Due amici ricordano Frank Morris, il genio incompreso della chitarra
A un anno dalla tragica scomparsa dell’artista calabrese, Pino Garofalo e Paolo Cariati ripercorrono gli ultimi istanti di Francesco Morrone e ne raccontano la vita travagliata. Quant’era dura essere musicisti nel Sud degli anni ’80…
Lo sguardo assente rivolto al corridoio forse vuoto. Poi la decisione, presa in uno di quei terribili barlumi di lucidità che la depressione lascia alle sue vittime.
Francesco Morrone scavalca una finestra e si getta nel vuoto e cade in un cortile interno del Pronto soccorso dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza, dov’era ricoverato da qualche giorno in seguito a un tentativo di suicidio.
Era il 10 giugno 2017. Inutili i tentativi di soccorrerlo e rianimarlo, per dirla nel gergo della cronaca: questa volta il tentativo di Francesco era andato in porto.
I più, soprattutto gli amici, lo chiamavano Ciccio. Ma Morrone era conosciuto anche con un nome d’arte, probabilmente ispirato al bel film di Don Siegel Fuga da Alcatraz, interpretato dall’inossidabile Clint Eastwood: Frank Morris, il super evaso dalla prigione fortezza più famosa del mondo.
Ma Francesco, anzi Ciccio, era solo un chitarrista dal tocco magico, poco esperto di lime e grimaldelli. E la prigione in cui si trovava era di quelle difficili da espugnare dall’interno: era la prigione del malessere, dell’emarginazione e del disagio esistenziale. Le sue gabbie erano i farmaci, di cui era diventato dipendente dopo anni di abusi.
Quando Frank Morris incantava i suoi concittadini e non solo con una delle tante chitarre che suonava da Padre Eterno, erano gli anni ’80 e la Calabria era in crescita sulla scia del benessere diffuso a cui però non seguì alcuno sviluppo. Poche le occasioni di suonare e di emergere in un contesto provinciale di forte isolamento come la Cosenza di allora, che contava circa 100mila abitanti. E forse non è un caso che ora questa città sia scesa a circa 67mila anime a dispetto della retorica di chi la dirige.
Quando Frank Morris si esibiva come e dove poteva la scena musicale era inesistente e parlare di rock, di fronte a una borghesia posticcia e ignorante come solo le borghesie calabresi sanno essere, era quasi una bestemmia.
Ora c’è chi lo rimpiange, come amico e come artista. E lo ricorda nell’anniversario della sua tragica morte con un concerto, svoltosi il 14 giugno, a cui hanno partecipato oltre trenta musicisti cosentini.
In prima fila nell’organizzazione dell’evento, Pino Garofalo e Paolo Cariati. Entrambi chitarristi con una passione smodata per il rock blues e un’abilità proporzionata alla passione, i due artisti rappresentano generazioni diverse.
Garofalo, classe ’66 e con un curriculum importante (si ricordano, negli anni ’90, le sue partecipazioni alle selezioni per Sanremo, al Premio Lucio Battisti e al Premio Mia Martini e la vittoria al Festival di Cosenza) fa parte della generazione che ha suonato con Morris.
Cariati, classe ’80 e habitué, come musicista e come turnista, di molti importanti festival meridionali, rappresenta la generazione che ha fatto in tempo a trarre ispirazione da Morris.
I due sono stati legati da profonda amicizia al musicista scomparso, di cui hanno seguito le vicissitudini fino all’ultimo. E hanno voluto rendere una testimonianza, artistica e umana, nell’intervista che segue.
A rileggere la sua terribile vicenda col senno del poi, sembra quasi che la morte di Francesco fosse annunciata. È così?
Garofalo: Molto probabilmente è così. Lui, a quanto abbiamo saputo, aveva tentato il suicidio già tre giorni prima del ricovero presso l’Annunziata, mentre si trovava presso la comunità di recupero Regina Pacis di Torano, dov’era in regime di detenzione alternativa.
Cariati: Si trovava lì perché a marzo era stato arrestato in flagranza di reato per un piccolo furto. Purtroppo aveva già vari piccoli precedenti e non fu possibile per lui evitare il carcere.
Garofalo: C’è da dire che avevamo perso le tracce di Ciccio sin dal suo arresto. Quando ci fu comunicata la notizia noi non sapevamo neppure che fosse finito in comunità.
Cariati: Ricevetti io la terribile telefonata la mattina del 10 giugno e comunicai la notizia subito a Pino. Io aggiungo che Ciccio era affetto da una terribile depressione, era farmacodipendente e perciò incompatibile col regime carcerario. Perciò la scelta di ricoverarlo in Comunità è stata giusta. Semmai, resta da chiedersi: come mai, considerato che aveva già tentato il suicidio e si trovava in Ospedale in qualità di detenuto, non è stato sorvegliato?
Garofalo: È appena il caso di precisare che su questa vicenda è in corso un’inchiesta giudiziaria e perciò non spetta a noi rispondere. Io mi soffermo sul solo dettaglio che Ciccio fumò l’ultima sigaretta nella notte tra il 9 e il 10 giugno e poi, purtroppo, realizzò ciò che non gli era riuscito alcuni giorni prima.
