At Newport: l’ultimo palco di Joni Mitchell
L’artista canadese saluta il suo pubblico con un album live registrato sette anni dopo l’aneurisma che l’aveva ridotta in fin di vita. Cast all stars e molta retorica post hippie. Ma anche bella musica e grandi emozioni
Non è facile davvero dare un parere spassionato su iniziative come Joni Mitchell At Newport (Rhino 2023), soprattutto per chi, come chi scrive, è estraneo alla cultura hippie Greenwich Village style, a cui si sono ispirati giganti come la cantautrice canadese.
Certo è che questo album live, che documenta l’ultima apparizione dal vivo ha strappato elogi e applausi alla stampa specializzata ancor prima di uscire. In particolare a quella italiana, che ha sfoggiato il consueto intellettualismo un po’ retrò e molto provinciale. Infatti, nel commentare l’album si è parlato più di tutto il resto (dalla cultura alla nostalgia più il consueto, immancabile pizzico di gossip) che di musica…
Come nasce un live
Più volte negli ultimi vent’anni Joni Mitchell ha annunciato l’abbandono delle scene musicali, causa il disgusto verso il music business (per inciso: lo stesso business che l’ha resa una star e le ha consentito di sperimentare).
Questa scelta, presa proprio venti anni fa, è diventata forzata in seguito a un grave aneurisma che ha costretto l’artista a una lunga, dolorosa riabilitazione, senza la quale non avrebbe potuto neppure riprendere a parlare.
Il ritorno sulla scena, avvenuto durante l’edizione 2022 del Newport Folk Festival, è stato l’esito di due cose: l’affetto delle amiche musiciste, che hanno aiutato Mitchell a riprendersi suonando nella sua casa in California (le cosiddette Joni’s Jam) e dell’impegno di Brandi Carlile.
Tutto il resto è una serie di emozioni, di cui il live è un documento, anche importante.
I dodici saluti di Joni Mitchell
With A Little Help From My Friends… e la citazione beatlesiana non è gratuita: Joni Mitchell è riuscita a esibirsi (e, soprattutto, a emozionare) grazie al supporto degli artisti che l’hanno accompagnata sul palcoscenico. Tra l’altro gratis, in omaggio alla filosofia low budget del Folk Festival.
Infatti, i brividi non mancano.
Giusto il tempo dell’introduzione di Carlile, e si parte con quel classicone dell’ambientalismo avant la lettre che è Big Yellow Taxi, eseguita con la partecipazione dei Lucius, mini star della scena indie newyorchese.
La compagnia è altrettanto buona per A Case Of You: Marcus Mumford, che canta, anche da solista (e bene), assieme a Mitchell & amiche.
Altro brano altro sparring partner maschile: Taylor Goldsmith, che duetta con Mitchell e Carlile in Amelia, altro classicone degli anni ’70.
La voce di Mitchell appare stentatissima e tuttavia riesce a commuovere in una bella versione di Both Sides Now.
La chitarra, invece, è protagonista assoluta della versione strumentale di Just Like This Train.
Altre emozioni escono dalla bella cover di Summertime, quasi una tappa obbligata per gli artisti della generazione di Mitchell.
Si prosegue con Carey, eseguita in scanzonato duetto assieme a Brandi Carlile.
Degna di nota anche la versione funky soul di Help Me, eseguita da Celisse.
Come In From The Cold diventa invece quasi country nell’interpretazione di Goldsmith.
Brandi Carlile torna a duettare con Mrs Mitchell in Shine, resa minimale e brillante da un semplice arrangiamento di piano che esalta le voci delle due artiste.
Tutti assieme sul palco per la conclusiva The Circle Game. E poi cala il sipario…
Arrivederci Newport
Diciamolo francamente: con un parterre così era proprio difficile floppare. E infatti Joni Mitchell At Newport è un album riuscitissimo, grazie anche a quelle imperfezioni che rendono un live un prodotto unico.
Unico come tutti gli arrivederci che sono quasi addio. Senz’altro dell’artista canadese, che sarà difficile rivedere su un palco.
E poi della stessa scena folk, che sta scomparendo in qualcos’altro. Nessuno vuole appiattire una songwriter geniale e versatilissima come Joni Mitchell sul solo folk, ci mancherebbe. Tuttavia, quando i classici che hanno contribuito a rendere grande il genere sono affidati a (bravissimi) artisti pop (Carlile e Celisse) o comunque rock oriented (Lucius e Goldsmith) vuol dire che è finita ogni spinta propulsiva.
Cosa che Mitchell stessa ha dimostrato con le sue continue sperimentazioni, che l’hanno portata dal jazz al pop.
Ma fondamentalmente è finita tutta quella controcultura che ha ispirato e sostenuto tanto cantautorato, anche oltre i meriti artistici reali.
Certe esternazioni, che si ripetono puntuali ogni volta che qualche mostro rifà capolino, sembrano più il prodotto di certa saccente retorica da boomer che il risultato di una reale competenza (e passione) musicale.
Ascoltiamo pure Joni Mitchell At Newport. Ma senza retorica: per goderselo basta accontentarsi della musica. E scusate se è poco.
Da ascoltare (e da vedere):
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