Crossing The Tracks, torna il violino di David Cross
Il mostro sacro del prog ed ex King Crimson interpreta dodici brani di world music dalle forti suggestioni orientaleggianti
È una scommessa, come racconta lo stesso autore. Ma soprattutto è un ritorno a dir poco gradito. Crossing The Tracks, oltre che il titolo di un gran bell’album, è un gioco di parole, visto che il frutto di un’idea elaborata dalla Cleopatra Records e dal produttore Jurgen Engler ma realizzata da David Cross, musicista di lunghissimo corso, professore della London Metropolitan University, figura di prima grandezza del progressive rock inglese e storico violinista dei King Crimson.
Come biglietto da visita non c’è male.
Ora tocca chiarire due cose.
Innanzitutto in cosa sia consistita la scommessa da cui è sorto Crossing The Tracks. E questo lo ha raccontato lo stesso Cross: «La casa discografica e il produttore mi hanno consegnato dodici canzoni da interpretare in piena libertà. Ciò mi ha preso in contropiede perché io sono essenzialmente un compositore e un produttore e non un turnista. Tuttavia l’idea di poter gestire questo progetto in totale libertà artistica è stata troppo allettante per resistere».
La seconda cosa da chiarire è che, a dispetto del passato dell’artista britannico, in questo album non c’è alcuna traccia del progressive cerebrale e inquietante dei Crimson. Crossing The Tracks, semmai, punta dritto alla world music, con dodici brani, tra cantati e strumentali, in cui il violino di Cross traccia arabeschi e divagazioni orientaleggianti.
E c’è da dire che la scommessa è riuscita.
L’album si apre sulle armonie asiatiche di White Bird, su cui Sonja Kraushofer lancia un canto angelico infiorettato dal violino, acustico ed elettrico.
Kalahari Fantasy va più a fondo nella world: stavolta il violino, grazie anche a distorsioni a tratti chitarristiche, è padrone della piazza e domina un ritmo suggestivo disegnato dai sequencer e le sonorità espanse del sitar.
Anne-Marie Hurst (già cantante dei Ghost Dance, Elements e Skeletal Family) è la protagonista di For What It’s Worth, caratterizzata da una bella melodia pop, su cui Cross si sbizzarrisce alla grande con fraseggi country rock sporcati da un uso interessante del wha wha.
Prince Of Darkness è il pezzo più cinematico, grazie a un gioco sapiente delle dissonanze e da una lettura visionaria delle melodie accompagnante da armonie suggestive e a tratti ariose su un incedere ritmico tribale.
Love Me è la versione stravolta del classico della compianta Ofra Haza, la cui voce risorge grazie a un intelligente campionamento e si fonde con le sciabolate del violino.
Le suggestioni cinematiche ritornano nella strumentale Into The Oblique, in cui il violino gioca con una melodia allucinata con sonorità strazianti.
In The Light Inside Me si segnala la bella performance di Kimberly Freeman, che in questo caso si spoglia delle trasgressioni sexy-emo degli One-Eyed Doll e si lascia andare a una melodia da sogno.
Il violino torna protagonista incontrastato in Shifting Sands, una pièce epica dall’incedere sontuoso e dalla melodia eterea.
A proposito di epicità, non può proprio passare in secondo piano l’eccellente Hero Of The Kingdom, interpretata con grande enfasi da Marion Kuchenmeister.
Ma in Hallelujah Cross si spinge oltre e forza il suo strumento a botte di virtuosismi con cui altera l’impianto tzigano della linea melodica.
The Key è un’altra bella melodia mediorientale interpretata dalla mai troppo compianta Ofra Haza che duetta col violino imbizzarrito dell’artista inglese.
Shadows Do Know chiude con le suggestioni gotiche che solo la vocalità inquietante e ruvida di Eva O, la tenebrosa vocalist dei Christian Death, sa evocare.
Sì, David Cross ha fatto bene ad accettare la scommessa perché ha vinto su tutta la linea, grazie al suo tocco, al suo gusto e al suo virtuosismo, sempre centrato e mai eccessivo.
Una scommessa vinta a beneficio degli ascoltatori, che possono apprezzare quanto valga l’apporto artistico di una vecchia gloria su una nuova musica.
Da ascoltare:
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