I fratelli Hale ritornano più “Vicious” che mai
Nel loro nuovo album gli Halestorm si cimentano in sonorità molto dure tra il nu metal e l’alternative rock
A leggerne le sommarie biografie pubblicate in rete, parrebbe proprio che i fratelli Hale, la bionda e vitaminizzata cantante-chitarrista Lizzy e il batterista Arejay, siano i classici predestinati.
Cresciuti a pane e musica sin dalla più tenera età da genitori perlomeno sensibili, i due arrivano al primo demo nel 1999 e firmano quasi subito per una supermajor come la Atlantic.
Il resto ha una cronologia da star system: quattro album e altrettanti ep in circa 13 anni più una chitarra dedicata dalla Gibson a Lizzy, che sarà brava e carismatica ma non è mica George Benson o B. B. King, più il consueto outing a sfondo sentimental-privato della Nostra, che per non farsi mancare niente ha dichiarato su Twitter la propria bisessualità.
Ma Halestorm, il progetto musicale creato e capitanato dai due fratelli, non è solo una band da tavolino: hanno grinta e genuinità da vendere. Che emerge soprattutto dal vivo e, con l’aiuto di una buona produzione, si conferma su disco.
Come nel recente Vicious, uscito ad agosto, che propone suoni cattivissimi e graffianti, grazie anche alla consolle magica di Nick Raskulinecz, produttore quotato dai veri duri come Korn, Mastodon e Alice In Chains.
Il resto della formazione, il chitarrista Joe Hottinger e il bassista Josh Smith, è stabile dall’inizio del millennio, il che dà l’idea dell’affiatamento e della compattezza di questo gruppo che continua ad apparire giovane nonostante i quasi venti anni di carriera.
Sarà la moda, che privilegia di nuovo i cattivi, saranno i saggi consigli dei big della Atlantic, che hanno capito che il metal non va snaturato, sarà il cambio di ispirazione.
Ad ogni buon conto, la band della Pennsylvania ha accantonato le sonorità leggere del precedente Into The Wild Life (2016) per dedicarsi a una vera e propria aggressione sonora, senza trascurare, ovviamente, l’approccio melodico che li ha resi vincenti.
E che Vicious sia un album tosto lo mette in chiaro da subito Black Vultures, un brano notevole, in cui i riff nu metal si alternano a parti arpeggiate e le sfuriate sfociano in parti più dolci e viceversa quasi senza soluzione di continuità armonica, se si eccettuano i cambi di tempo e gli stop and go che lanciano l’ensemble in cavalcate improvvise.
Non è da meno la seguente Skulls, che apre con il coro cantato a mo’ di filastrocca. Ma sono solo pochi istanti, perché poi la band si scatena su un mid tempo massiccio che accompagna un bel riff doom dal sapore sabbathiano. Ottima davvero la performance vocale di Lizzy, capace di passare da parti melodiche cariche di pathos (ma mai sdolcinate) a interpretazioni dure senza scadere nell’urlato e nell’acuto fini a sé stessi. Una cantante, insomma, e non una cantantessa.
Velocissima e tirata, Uncomfortable, tra l’altro singolo apripista dell’album, è un bell’esempio di crossover che inserisce nel sound degli Halestorm elementi di hardcore.
Più cadenzata e americana, Buzz mescola allegramente (e con efficacia) un refrain vocale aor a sonorità vagamente southern. Ma l’andamento e il riffing sono pesanti, giusto per ribadire che di America senz’altro si tratta, però dell’America più dura.
Più lenta e meno pesante nel sound, Do Not Disturb si sviluppa su un coro avvincente e un po’ ruffiano. Ma meno pesante, si badi bene, non vuol dire leggera o easy listening. È solo un modo diverso di declinare la durezza dei suoni, per dare all’ascoltatore un attimo di respiro.
Alla scorciatoia della leggerezza sfugge anche Conflicted, che si sviluppa su armonie acustiche country che crescono su un riffing seventies di matrice sabbathiana nella seconda parte della canzone.
Con Killing Ourselves To Live si ritorna a sonorità più dure, ma anche più varie: la band snocciola tutto il suo repertorio di riff tosti, melodie ora dolci e ora (il più delle volte) aggressive, cambi di tempo e stop and go più un bell’assolo di chitarra nella galoppata finale.
Heart Of Novocaine è una ballad dai toni romantici (il testo un po’ meno) che spezza del tutto il muro granitico delle sonorità degli Halestrom. Niente male, ottima soprattutto l’interpretazione di Liz. Ma le ballad non sono comunque il piatto forte della band.
Painkiller ha in comune solo il nome con l’hit power-trash metal dei Judas Priest. La canzone degli Halestorm è un gradevole intreccio tra stoner rock (il riffone di chitarra), indie rock (il cantato) e hard melodico (il coro).
White Dress si indirizza su sonorità decisamente indie, indurite quel che basta dalla ritmica pesante e dai riff di chitarra che inspessiscono l’arrangiamento di base, che fa perno su una linea di basso molto essenziale.
Vicious, stavolta la canzone, è un altro delizioso crossover che culmina in un coro epico ma non banale.
The Silence, un’altra ballad per chitarra acustica e voce più archi campionati sullo sfondo, chiude l’album con un approccio a metà tra il folk e il pop, in cui Liz dà fondo alla sua vena più melodica.
Vicious è un album riuscito, in cui le esigenze commerciali legano bene con quelle qualitative. In altre parole, gli Halestorm e chi per loro hanno lavorato (e bene) con un occhio rivolto alle classifiche e un altro alla critica. E la scelta sembra pagare.
Che direzione prenderanno in futuro, se continueranno a fare i duri o si ammorbidiranno, non è dato sapere, perché il loro sound contiene entrambe le opzioni.
Nel frattempo godiamoci questo disco, che testimonia lo stato di grazia e l’ottimo presente di Liz, soci, parenti e congiunti.
Per saperne di più:
Da ascoltare (e da vedere):
11,825 total views, 8 views today
Comments