Sax ed elettronica per andare oltre, parla Laura Agnusdei
Intervista alla sassofonista bolognese, punta di diamante di un nuovo modo di concepire la sperimentazione sonora…
Bolognese doc, Laura Agnusdei è una sassofonista particolare, partita da radici classiche ed evolutasi verso l’improvvisazione e l’elettronica.
Tra le sue varie si ricorda la militanza nei Sex With Giallone e nei Julie’s Haircut e lo studio approfondito presso l’Istituto di Sonologia dell’Aia.
Nel 2017 è arrivato il suo esordio da solista con Night/Light per la label The Tapeworm. Oscurità e luminosità convivono in un viaggio musicale intimistico.
Lo scorso anno la sassofonista ha pubblicato, Laurisilva (The Wormhole), in cui ripropone l’intreccio strettissimo, caratteristico della sua produzione, tra fiati ed elettronica.
Hai studiato in Olanda. Come hai percepito la cultura musicale del posto? Quali sono le differenze rispetto all’Italia?
Ho studiato all’Institute of Sonology musica elettronica per tre anni. È stato molto stimolante: la musica elettronica è vista a trecentosessanta gradi, includendo approcci radicalmente diversi in un ambiente internazionale. Ho raccolto spunti in tante diverse direzioni. C’è molta musica sperimentale in Olanda, che trova più spazio perché ci sono più fondi. C’è una bellissima scena fondata sulla cosiddetta improvisation. In Italia ho avuto esperienza nelle rock band. Ad ogni buon conto, posso dire che da c’è poco sostegno a queste realtà. Costrette a restare nell’underground.
Nei conservatori italiani di solito si insegna il sax contralto. Invece tu suoni il tenore. Come ti trovi a utilizzarlo?
Lo studio del contralto è alla base della musica classica perché questo strumento è più simile come estensione al clarinetto. Essendo il sassofono l’ultimo strumento creato nella tradizionale orchestra sinfonica, è arrivato tardi rispetto agli altri, più o meno a metà dell’Ottocento. È tutta una questione accademica e tecnica. Nel jazz, invece, è molto più diffuso il tenore. Si viene educati a suonare i quattro tagli che di fatto compongono la formazione del quartetto. Io ho iniziato dal contralto per poi passare al tenore. Ho scelto di pancia: preferisco il tenore perché apprezzo le tonalità gravi e suono anche il baritono.
Come sono state le tue esperienze nelle band? E come mai hai scelto il percorso solista?
Io sono nata come musicista da band. Tra i primi gruppi ricordo i Sex With Giallone, che non sono stati la mia prima formazione in assoluto, ma senz’altro la prima in cui ho suonato il sax. Ho iniziato a suonare da sola in perché avevo bisogno di introspezione. Inizialmente è stato solo un tentativo di trovare la mia strada. Va da sé che si tratta di due approcci diversi e posso dire che mi piace sia collaborare con gli altri sia concentrarmi su qualcosa di mio. Queste due attività si completano: l’interazione con altri musicisti mi rafforza a livello stilistico, l’attività solista potenzia la mia personalità. Il tutto, in perfetta circolarità
Night/Light come metafora per l’oscurità e la luce. Laurisilva descrive i suoni e l’ecosistema della natura.
Laurisilva è una metafora per descrivere un ecosistema sonoro personale, quindi non va presa alla lettera. L’immagine della foresta serve a spiegare il fatto che ogni suono come ogni pianta ha una vita propria ma sempre in interdipendenza. Per Night/Light vale il discorso fatto prima sul conoscere se stessi per aprirsi. Mentre il secondo disco vuole cercare di spiegare la mia visione musicale: da qui la presenza di questi suoni che gorgogliano e sembrano acquatici.
Strumenti acustici a fiato. E strumenti elettronici. Come convivono questi elementi?
Il sax è la voce narrante. Tuttavia è presente nel disco anche un approccio puramente sonoro. Cioè una forte attenzione verso la tutta la gamma di suoni che il sax può produrre non solo le note, ma anche il rumore e i fischi. Questa ricerca timbrica è simile a quella che faccio con l’elettronica e mira a trovare suoni particolari con forme particolari. Il sax ha questo doppio duplice ruolo: da un punto di vista tradizionale guida l’ascoltatore, dall’altro c’è una funzione di suono puro.
C’è un revival dell’audiocassetta e, più in generale delle sonorità analogiche. Tu hai inciso sia su cassetta sia su ep. Come ti rapporti a questa dimensione vintage?
Il primo disco è uscito è in cassetta per una tale label, Tapeworm, che stampa solo su nastro. Il mio ultimo disco è uscito in vinile. In un circuito di certi appassionati di musica vince questo formato perché l’acquisto del supporto ha un altro significato. Non è solo comprare la musica ma un oggetto. La musica è già fruibile attraverso molte piattaforme digitali. Ciò che cambia è il rapporto con l’oggetto e, di conseguenza il tipo di ascolto. È un formato che costa meno produrre. Il vinile permette un artwork più grande, un ascolto più ruvido ma una qualità più dinamica. Nei grandi numeri la musica ha una diffusione prettamente digitale. Per quello che mi riguarda penso sia interessante produrre più degli oggetti che in qualche modo amplino l’esperienza dell’oggetto sonoro e offrano qualcosa di più anche dal punto di vista visivo. L’ultima mia uscita è un libricino di un pezzo radiofonico che ho composto. Vi è un codice in cui si può caricare la traccia audio e poi il libro contiene testo, foto e delle mappe. Tutto materiale visivo inerente al pezzo. Si amplia così l’esperienza della musica.
(a cura di Fiorella Tarantino)
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