Death Valley Girls, il lato oscuro della California più vintage
Garage rock, proto metal e proto punk, più stoner e psichedelia a piene mani in Darkness Rains, l’ultimo album con cui la vintage band di Bonnie Bloomgarden tenta il meritato salto di qualità
Allora, ci sono pezzi dai suoni grezzi e distorti, che a volte tendono al doom e fanno un po’ stoner, altri oscillano tra il garage rock e il proto metal, con un po’ di psichedelia per gradire.
Poi ci sono le ritmiche martellanti, a volte tribali. A questo aggiungiamo la voce allucinata di Bonnie Bloomgarden, che sarebbe persino sexy senza quell’aria da invasata che trapela dal microfono e sul palco, più l’immaginario tardo ’60 primi ’70, in cui la Manson Family e le sue gesta atroci hanno un ruolo di primissimo piano, e le fascinazioni (non solo) estetiche dei b movies in bianco e nero del primo Russ Meyer con la mitica Tura Satana.
La somma di tutti questi elementi, senz’altro algebrica ma non poco problematica, ci dà i californiani Death Valley Girls, che rinverdiscono il lato oscuro della concezione, anzi visione hippie ben affogata in litri di acido lisergico e fumigata da combustioni non proprio benefiche.
La band, composta dalla Bloomgarden che si destreggia tra voce, chitarra e tastiera, e dal chitarrista Larry Schemel, proveniente dai seminali Flesh Eaters, è giunta con Darkness Rains al traguardo del terzo album, dopo il passaggio alla Suicide Squeeze Records, con cui tentano il salto di qualità dopo una buona affermazione nella scena underground internazionale. Completano la formazione, di cui la frontgirl e il chitarrista sono gli unici membri fissi, la bassista Alana Amran e la batterista Laura Harris.
Non poteva mancare la benedizione di un padrino di prima grandezza: Iggy Pop, che interpreta il video di Disaster (Is What We’re After). Con tutto questo popò di roba e un battage niente male nel mondo angloamericano, sbagliare è quasi impossibile.
E infatti i nostri azzeccano il colpo e sfornano dieci canzoni in cui tritano e sputano le influenze più disparate e trucide, dai Black Sabbath più acidi agli immancabili Stooges più qualcosa dei Cramps. Il tutto condito da riferimenti al punk che in questo melange sono irrinunciabili.
Il riff rozzissimo e la batteria martellante di More Dead apre le danze a metà con una scorribanda tra il protopunk e lo psychobilly.
Più spedita, (One Less Thing) Before I Die è un pugno nello stomaco di un minuto e mezzo pieno di stop and go e cambi di tempo che ricorda qualcosina degli Hawkwind più grevi.
La menzionata Disaster è un rockaccio dai tempi cadenzati, in cui la chitarra di Schemel dialoga (si fa per dire…) con un sax. Più che un duetto è una gara a chi suona più sporco.
Unzip Your Forehead è un protometal alla Stooges pieno di suggestioni psichedeliche, interpretate dagli arpeggi distorti della chitarra e dai cori allucinati della Bloomgarden.
Le suggestioni protopunk si fanno sentire forti in Wear Black, un cadenzato mid tempo dal refrain più lineare.
In Abre Camino i Nostri danno sfogo alle suggestioni occultiste con un doom sabbathiano pieno di contaminazioni tribali.
Born Again And Again ha un’andatura cantilenante che chiarisce come ancora oggi si possano mescolare lo stoner con il garage ed essere credibili.
Più veloce e quasi metallara, Street Justice omaggia i Sonic Youth di Evol con un cantato duro ed epico allo stesso tempo.
Occupation: Ghost Writer spinge il pedale sulla psichedelia grazie a una chitarra sporchissima e a tratti dissonante.
T.V. Jail On Mars è il brano meno rock e più allucinato della raccolta. Ascoltarlo rilassa le orecchie e lascia straniati. Non a caso chiude l’album, quasi a voler significare che i Death Valley Girls non lasciano in pace chi li sente neppure ad ascolto finito.
Inquietante, suggestivo ed efficacemente retrò, Darkness Rains è una bella conferma per Bloomgarden e soci. Giusto una raccomandazione prima di ascoltarlo: fate finta che la normalità non esista, resterete meno traumatizzati.
Da ascoltare (e da vedere):
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