Fin qui la ricostruzione degli ultimi giorni di vita di Morrone, che abbiamo fatto nel rispetto dell’opera degli inquirenti. Proviamo ora a ricordarlo da vivo. In realtà, Francesco Morrone non ha lasciato moltissime tracce, sebbene abbia suonato tanto. Ma la sua fu soprattutto un’attività dal vivo, spesso non in contesti idonei a valorizzarlo. Come mai ebbe tanto successo da diventare una specie di leggenda metropolitana per tanti musicisti?
Cariati: I ragazzi che oggi hanno vent’anni o sono poco più che adolescenti non possono capire: loro sono cresciuti con le piattaforme digitali, che hanno cambiato il modo di fruire e produrre musica. Allora, negli anni ’80 in Calabria c’era pochissimo, a livello musicale. Lui apparteneva alla generazione cresciuta ascoltando Pink Floyd e Police e fu il primo a proporre sia la loro musica, che comunque era popolare e quindi risultava gradita anche ai più giovani, sia il loro stile. All’epoca quel che faceva era una novità assoluta.
Garofalo: Aggiungo una cosa: Ciccio non lavorava solo sulla musica, ma anche e soprattutto sul suono, che era la sua arma vincente. Era un piccolo genio: aveva una grande musicalità innata e un senso della melodia altrettanto forte, che emergevano sia nel suo modo di arrangiare che di improvvisare. In più era un mago nell’uso dell’effettistica. Io ricordo che le persone si muovevano solo per sentirlo suonare. E non importa dove e con chi: “Andiamo a sentire Ciccio Morrone”, si diceva. E bastava davvero questo.
Però Morrone produsse poco.
Cariati: Allora erano poche non solo le possibilità di suonare ma anche quelle di incidere.
Garofalo: Lui incise un ep assieme a Lino Paciola, altra figura chiave della scena musicale cosentina dell’epoca. Questo ep ebbe un grande successo. Ricordo che fu mandato in onda di continuo da Radio Cosenza Centrale, storica emittente cittadina, con i commenti entusiastici di Edoardo Maruca, il decano dei conduttori radiofonici.
Ecco, Morrone e Paciola. Anche Lino Paciola fu un grande talento bruciato. Ebbe una fine terribile ancor oggi avvolta da un alone di mistero…
Garofalo: La morte di Lino, avvenuta nel lontanissimo 29 agosto del ’90, fu per Ciccio il primo di una serie di shock da cui non si sarebbe più ripreso. Sulla scomparsa di Lino, che all’epoca scosse tutta la città, non aggiungo nulla perché c’è stata un’inchiesta giudiziaria conclusasi con risultati ben precisi. Posso dire solo che, purtroppo, le dicerie seguite alla morte di Lino travolsero anche Ciccio, che oltre al dolore dovette fronteggiare anche le maldicenze.
Cariati: Purtroppo, anche a causa di questo shock, Ciccio iniziò ad abusare di sostanze. Da questi abusi cominciarono il suo declino e la sua emarginazione dagli ambienti musicali. In pratica, si era passati dal Ciccio virtuoso dello strumento al Ciccio bravo, ma poco raccomandabile.
Ma uno come lui non era proprio in grado di riprendersi?
Garofalo: Ci provò. E in parte c’era riuscito: a inizio millennio era uscito dalla comunità di recupero abbastanza ripreso. Per riscattarsi fondò due band. Una di queste era la Frank Morris Band, in cui suonavano anche i fratelli Marcello e Maurizio Politano, rispettivamente al basso e alla chitarra ritmica. E poi suonava in duo con me. Girammo assieme tutta la Calabria. Fu un’esperienza meravigliosa. Non rinunciava a sperimentare: fondò un’altra Frank Morris Band con cui faceva musica ambient. Era un musicista totale.
Cariati: Però non fu rose e fiori. Anzi: Ciccio era irascibile e litigava spesso coi gestori dei locali, che pagavano poco e male o non stavano ai patti. Inoltre ebbe continui incidenti di tutti i tipi.
E un trauma definitivo.
Garofalo: Sì, la morte del padre, che fu investito da un motorino e si spense dopo circa cinquanta giorni di agonia. Da allora, eravamo attorno al 1999, cadde in depressione del tutto e non si riprese più.
Cariati: Fu emarginato, tranne che da pochi amici, e usciva di rado.
Garofalo: Una sera era in macchina con noi e disse all’improvviso: «Non voglio tornare a casa, lì c’è troppo silenzio». Eppure quando suonava aveva la stessa grinta di sempre. Era come se la voglia di vivere si fosse concentrata solo nella musica.
E non è bastato.
Garofalo: Purtroppo no. Io amo ricordarlo sorridente e ironico, com’era quando stava un po’ meglio. Lui, quando era in crisi, le sparava grosse. Ma il suo sorriso no. Quello non mentiva mai. Quando suono a volte mi torna in mente con quella sua risata. Mi piacerebbe che tutti lo ricordassero così.
(A cura di Saverio Paletta, le foto sono state concesse da Pino Garofalo)
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Adorava i Toto del fratelli Porcaro……. Per lui era la più grande Band di sempre….. Me lo confidò qualche anno prima di lasciarci. R. I. P. Ciccio.
Ho una grande amarezza rispetto alla vicenda di Frank che era una persona interessante quando era in buono stato mentale ed era un chitarrista di alto livello. Ai suoi tempi ancora avrebbe potuto costruirsi una ribalta nazionale. Peccato!