Piccole Donne al cinema in versione 2.0
Greta Gerwig dirige un’originale versione cinematografica del classico di Louisa May Alcott
Questa di Greta Gerwig è la settima trasposizione cinematografica del superclassico Piccole Donne. Operazioni di questo tipo corrono un rischio non proprio irrilevante: scadere nella retorica celebrativa del rito di passaggio: cioè della crescita di quattro ragazze, fotografate tra l’adolescenza e l’inizio dell’età adulta.
Tuttavia, la regista americana scampa il pericolo: trova una chiave di lettura originale e apre un mondo nuovo su una storia stranota, come quella di Louisa May Alcott. Infatti, non adotta il percorso più semplice e quasi naturale (e perciò scontato), cioè la narrazione cronologica degli eventi.
Invece, grazie a un’originale alternanza di flashback e flashforward, la Gerwig rimescola le carte del racconto e fonde con abilità parti di Piccole Donne e del sequel Piccole donne crescono.
I piani temporali risultano perciò confusi ad arte, e la sottotrama, fatta di significati e piena di interpretazioni, prevale sulla trama.
Certo, la storia sembra perdere un ordine, ma in compenso acquista una logica precisa: quella dettata dal collegamento di eventi e situazioni.
Al tutto, si aggiunge la dimensione biografica della Alcott, Legata indissolubilmente alla protagonista, Josephine March, fino all’immedesimazione.
«Ho attraversato molte difficoltà, perciò scrivo storie allegre» è la frase della Alcott che appare come primo frame del film e fa intuire da subito l’impronta personale della regista. Un taglio positivo, che non nasconde i numerosi momenti di inquietudine delle quattro ragazze, ma si concentra comunque sulla volitività delle protagoniste, sulla loro voglia di costruire un futuro e di migliorarsi sempre.
Com’è già noto, ciascuna delle sorelle March ha una passione legata artistica: Jo ama la letteratura, Meg è portata alla recitazione, Amy vorrebbe diventare la migliore pittrice e Beth è un’eccellente pianista.
Le attrici che le impersonano riescono a mostrare le più sottili sfaccettature della propria piccola donna.
Saoirse Ronan è ribelle e sfrontata, sa quello che vuole dalla vita e non mostra né segni di cedimento né voglia di accontentarsi di ciò che la società concede alle donne.
Emma Watson rappresenta il lato romantico: sceglie l’amore e sposa un ragazzo onesto e gentile.
Margaret Florence Pugh ha la personalità più razionale: si impegna solo in ciò che può essere eccezionale e si adatta a una società dove la donna deve cercare un buon partito.
Eliza Scanlen incarna sensibilità e devozione: svolge sempre i suoi compiti, senza mettersi in mostra, ma con una grande empatia e senso della solidarietà.
Sono quattro sfaccettature che convivono, in diversa misura, in ogni donna.
Anche per gli altri personaggi ci sono attori di grande livello. Tra tutte Meryl Streep, che dà vita a una zia March sfrontata e carica di una divertentissima autoironia: il genere di donna che te le racconta subito e senza esitazione. Per avere una misura del personaggio, basta il dialogo con Jo:
«Nessuno si fa strada da solo nel mondo, men che meno una donna. Ti dovrai sposare bene», dice la zia.
Jo atterrita replica: «Voi non siete sposata, zia March». Pungente la risposta: «Ma che c’entra, io sono ricca».
Un altro saggio di questo humour salace è la seguente battuta Non avrò ragione ora, ma non ho mai torto.
Timothée Chalamet (il Gatsby Welles di Un giorno di pioggia a New York) e Louis Garrel (appena apparso in L’ufficiale e la spia), interpretano rispettivamente Laurie e Friedrich. Cioè il giovane vicino di casa delle ragazze e il giovane maestro che guida Jo nella scrittura. Infine, Laura Dern è un’amorevole Marmee March.
Greta Gerwig ha ideato e diretto una versione 2.0 di un evergreen che ha appassionato intere generazioni e continuerà ad appassionare altrettante.
Perché anche se il contesto sociale è in continuo mutamento, il valori rimangono gli stessi. E perciò non è difficile immedesimarsi in una delle quattro ragazze, specie nella ribelle Jo.
Il trailer di Piccole Donne:
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