The New Abnormal, i The Strokes lottano ancora
La band newyorchese torna dopo quattro anni con un album in cui accantona le sperimentazioni dello scorso decennio e recupera in maniera convincente le sonorità degli esordi. Non è più indie ma pop di gran classe…
I The Strokes, già enfant prodige della scena musicale – anglofona e poi mondiale – sono tornati col loro recentissimo The New Abnormal dopo quattro anni di assenza.
Tanti ne sono passati da Future Present Past, il loro ep del 2016, che cercava di dare una continuità alla produzione della band newyorchese ferma al 2013, con Comedown Machine, un album fortunato e controverso allo stesso tempo.
Per il proprio ritorno, il quintetto ha sparigliato le carte e, come sempre, ha fatto le cose in grande, stavolta con l’aiuto di un mago della consolle: Rick Rubin, che nell’ultimo decennio sembra essersi specializzato in ritorni importanti (quelli di Metallica e Black Sabbath, giusto per fare un esempio).
Meno sperimentali che in passato, i The Strokes tentano un ritorno al sound delle origini, per capirci del pluripremiato Is This It (2010) con cui i Nostri si imposero di prepotenza nella scena musicale.
Tentativo apprezzabilissimo e ben riuscito. Ma non chiamiamolo indie, perché il peso di una major come la Rca c’è e si si sente tutto nei solchi dell’album.
The New Abonormal è un bell’album di art pop, ben concepito, suonato meglio e arrangiato divinamente, che colpisce sin dalle prime note.
The Adults Are Talking apre il disco con un efficace saggio di retromania in cui il pop va a braccetto con la new wave dei Cure meno tenebrosi. Ottima la performance vocale di Julian Casablancas, che passa da un cantato morbido a un falsetto efficacissimo e sembra la versione pulita di Matthew Bellamy. Garbati anche i giochi delle chitarre di Nick Valensi e Albert Hammond Jr, che si incrociano con arpeggi e riff leggeri e disegnano una trama sonora eterea riempita con garbo dal synth. Lineare e gradevole la geometria disegnata dalle bacchette di Fabrizio Moretti, su cui si innesta la linea di basso di Nikolai Fraiture, che dà un forte sapore 80’s a tutto il brano.
Un controtempo di batteria e una chitarra romanticissima che cita passaggi di valzer, introducono e guidano l’ascoltatore nelle atmosfere sognanti di Selfless, su cui Casablancas spicca come sempre senza strafare: canta con la passione e il garbo di chi vuole conquistare più che colpire a tutti i costi.
I toni si fanno più allegri col synth pop di Brooklyn Bridge To Chorus, il terzo singolo estratto dall’album: gran tiro ritmico (e sì, potenzialmente danzereccio) e melodie ariose, in cui l’unico vago cenno di malinconia è dovuto all’interpretazione vocale.
La retromania torna prepotente con le strizzate d’occhio al post punk più rockeggiante dei mitici anni ’80: non a caso la musa ispiratrice dell’epica Bad Decisions, secondo singolo estratto dal disco, è Dancing With Myself di Billy Idol, citata in maniera quasi sfacciata.
Il richiamo agli ’80 è prepotente anche nella seguente Eternal Summer, un pezzone morbido dall’andamento funkeggiante, anch’esso danzereccio, marcato da un refrain in crescendo, in cui Casablancas si produce in un falsetto degno della black music più ruffiana e poi si lancia in un coro duro, quasi urlato.
Le atmosfere diventano curiosamente grandiose nella minimale At The Door, eseguita dal solo frontman su un tappeto di synth. Non è un paradosso, ma una semplice constatazione: la grandeur deriva dalla linea vocale, epica e in crescendo, in cui il cantante osa davvero tanto, e dal sottofondo pomposo, sia nel sound finto-orchestrale (che, al solito, rievoca un certo stile ottantiano), sia nel motivo in sé, una giro potente di accordi incalzanti.
Una scelta originale, che diventa anche coraggiosa, almeno in parte: si pensi che At The Door è il singolo apripista dell’album.
La band vira verso sonorità più sue nella seguente Why Are Sunday’s So Depressing, un pop morbido dai cenni funky e dal refrain malinconico arricchito dagli effetti bizzarri delle chitarre.
Romantica e malinconica, Not The Same Anymore è un inno esistenziale che evoca di nuovo alcune cose dei Muse (specie quelli di Absolution), grazie alla combinazione felice tra il suono sporco-ma-non-troppo delle chitarre e l’interpretazione di Casablancas, a dir poco stupenda.
Chiude, sempre nel segno del pop, l’epica Ode To The Mets, in cui i The Stroke si lasciano andare a una citazione mainstream: ci si riferisce al refrain di Left Outside Alone, di Anastacia, ripreso e reinterpretato alla grande.
Nove brani per quarantacinque minuti di musica che scorrono che è un piacere.
The New Abnormal è l’album della maturità di una band che non ha più l’età (tutti i componenti hanno toccato i quarant’anni), il tempo e la voglia di fare rivoluzioni, che tra l’altro la scena indie ha promesso qualche volta senza mai realizzarle.
Per questo, alcune critiche, pur autorevolmente espresse, sembrano fuori luogo. Non è vero, ad esempio, che quest’ultimo album è un semplice esercizio di stile di una band che ha dato il suo meglio all’esordio.
Ed è sbagliato affermare che Tna è l’inizio della risalita di una band finita in bassa fortuna per via delle eccessive sperimentazioni del passato.
Questo disco è solo il prodotto ben elaborato di una band non più giovanissima che forse ha capito una cosa: i propri fan non sono più i loro coetanei d’inizio millennio ma persone che, appunto, iniziano a toccare la mezza età e sono più propense alla nostalgia e al ricordo che alla scoperta.
I The Strokes sono artisti sicuri di sé che hanno rilanciato il loro sound più classico e lo usano come un marchio di qualità. E fanno bene davvero.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei The Strokes
Da ascoltare (e da vedere):
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