Kjümmo, il raw rock in chiave calabrese
Quattro brani al fulmicotone, tra hard rock e punk, per l’ep d’esordio del trio cosentino
Dopo una sequenza di singoli, iniziata nella scorsa primavera, arriva l’ep di esordio dei Kjümmo, un trio calabrese dedito a un raw rock ’n’ roll tosto e viscerale, debitore senz’altro della lezione di mr Kilminster ma con puntate nella psichedelia e qualche sconfinamento nell’hardcore.
Tanta, massiccia varietà stilistica è anche il risultato delle biografie musicali dei tre artisti cosentini, reduci da esperienze forti della scena alternativa.
Ci si riferisce al chitarrista-cantante Aldo D’Orrico, partito col rock tosto e convertitosi al folk bluegrass, di cui si segnala la doppia militanza nei Muleskinner Boys e nel divertente progetto solista Al The Coordinator, al cantante-bassista Anthony W. Calabrese, proveniente dagli storici N.I.A. Punx e dai The Blatters, e al batterista Francesco De Napoli, proveniente dai La Fine e The Malgioglios.
Inoltre, non è la prima volta che i tre si trovano assieme, visto che avevano già fatto parte del nucleo originale dei Miss Fräulein.
Intitolato semplicemente Kjümmo (Duff Records 2020), l’ep è una rapida scarica di adrenalina: quattro pezzi per una durata di circa dieci minuti complessivi, confezionati in un bel packaging vintage: stampa in vinile di sette pollici bianchi, grafica rude curata da Francesca Papasodaro con effetti in 3d di Diego Mazzei, godibili grazie agli occhialetti inseriti nella confezione. Roba da far impallidire i fricchettoni più incalliti.
La musica, cioè la cosa principale, non è da meno: duri e nervosi i quattro pezzi, valorizzati dal missaggo di Antonio Nevone, filano che è una bellezza.
Si parte con l’energica Assassination, introdotta da alcuni effetti oscuri e lanciata in una corsa a rotta di collo tra i tre strumentisti: quel che ci vuole per raccontare la storia assurda del testo.
Baby LaVon, già ascoltata come singolo, si fa apprezzare anche per la partecipazione di Giulia Giordano, alias Giuliett Von Mortoggi, voce solista dei Manomorta, che duetta con D’Orrico a botte di growl e falsetti.
Ritmi sostenuti e suoni tosti anche in Pretty Rabbit, in cui si fa apprezzare il giro di basso di Calabrese.
Quest’ultimo si ritaglia anche uno spazio canoro nella conclusiva Cherryless, un hard rock fatto apposta per far sbizzarrire la chitarra di D’Orrico.
Buona la prima, per il trio cosentino, a cui si può muovere solo una critica: quattro brani sono pochini per una band che ha il pregio di trascinare e si fa ascoltare con vero piacere.
Speriamo di poterli apprezzare quanto prima in concerto e di poter ascoltare altro materiale: se le premesse sono queste, il divertimento è garantito.
Da ascoltare:
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