Altro che nuovo nuovo: Ferretti riesuma i primi CCCP
La mitica band emiliana si riunisce per celebrare i quarant’anni dell’esordio e pubblica un vecchio concerto del 1983, quando era “solo” un gruppo punk e non ancora un’icona della sinistra alternativa…
Sotto con gli intellettualismi: parliamo dei mitici CCCP-Fedeli alla linea.
Parliamo di quelli che negli ultimi mesi si sono autocelebrati più volte. Innanzitutto, col Gran galà punkettone di parole e immagini, svoltosi lo scorso autunno al Teatro municipale Valli di Reggio Emilia. Poi con la mostra Felicitazioni! allestita sempre nel capoluogo emiliano e dedicata al quarantennale di Ortodossia (il sette pollici d’esordio della band emiliana). Infine con la serie di concerti all’Astra Kulturhaus di Berlino, intitolata, tra provocazione e ostalgia, CCCP in DDDR (la D in più sta per Dismantled).
Ma parliamo anche dei CCCP che hanno riscoperto un’antica testimonianza di sé: un vecchio nastro da un pollice e mezzo, con l’incisione di un concerto di quarantuno anni fa. Il concerto, per la precisione, tenuto il 3 giugno 1983 nella palestra del circolo Arci Galileo di Reggio Emilia. Questo nastro è finito in un album: Altro che nuovo nuovo (Virgin 2024).
Erano già i CCCP e proponevano le canzoni che in tanti, poi avrebbero canticchiato e citato. Ma non erano ancora i CCCP innovatori e iconoclasti, che avrebbero avuto l’impatto profondo (e a modo suo rivoluzionario) sulla musica alternativa e sulle controculture italiane, per cui ancora discutiamo di loro.
I CCCP prima dei CCCP
La storia di questo nastro – ripescato in uno scatolone, quindi diventato reperto da esporre nella mostra di Reggio Emilia, poi recuperato con un ardito restauro musicale – è rimbalzata da una testata all’altra e ha fatto il giro del web, grazie a una nota dei fondatori Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni.
Una pubblicità in più per rilanciare quella che, più che una rimpatriata, sembra una reunion a tutti gli effetti? Forse. Una speculazione? Probabilmente.
Ma che ben venga: serve a ricostruire un pezzo importante di storia della scena alternativa italiana. A raccontare i primi CCCP, che ancora erano solo punk e non pensavano a sperimentare con batterie elettroniche, campionatori e sequencer.
Erano il classico quartetto, alla Sex Pistols o alla Ramones, composto, oltre che dai due carismatici leader, dal batterista Agostino Zeo Giudici e dal bassista Umberto Negri.
La storia, com’è noto, ha preso un’altra piega: Giudici, un anno dopo il concerto al circolo Galileo, parte per il servizio di leva e molla la musica; Negri, invece, riprende gli studi. A loro subentrano il cantante Danilo Fatur (l’autoproclamato artista del popolo) e la performer Annarella Giudici, sorella maggiore di Agostino.
Più una serie di turnisti e membri provvisori, che contribuiranno una volta di più a incrociare le vicende dei CCCP con quelle della scena alternativa. Ci riferiamo senz’altro al bassista Gianni Maroccolo, al tastierista Francesco Magnelli e al compianto batterista Ringo De Palma, tutti e tre provenienti dai Litfiba (quelli veri). Ma ci riferiamo anche al poliedrico chitarrista-produttore Giorgio Canali.
Finita la divagazione storica, resta un’altra domanda: vale la pena ascoltare i CCCP prima che diventassero i CCCP che abbiamo tutti più o meno conosciuto?
Solo un gruppo punk agli esordi
«Vogliamo portare la musica da ballo anche in un posto sfigato come Reggio Emilia», declama Ferretti con toni e pose un po’ dada nella delirante introduzione a CCCP-Fedeli alla linea.
L’elettronica è assente, la batteria è vera e caciarona, il basso pulsa in maniera monocorde e la chitarra di Zamboni è più grattugiata che mai.
La tecnica è quella che è: poca (e fondamentalmente lo è sempre stata), come da manuale del vero punk. Ferretti urla assai e salmodia poco, ma come ha ribadito un recensore dell’epoca, sembra ancor più Battiato.
Cosa più importante, nel concerto del Galileo ci sono già tutti i classici che prenderanno posto, rivisti e (s)corretti, nella discografia della band. Solo che in chiave embrionale. Già: una Emilia Paranoica altrettanto rozza non l’avevamo mai sentita. E che dire di Mi ami punkettissima e tamarra?
Gli inediti sono quattro: Sexy Soviet e Onde, comunque già conosciute dai fan (la prima è su Youtube da mesi, la seconda è stata trasmessa nei locali di Felicitazioni!), Kebab Traume, cover dei Deutche-Amerikanische Freundshaft, e Oi Oi Oi. Lo scavo archelogico (e il conseguente stimolo filologico) c’è tutto.
Ma noi preferiamo la versione rozza di Morire, sebbene ancora priva dell’omaggio a Mishima e Majakovskij. E preferiamo gli inni al politically uncorrect contenuti in Live In Pankow e Islam Punk. Erano già loro, appassionati e appassionanti. Capaci di trasportare il proprio pubblico da sinistra a destra, in perfetta coerenza con sé stessi.
Compagno Ferretti a noi!
Un altro esercizio filologico prima di chiudere.
Il Ferretti che rilancia i suoi CCCP è quello passato attraverso due trasformazioni (o, se preferite, evoluzioni) importantissime: una spirituale – il ritorno alle proprie radici cristiane nelle forme di un cattolicesimo conservatore -, l’altra politica, il già menzionato passaggio da sinistra a destra.
Più sfumata la posizione di Zamboni che, tuttavia, riscopre il proprio legame di famiglia col fascismo (il nonno materno gerarca ucciso dai gappisti nel ’44) e, riscoperta la passione per la storia, fa i conti con quell’antifascismo che nella cultura emiliana è stato a lungo obbligatorio.
A osservare questa parabola, inframmezzata dalla militanza antiabortista con Giuliano Ferrara e gli abbracci con Meloni (non ancora premier ma già Giorgia) in una vecchia edizione di Atreju, verrebbe voglia di dire che la destra è un vizio senile della sinistra.
Forse. Oppure la spiegazione può essere un’altra: a partire dal gusto appena ritrovato per il kitch filosovietico, Ferretti e soci hanno voluto farsi carico di tutti i pregi e i vizi del Novecento, di cui tentano di tener vivo lo spirito con una narrazione scorretta e iperpolitica.
«Sono prepolitico e postpolitico» dice Ferretti di sé. E sottende il vero bipolarismo odierno: quello che contrappone chi si ostina a caricarsi le grandi culture politiche e chi le rifiuta, in nome di un disimpegno che oggi sa più di ignoranza che di liberazione.
Non è il caso di entrare in un’altra, ingenerosa (ma forse non sbagliata) polemica lanciata da Umberto Negri, che ha bollato in termini minimali la reunion della sua ex band: «Stanno monetizzando».
Forse è pure vero, finché la musica, oltre che arte, è un mestiere. Ma chi se ne frega.
Per saperne di più:
La voce Treccani dedicata ai CCCP
Da ascoltare:
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