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Take No Prisoners: riaprono le celle di Alcatrazz

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Dieci canzoni dure e tirate nel nuovo album della grande band britannica, che ha perso il leader storico ma ha trovato una nuova stabilità

Può sembrare un nonsense divertente, l’accostamento di un’espressione come Take No Prisoners (ovvero: Non fate prigionieri) ad Alcatraz, il celebre carcere americano, sinonimo di massima sicurezza.

Ma con una z in più le cose cambiano: gli Alcatrazz sono la grandissima band angloamericana, nata come rip off dei Rainbow, e Take No Prisoners (Silver Lining Music 2023) è il loro ultimo album.

Alcatrazz finalmente stabili?

Come tutti i veterani della scena metal, gli Alcatrazz sono diventati pian piano un logo, in questo caso diviso tra i membri originari.

E cioè: da una parte l’ex cantante, leader e fondatore, il britannico Graham Bonnet, che nel 2020 ha fondato i Graham Bonnet’s Alcatrazz; dall’altra, il tastierista Jimmy Waldo e il bassista Gary Shea, i due americani (provenivano dai Warrior, la band di Vinnie Vincent, ex chitarrista dei Kiss), che hanno tenuto il nome Alcatrazz.

Questi Alcatrazz sono completati dal batterista neozelandese Larry Paterson (Blaze Bealey Band e Icon), dal cantante scozzese Doogie White (Rainbow, Cornerstone, Midnight Blue, Praying Mantis e Yngwie Malmsteen’s Rising Force) e dal superchitarrista americano Joe Stump (Pat Travers Band e già professore di chitarra al Berklee College of Music di Boston).

A questo punto, si tratta di capire solo se il risultato è all’altezza delle premesse.

La copertina di Take No Prisoners

Dieci sbarre d’acciaio scintillante

Riff granitici e tempi veloci per l’open track Little Viper. Il brano sembra preso di peso dalla tradizione della Nwobhm, sia per la costruzione musicale, che rinvia direttamente ai Saxon e ai Judas Priest, sia per la somiglianza sfacciata della voce di White a quella di Biff Byford. Da applausi l’assolo di Stump, carico di barocchismi e citazioni malmsteeniane.

Più scanzonata Don’t Get Mad… Get Even, si rifà all’altro versante della Nwobhm, quello più decisamente rock ’n’ roll. Lo testimoniano il riff tamarro alla Motorhead vecchia maniera e la presenza di tre coriste d’eccezione: le redivive Girlschool.

I tempi più cadenzati, il refrain epico e i cori ruffianissimi caratterizzano Battlelines. Notevole il lavoro solista di Stump, che tira fuori una melodia eroica Maiden style prima di lanciarsi nelle consuete frasi supersoniche.

Strangers è un gioiello di certo metal anni ’80: incipit da ballad, crescendo potente nel bridge e cavalcata potente nella parte finale, dove si segnalano i ricami baroccheggianti di Waldo e le consuete bordate ultraveloci di Stump.

Epica a gogò nella seguente Gates Of Destiny, che ricorda certe cose del Malmsteen più americaneggiante (per capirci, quello dell’era Turner).

Alcatrazz, invece, è speed metal potente e fantasioso, sorretto dalla doppia cassa di Paterson, che si snoda tra gli impressionanti, stop e go che introducono i cori. Notevole anche il duello tra tastiera e chitarra.

Tempi cadenzati (ma resta da non sottovalutare anche in questo contesto la doppia casa di Paterson) e riffing doom in Holy Roller (Love Temple), in cui White cita anche Ronnie James Dio.

La lezione dei Rainbow emerge nella robusta e cadenzata Power In Numbers, dal refrain epico e un po’ dark e dal riffing serrato.

Ultra doom e quasi sabbathiana Salute The Colours in cui White rifà il verso di nuovo (e bene) a Dio.

Chiude la tiratissima Bring On The Rawk, altra gemma speed piena di citazioni dai Judas Priest più tosti.

Joe Stump

Bentornati ad Alcatrazz

A differenza dell’isola di San Francisco, gli Alcatrazz sono una galera in cui è piacevole stare, soprattutto perché nessuno costringe a starci: le uniche sbarre sono quelle del pentagramma e le uniche guardie sono i virtuosismi dei cinque musicisti.

Un po’ di pazienza e vedremo se e come Graham Bonnet replicherà coi suoi Alcatrazz a questo gioiellino.

Certo è che questi Alcatrazz sono riusciti a sfornare un bell’album, dallo stile classico e dai suoni ammodernati quel che serve. In Take No Prisoners non c’è nulla che sia derivativo, perché tutti e cinque gli artisti fanno parte, a vario titolo, di quella tradizione a cui le giovani leve attingono a piene mani.

Godiamoci un originale, allora, ideato e suonato da boomer che tengono botta più e meglio di tanti ragazzini.

Per saperne di più:

Il sito web ufficiale della band

Da ascoltare (e da vedere):

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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