E la new age si tinge di sacro
Pugliese di nascita e viterbese di adozione, Antonio Tonietti è uno sperimentatore sonoro particolare. Niente effetti elettronici, nel suo caso: «Nasco come chitarrista acustico e suono comunque strumenti acustici». Per lui sperimentazione e improvvisazione, entrambe rigorosamente dal vivo, coincidono con improvvisazione.
Ma ciò non deve far pensare a sonorità strane o a dissonanze estreme (realizzabili persino con una chitarra classica economica).
«Armonia e melodia hanno i loro sacrosanti diritti», spiega. «Solo che non le uso in maniera convenzionale», cioè con intenzioni ed esiti mainstream. Non a caso Tonietti è impegnato in progetti di spessore che vanno oltre la musica. Da solo o accompagnato da altri artisti, è la colonna sonora vivente di pregiate manifestazioni teatrali.
Come definiresti il tuo genere?
Con due parole: ambient e drone. Io provengo dalla musica popolare, ma ho subito non poco l’influenza di Michel Hedges e di altri artisti simili. Ho imparato, sul suo esempio, a dilatare le armonie e a usare i suoni per ottenere risultati efficaci sullo stato d’animo di chi ascolta.
Fin qui siamo nei pressi della new age, almeno come concezione musicale. Ma parliamo di un genere canonizzato da anni. In cosa consiste, allora, l’aspetto più propriamente sperimentale della tua musica?
Il discorso per me è piuttosto semplice: la sperimentazione non sta in quello che si fa ma nel modo in cui lo si fa. Io forzo il rapporto tra armonia e melodia, che interpreto in senso modale e non nei termini della melodia canonica. Vado oltre le convenzioni pur restando nei confini della musica tradizionalmente intesa.
Ma sperimenti anche sui suoni. Anche tu usi strumenti particolari.
Sì, li costruisco da solo. Di recente ho realizzato una tavola armonica molto particolare.
In effetti ricorda una still guitar…
È costruita con materiali di recupero. In questo caso ho utilizzato i chiodi presi da una vecchia porta di una casa di campagna. Di solito costruisco tutti i miei strumenti con questa filosofia.
Se vogliamo, è una filosofia ambientalista…
Anche. Ma molto dipende dai suoni che voglio ottenere. Io di base sono un chitarrista, perciò sto molto attento all’aspetto sonoro, anche perché io suono in acustico. Quindi, a volte, uso anche legno sagomato.
Come hai iniziato questo aspetto artigianale della tua attività?
Per anni ho suonato anche musica popolare. Una volta avevo preso una chitarra battente, ma a dire il vero non mi soddisfaceva, perciò me ne sono costruita una da solo. E da allora non mi sono mai fermato.
Parliamo dell’aspetto musicale in senso stretto della tua produzione. Il dato curioso è che, in anni di attività, non hai incisioni a nome tuo.
Perché non mi sono mai preoccupato di questo aspetto. Io sono soprattutto un performer dal vivo. Faccio musiche per manifestazioni teatrali. A Viterbo collaboro con la Banda del Racconto, la compagnia teatrale diretta da Antonello Ricci. Inoltre ho collaborato con Fratto/C, diretta da Alfonso Prota. Per quest’esperienza mi sono ispirato alle tecniche di assemblaggio di Carlo Vincenti, un artista viterbese dalla cui opera ho tratto forti stimoli.
Un musicista ispirato dalle arti figurative? Non è un’esperienza insolita, ma suscita sempre un po’ di curiosità.
Io ho anche dipinto per anni, quindi una ho sempre inseguito una certa circolarità tra musica e figurativo. Nel caso di Vincenti l’influenza è palese, visto che mi sono ispirato a lui per costruire la tavola armonica. Tornando alla musica, ho avuto altre collaborazioni e ho realizzato anche le musiche di In grembo a Dio, lo spettacolo voluto dalla Fondazione Caffeina per il Giubileo.
Allora, sei un chitarrista ma utilizzi anche altri strumenti. Della tavola armonica abbiamo già parlato. Ma non hai costruito solo quella.
Ho una collezione di strumenti acustici di tutte le tradizioni musicali. Potrei farti un lungo elenco: posseggo cetre, viole, liuti ecc. Ma anche strumenti della tradizione africana. Ad esempio, le cose che mi diverto a costruire ci sono le kalimbe africane. E ho costruito vari strumenti in legno con le lamine.
Qual è stato il tuo percorso musicale?
Io ho ascoltato di tutto. Sono partito dal dark, dalla new wave e dal metal. A livello tecnico, presi lezioni di chitarra, ma poco altro. Sono essenzialmente un autodidatta. Ho studiato molto, ma da solo.
Come sei finito in Solchi Sperimentali Italia, il progetto multimediale di Antonello Cresti?
Conosco Antonello da quando stava scrivendo il suo libro dedicato alla scena sperimentale italiana [intitolato anch’esso Solchi Sperimentali Italia, Nda]. Ricordo che tentai di organizzare una presentazione a Viterbo, ma la cosa saltò anche per mancanza di fondi. In ogni caso, mi ha contattato lui per questa nuova iniziativa e ho aderito con entusiasmo: è una bella vetrina che aiuta a far conoscere una scena ricca di artisti finora costretti a operare nella nicchia.
(a cura di Saverio Paletta)
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