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Hollywood come una favola. Il ritorno di Quentin Tarantino

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Citazioni a raffica, storie di vita improbabili (ma non incredibili) in Once Upon a Time in… Hollywood, l’ultima fatica del regista italoamericano. Il cinema come non l’abbiamo mai visto. O forse sì, solo che non ce n’eravamo mai accorti

Once Upon a Time in… Hollywood. E già nel titolo c’è la prima citazione, palesemente rivolta ai leoniani C’era una volta… (il West e in America).

Ma C’era una volta è anche l’incipit delle fiabe. E quella raccontata da Quentin Tarantino riguarda il cinema degli anni ’60, ritratto tuttavia nel delicato passaggio del ’69, in cui le speranze e le illusioni del decennio dei sogni raggiungevano l’apice per iniziare a spegnersi nel decennio successivo.

Nona pellicola della dieci previste da Tarantino, Once Upon a Time…chiude la trilogia della manipolazione storica aperta da Bastardi senza gloriae Django.

Nella Hollywood di quel ’69 bellissimo e maledetto il regista italoamericano racconta tre diverse storie, a cavallo tra il sogno e la nostalgia.

I protagonisti di queste storie hanno con vicende differenti alle spalle, ma un tratto comune: sono tutti e tre in una fase calante della loro carriera cinematografica.

Rick Dalton, proprio come gli riferisce Marvin Schwarzs (interpretato da un insospettabile Al Pacino) ha assunto il ruolo del cattivo pronto sempre a farsi battere dall’eroe di turno ed infatti Schwarzs lo provoca dicendogli: «Chi sarà il prossimo? Batman o Robin?». E condisce la frase con una mimica inequivocabile: il gesto di un pugile nell’atto di mandare al tappeto l’avversario.

Fuori dal set, Dalton è un uomo fragile e complessato, al punto che anche una ragazzina riesce a infondergli un pizzico di autostima quando si congratula per la buona improvvisazione in occasione di una scena girata insieme.

Cliff Booth è troppo bello per fare lo stunt-man, ma è quasi obbligato dalla cattiva aura che si porta appresso per essere stato accusato dell’omicidio della moglie, (e qui piomba un’altra citazione, riferita stavolta alla scomparsa di Natalie Wood). Booth perde la credibilità come controfigura dell’amico Dalton per aver sfidato il povero Bruce Lee, raccontato nel film in maniera decisamente meno mitica.

Infine Sharon Tate (interpretata dalla brava Margot Robbie), unico personaggio storico reale della pellicola, è felice di vedere il pubblico di un cinema divertirsi alle sua interpretazione di una donna maldestra nel film Missione compiuta stop. Bacioni Mett Helm. E accondiscende alla richiesta della cassiera di fare una foto vicino alla locandina della pellicola, perché era l’unico modo per essere riconosciuta. La Tate di Tarantino è un’attrice con un’innocenza poco comune in quel mondo, che vive il triangolo amoroso con Roman Polanski e Jay Sebring raccontato da Steve McQueen, il quale deve tuttavia riconoscere di non aver mai avuto una possibilità con la Tate.

Once Upon a Time… non è solo il racconto della Hollywood dorata di fine anni ’60: è un poema sul cinema, in cui il citazionismo diventa il muro portante della trama.

E la sarabanda di citazioni porta il racconto dal sogno di Hollywood al sogno più grande del cinema in generale.

In questo big dream non può mancare l’omaggio ai registi italiani come Antonio Margheriti e Sergio Corbucci, citati in rapporto all’avventura italiana di Rick Dalton. L’omaggio più sentito, va da sé, è indirizzato al mondo degli spaghetti western, una delle massime influenze del cinema tarantiniano.

Il confronto tra la Hollywood ’69 e gli spaghetti di Cinecittà appare nella disperazione di Dalton alla proposta di Schwarzs di sbarcare in Italia per sfuggire dal ruolo-capestro di cattivo e perdente affibbiatogli da Hollywood, o, peggio, al rischio di finire relegato a ruoli pittoreschi nei varietà del piccolo schermo, come ad esempio Hullabaloo.

Ma il Tarantino di Once Upon a Time… è un regista maturo, che vanta già dei classici e che perciò può divertirsi (e divertire il pubblico) con le autocitazioni, senz’altro dai supersuccessiKill Bill e Pulp Fiction, ma anche dai più recenti Bastardi senza Gloria, Hateful Eighte Django.

Ed ecco che l’entrata in scena della famiglia Manson con il dettaglio dei coltelli e delle pistole in mano ricorda la sagoma di Beatrix Kiddo-Black Mamba pronta all’azione, ed è rafforzato dal cameo della figlia di Uma Thurman, Maya Hawke.

Le sigarette Red Apple sponsorizzate da Dalton nella scena bonus finale sono le stesse di quelle fumate da Mia Wallace. E la Truman rifà capolino in un poster sullo sfondo che ritrae una scena di Beatrix Kiddo-Black Mamba. Le Red Apple, inoltre, fanno mostra di sé nelle tasche dei soldati di Bastardi senza Gloria e sul bancone della locanda di Hateful Eight. Memorabile la scena del lanciafiamme, che ricorda la vendetta di Shosanna. Infine, la locanda nel set del film interpretato da Rick Dalton è teatro del piano ideato dal dottor King Schultz assieme a Django Freeman. 

Bastano questi riferimenti per capire come il citazionismo di Tarantino disegni, con un sofisticatissimo gioco di specchi, un sottotesto intricato alla trama, che viaggia come sempre su binari molteplici, alcuni classicamente paralleli, altri che deviano e si incrociano, mentre il racconto prosegue spedito e contorto con tutti gli ingredienti tipici del cinema (ma sarebbe più giusto dire metacinema) tatantiniano: la voce narrante, i flashback partoriti dalla mente dei personaggi, l’attenzione maniacale e certosina per i dettagli. Su tutto, domina la colonna sonora, composta da brani antecedenti al ’69 assemblati col consueto, notevole rigore filologico.

Non ci sono storie: Once Upon a Time in… Hollywood è Tarantino al cento per cento e questo basta per fare la felicità dei fan, la gioia dei cinefili e creare curiosità nel pubblico.

Un’altra lezione di stile in bilico tra cinema e metacinema, che attraversa e fagocita i generi con rara perizia e con una semplicità unica.

Poco credibile come storia? Senz’altro. Ma ricordate lo strillo che accompagnava nelle grindhouse di una volta certi filmacci horror di terza categoria, dei quali tra l’altro Tarantino si è nutrito a crepapelle? È solo un film, solo un film. E che film.

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