Phoenix: un esordio col botto per The Gems
Hard rock e metal d’annata interpretato bene e con fedeltà ai canoni dei maestri nel primo album del trio all girls svedese, nato da una scissione delle Thundermother
Il nome non è il massimo dell’originalità: The Gems è un gioco di parole tra il significato letterale (gemme, appunto)e le iniziali della cantante Guernica Mancini, della batterista Emlee Johansson e della chitarrista-bassista Mona Lindgren.
Le tre musiciste svedesi, com’è noto, sono fuoriuscite da poco dalle Thundermother, la band fondata nel 2010 dalla chitarrista Filippa Nässil e ormai istituzionalizzata nel panorama rock scandinavo.
A dirla tutta, neppure la musica delle tre brave artiste è originale: il loro album d’esordio Phoenix (Napalm 2024) propone un hard ’n’ heavy carico di riferimenti agli anni ’70 e ’80, senza particolari guizzi creativi.
Eppure la qualità non manca. Tutt’altro: il sound risulta brillante e compatto grazie alla produzione dell’ex enfant prodige della chitarra Johan Randén e all’ingegnerizzazione di Thomas Plec Johansson, storico produttore di livello internazionale.
Anche i sedici brani dell’album risultano ben concepiti e, soprattutto, suonati e interpretati come si deve. Phoenix è un esordio maturo e non potrebbe essere altrimenti per tre musiciste che calcano da anni i palchi di tutta Europa.
Phoenix: sedici lezioni di grande rock
I suoni di un temporale introducono Aurora-Interlude, un brano breve dal sapore country, in cui Guernica Mancini dà subito una bella prova.
Come da tradizione metal, è solo un’intro, che sfocia nella tosta Queens, un omaggio ben fatto, a partire dal riffone che cita Tie Your Mother Down, alla band di Freddie Mercury. L’omaggio alla grande band britannica emerge anche nel solo di Lindgren, che attacca con una bella frase effettata da un harmonizer, come Brian May comanda.
Send Me To The Wolves rinvia a una certa lezione anni ’70 di cui sono maestri indiscussi gli Aerosmith e Ted Nugent, entrambi vecchia maniera.
In Domino emerge la grande lezione di ZZ-Top e Ac/Dc, citati e riproposti con gran gusto.
Più classicamente metal, Silver Tongue parte con un riff alla Judas Priest–Saxon e si sviluppa con un bel refrain in crescendo e un coro orecchiabile ma tosto.
Un bel coro a cappella introduce l’ottima Undiscovered Paths, che oscilla tra un hard rock alla Winger e l’aor. Bello il coro carico di pathos.
Maria’s Song-Interlude è un breve stacco strumentale di ispirazione classica affidato al violino di Maria Jern.
La seguente Ease Your Pain è la classica power ballad alla Whitesnake che in un album come Phoenix non può proprio mancare: un lentone dall’attacco vagamente country che evolve nel consueto crescendo potente ed esplode nel consueto assolo ipermelodico.
Il metal tosto torna a farsi sentire (eccome!) nella seguente Running, che si ispira di nuovo ai Judas Priest.
Reinassance-Interlude è un altro stacco strumentale. Niente di romantico, stavolta, ma una marcia marziale con riff durissimo.
E riecco la lezione dei Judas Priest (ma anche di Ronnie James Dio) nell’epica Like A Phoenix, dal tempo sostenuto, dal riffing tosto e dal coro possente e urlato come si deve.
In P.S.Y.C.H.O., introdotta da una bella sfuriata della batteria, emergono influenze più americaneggianti (ad esempio i Kiss di Destroyer).
L’influsso del quartetto di New York si mescola in quello dei Van Halen dell’era Sammy Hagar in Kiss It Goodbye, un hard cadenzato dal refrain ruffianissimo.
Metal potente e riff assassini (ma anche bel coro melodico) nella veloce e ultradinamica Force Of Nature.
Più cadenzata e vagamente malinconica Fruits Of My Labour che si segnala per l’ottimo lavoro chitarristico di Lindgren.
Chiude Like A Phoenix (Acoustic Version), rifatta in versione country da Randén, che regala al terzetto un bell’arrangiamento country.
Phoenix: The Gems (ri)nascono con brio
Buona la prima per le tre svedesi, anche se l’originalità e la creatività vanno davvero cercate altrove.
Ma forse l’eccessiva aderenza di Phoenix ai classici di certo hard rock ed heavy metal può essere una scelta. Magari dettata dalla voglia di dare un saggio delle proprie capacità artistiche, magari in vista di ingaggi dal vivo e tour.
Come a dire: meglio far vedere quanto si è brave (e non solo belle) che spiazzare il potenziale pubblico (magari lo stesso che ha visto in azione il trio ai tempi delle Thundermother) con trovate strane. E forse inutilmente originali.
Già: è un bel po’ che nel rock non si inventa più molto. Perciò, meglio citare i classici. E ancor meglio citarli con fedeltà e aderenza ai canoni, senza inutili tamarrate travestite da trasgressione – alla Maneskin, per capirci – e condite con la solita post ideologia politically correct.
Buona la prima, soprattutto per chi preferisce le cose valide alle novità a tutti i costi. Tanto, tre artiste così brave e giovani hanno tutto il tempo davanti per sperimentare quanto, come e se vogliono.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di The Gems
Da ascoltare (e da vedere):
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