Rock di classe per orchestra e coro: risorgono i Foreigner
Un live brillante e ruffiano in cui la band di Mick Jones reinterpreta i propri successi. Un’efficace operazione nostalgia ma anche un modo per ricordare ai neofiti le radici del grande rock
Giù le luci e in alto gli accendini: sono tornati i Foreigner, anche se nella versione riveduta e corretta del post reunion, in cui, dopo molteplici cambi di formazione, l’unico fondatore superstite è lo storico chitarrista-leader Mick Jones.
L’operazione è ruffianissima, e non avrebbe potuto essere altrimenti per una band che è nata in seguito al riflusso del grande progressive anni ’70 (ricordiamo che Jones proveniva dagli Spooky Tooth e l’altro cofondatore, Ian McDonald, aveva militato nei King Crimson degli anni d’oro) proprio per strizzare l’occhio al mainstream.
Già: Foregner With 21st Century Orchestra & Chourus, registrato a maggio 2017 e pubblicato alla fine dello scorso aprile dalla Earmusic ripropone la formula band più orchestra (diretta in questo caso dal maestro Ernst Van Tiel) in voga da circa una decina d’anni tra le vecchie glorie del rock.
Inutile dire che l’originalità e la sperimentazione non sono di casa, perché da una band come i Foreigner ci si può aspettare la bravura tecnica e la classe più che la creatività.
Ma quest’ultimo album è un’occasione più che valida sia per i conoscitori e gli ex adolescenti degli anni ottanta, sia per i neofiti: i primi avranno l’occasione di riascoltare i classici di questa multinazionale del rock con un nuovo spolvero musicale, i secondi, invece, potranno immergersi nel passato ma senza rigidità museali.
A dire il vero, vintage i Foreigner non lo sono mai stati, perché il loro sound, al pari di quello dei Boston, è sempre stato moderno: gusto per la melodia – sempre ariosa, spesso dolce ma mai sdolcinata – chitarre in evidenza e toste quel che basta per ricordarci che sempre di rock si tratta, ritmica quadrata e arrangiamenti curati. Tutto quel che basta per mettere d’accordo i buongustai con gli orecchianti.
E questo live orchestrale conferma appieno la tradizione: si parte con una Overture orchestrale hollywoodiana e si entra subito nel vivo con Blue Morning, Blue Day, storica hit del ’79 in cui il vocalist Kelly Hansen non fa rimpiangere affatto il mitico Lou Gramm. Una sorpresina gradita arriva in Cold as Ice, in cui Jones e l’altro chitarrista Bruce Watson si divertono a citare Black Night dei Deep Purple, su un bel sottofondo di hammond e archi: forse non è proprio roba tostissima, ma resta roba seria.
Sempre a proposito di violini: non potevano non entrare nell’arrangiamento di un altro classicone come Waiting for a Girl like You (per capirci, quella che portarono a Discoring).
Tuttavia, anche il virtuosismo vuole la sua parte e non è un caso che Say you will sia preceduta da un assolone di flauto traverso di Thom Gibhel, che rinverdisce i fasti di McDonald. Altro brano altra raffinatezza, ad esempio il coro polifonico che introduce When it Comes to Love. Più elaborata That was Yesterday, che viene introdotta da un altro coro, parte quasi unplugged ed evolve su un gradevole crescendo aor rafforzato dai violini. Decisamente più hard Feels like the First Time, con i chitarroni di Jones e Watson in evidenza. Tosta anche la sezione ritmica, grazie al bel lavoro, potente e sobrio del bassista Jeff Pilson (ex Dokken) e del batterista Chris Frazier (già sodale di Steve Vai e scusate se è poco).
Particolarmente epica la versione di Starrider, grazie all’intro del flauto solista e al crescendo orchestrale che culmina nei begli assoli delle chitarre, arricchite da quel suono panciuto che fa tanto anni ’80. Gli archi e il coro introducono anche una versione maschia ed efficacissima di Double Vision.
Più pop, grazie anche a un bel solo di sax, Fool for You Anyway. Tosta pure l’esecuzione di Urgent, in cui il sax è addirittura più invasivo. Monumentale il super hit Juke Box Hero, in cui i Nostri danno fondo a tutto il loro repertorio di trucchi per dar vita a un’emozionante versione di 11 minuti. Chiude alla grande l’altro classicone I Want Know What Love Is.
L’operazione nostalgia dei Foreigner è riuscitissima: i leoni del rock saranno invecchiati, ma le zanne ci sono ancora e riescono a mordere come si deve. E, scommettiamo, a commuovere un po’ persino qualcuno degli snob che faceva finta di non ascoltarli nei golden ’80.
Da ascoltare (e da vedere):
7,796 total views, 2 views today
Comments