Un album dalla pandemia, Momo racconta il suo Lockdown
Il polistrumentista Simone Riva ha realizzato un album durante la quarantena. I suoi ricordi di quest’esperienza particolare, in cui la reclusione è diventata uno stimolo artistico, e di una carriera a dir poco particolare…
A dispetto di tanti problemi, sfociati spesso in proteste più o meno motivate, c’è stato chi non si è fermato di fronte al lockdown.
È il caso di Simone Riva, noto come Momo, batterista e polistrumentista aostano, collaboratore storico ed ex marito della cantautrice italofrancese Naif Hérin, assieme alla quale ha fondato lo studio TdEproductionz.
Dopo oltre mille concerti, tra cui una simpatica comparsata sul palco col mitico Prince, e altrettante produzioni importanti (tra cui citiamo Kiol e Arisa), Momo ha creato, durante la reclusione forzata imposta dal Coronavirus, Lockdown, il suo primo album solista.
Come dice il titolo, Lockdown è un figlio della pandemia. Ce ne vuoi parlare un po’?
Quando ho capito che avrei dovuto rimanere per parecchio tempo da solo mi sono chiuso nel mio studio per due mesi e ho registrato un brano al giorno. Sono arrivato a 44 canzoni, ho deciso di sceglierne 16 e pubblicarle in un album. Ho pensato a lungo, mi sono guardato dentro e ho riflettuto sul senso della vita in questa situazione surreale. Ho espresso in musica tutte le conclusioni che ho tratto da questo viaggio interiore nei cento metri quadri del mio studio. Ho usato tutti gli strumenti che avevo a disposizione (chitarra, basso, batteria, piano…) per immortalare le mie emozioni di questo periodo, che spero potremo lasciarci alle spalle il prima possibile.
Nel tuo album hai esibito un approccio compositivo a dir poco originale ed eclettico. Quali sono le tue influenze principali?
Sin dalla più tenera età ho ascoltato prevalentemente black music: Stevie Wonder, Miles Davis, Prince e Beck. Tuttavia, amo anche l’alternative, come la musica di Grimes, o il trip hop di Tricky. Adoro, inoltre, l’hip hop di Common e Lamar. È quasi inutile sottolineare che tutte queste suggestioni emergono in Lockdown.
Questa capacità musicale e questa forte creatività ti derivano da un lungo percorso pieno di collaborazioni importanti. Vogliamo tentarne una sintesi?
Proprio una sintesi estrema, direi. Com’è noto, ho lavorato per un decennio con Naif Hérin (che ora si fa chiamare Dolche) assieme alla quale abbiamo collaborato con la New Power Generation di Prince e abbiamo avuto l’onore e il piacere di registrare a Minneapolis. Inoltre, ho lavorato con Bob Coke (Ben Harper) e recentemente lavoro a distanza con la cantante americana Marva King (Stevie Wonder, Michael Jackson…).
È rimasta famosa la tua comparsata con Prince. Ce la racconti?
Adoro andare a vedere la musica dal vivo e amo ballare. Una sera mi sono ritrovato a ballare sul palco di Prince e mi sono prodotto più volte in una spaccata, che tra l’altro mi riesce benissimo. Ricordo che c’erano quindicimila persone: è stata un’emozione unica e surreale.
Programmi per il futuro?
Di sicuro riprenderò la mia attività di produttore artistico, ma non è da escludere un altro lavoro da solista. Magari un Lockdown 2. Spero solo di non dover essere ispirato da un’altra tragedia collettiva…
(a cura di Andrea Infusino)
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