile e industrial, con un ammorbidimento significativo del sound, che però non alleggerisce l’impatto, visto che i Lord Of The Lost compensano i cali di durezza con una poetica sonora che resta sempre cupa.
Morgana ripropone lo stesso crossover, virato però in chiave più epica (nel refrain) e con più robusti riferimenti al metal (nei cori).
Haytohor, dedicato alla protodivinità di Thor, è un’altra minienciclopedia del post metal contemporaneo, in cui si mescolano metal, epic e dark, stavolta su una base industrial.
In Naxxar il citazionismo si fa più spinto e lambisce il doom, che risulta comunque diluito dal refrain pomposissimo ed epico.
Cut Me Out mescola ancora l’elettronica (più qualche richiamo pop) al metal. Un altro caleidoscopio ben equilibrato grazie a una melodia evocativa e sognante.
The Mortarian è un esperimento curioso – e tutto sommato riuscito – di come si possa fare metal senza usare le sonorità tipiche: il più del brano si muove su un tappetone elettronico, ma l’interpretazione, molto incisiva, spinge verso lidi pesantissimi.
Under The Sun è un altro mini zibaldone a base di elettronica, che lega il refrain new wave a intermezzi melodici di inusitata dolcezza e a crescendo tosti che sfociano in cori esplosivi degni dei migliori Judas Priest.
Atmosfere epiche ed evocative in In Darkness, In Light, che ripropone il consueto crossover su un tempo marziale.
Forevermore mescola per l’ennesima volta i Depeche Mode con i Ramnestein, tra atmosfere epiche, rimi tanz, melodie suadenti e bridge storpiati in growl.
La parte concept di Thornstar termina con la movimentissima Ruins, che non solo concentra tutto l’incredibile crossover sentito fin qui in circa sei minuti ma vi aggiunge anche delle sfuriate significative in stile death-thrash, con tanto di doppia cassa in bella evidenza.
Anche la parte propriamente metal (sebbene iperedulcorata) dell’album finisce qui, perché nel secondo cd i Lord Of Lost premono nella direzione del tanz più spinto.
Ed ecco che Abradacabra fa il verso ai Ramnestein più ballabili. Grazie anche a un ospite d’eccezione: Dero Goi, il leader fondatore degli Oompph, band di punta del gothic-industrial metal tedesco.
Voodoo Doll è praticamente fuori genere: un cupo ballabile 80’s in cui l’unico fragore è dato dai volumi della chitarra elettrica nei cori.
The Art Of Love riprende la formula crossover, con un accento particolare sull’aspetto più gotico e doom della poetica complessa e onnivora di mr Harms.
Molto più canonica, Lily Of The Vale, è un tiratissimo black metal che ha poco da invidiare, per violenza sonora, ai classici norvegesi. Ma il diavolo è nei dettagli e il retropensiero ironico emerge subito, visto che il titolo del pezzo, tradotto in italiano, indica il mughetto, un fiore non proprio in sintonia con la violenza.
Penta è un altro crossover in cui il goth rock alla Andy Sex Gang si arricchisce di stilemi black metal.
Free Radicals è un brano di new wave classica in cui di metal ci sono solo le incursioni delle chitarre.
Live Day Pray Repeat chiude tutta la sarabanda sonora con un omaggio ai Crematory, ma con meno scream e più melodia, più qualche passaggio doom.
Sottovalutato da quel po’ che sopravvive della critica rock nostrana, Thornstar è un album più che meritevole: prodotto in maniera egregia e ben concepito, offre in un’ora e mezza di durata una varietà sonora incredibile. E forse l’unico difetto è proprio questa varietà, che può risultare eccessiva e un po’ spiazzante. Ma il troppo, checché ne pensino certi critici spesso improvvisati, in questo caso non stroppia.
Forse per ascoltare tutto il doppio (che sfiora l’ora e mezza) occorre armarsi di pazienza. Ma non ne serve troppa, perché il concept occupa solo uno dei cd, mentre il secondo è di più facile ascolto.
È vero pure che forse i Lord Of The Lost non hanno una personalità musicale troppo definita. Ma di fronte a tanta versatilità non è una gran perdita.
Thornstar merita attenzione e più ascolti perché chiunque può riuscire a trovare spunti interessanti tra i suoi brani. E di questi tempi non è davvero poco.
Da ascoltare (e da vedere):
9,112 total views, 8 views today
Comments