Aldo Moro e i Servizi Segreti. Una storia nascosta
Un libro fresco di stampa di Mario Caligiuri racconta i rapporti dello statista scomparso 40 anni fa con il mondo degli 007 e i misteri della Repubblica
Aldo Moro fu inghiottito a via Fani, in maniera cruenta e tragica. Fu restituito cadavere, 55 giorni dopo, a via Caetani. A metà strada, è stato osservato non senza malizia, tra le sedi della Dc e del Pci.
Ma via Caetani era anche, ha scritto di recente il giornalista Giovanni Fasanella, una zona particolare, in cui sotto le spoglie, mentite e innocue, di uffici e attività commerciali si camuffavano le sedi di vari Servizi Segreti, che gestivano in maniera calda e sottotraccia le dinamiche sporche della Guerra Fredda.
Si direbbe, ancora oggi, a 40 anni suonati da quella tragedia umana e politica, che la consegna del corpo dello statista nel cofano della Renault 4 adibita a feretro provvisorio sia stata un segnale lanciato dai rapitori a tre livelli: quello dell’opinione pubblica, provata in abbondanza da dieci anni di violenze politiche di vario tipo spesso sfociate in carneficine, quello della classe politica, messa in ginocchio dall’attacco cruento e (non solo) simbolico al cuore del potere attuato col rapimento di Moro, infine quello dei Servizi, cioè dell’intelligenza occulta della politica.
I tre livelli del potere – inteso come legittimazione, esercizio e superiore comprensione – con cui da sempre si era confrontato il leader della Democrazia cristiana.
Questo dettaglio urbano, va da sé, non era l’unico riferimento che collegava Moro al mondo occulto (ma in Italia non troppo) dell’Intelligence. Gli altri li diede direttamente l’illustre prigioniero in alcuni passaggi delle sue lettere, in particolare con un riferimento esplicito al colonnello Stefano Giovannone, e nel Memoriale dove c’è un altro riferimento, molto più inquietante, alle vicende convulse del governo Tambroni, effimero e a dir poco disordinato. In questo caso, lo statista si riferì senza mezzi termini all’aiuto ricevuto dal generale Giovanni De Lorenzo (sì, quello del piano Solo) per sgomberare il presidente del consiglio da Palazzo Chigi.
Sembrano poca cosa, ma in realtà è materiale a dir poco esplosivo. In particolare il richiamo a De Lorenzo che, letto nella giusta controluce, fa capire come Moro si occupasse di Servizi quando Cossiga, considerato universalmente il maitre-a-penser del settore, era ancora all’abc e Andreotti, altro noto maestro dell’intrigo, battibeccava con qualche generale.
Basta questo per aprire un filone di ricerca? Rispondiamo con un’altra domanda: cos’altro serve? Ad ogni buon conto, il tentativo di iniziare questo filone (e di sottrarlo alla dietrologia giornalistica) c’è ed è finito in un libro: Aldo Moro e l’Intelligence. Il senso dello Stato e la responsabilità del potere freschissimo di stampa per i tipi della calabrese Rubettino. Il volume, curato da Mario Caligiuri (che ha creato e dirige da anni presso l’Università della Calabria il primo master dedicato all’Intelligence) raccoglie sette saggi che altrettanti studiosi hanno dedicato a questa particolare sfaccettatura dell’attività politica di Moro.
Intendiamoci: che un leader della caratura di Moro abbia avuto rapporti e legami coi Servizi era normale. Anzi, farebbe notizia il contrario. Ma un conto è prendere atto che questo rapporto ci sia stato, un altro è interpretarne i termini in maniera corretta. Al riguardo, lo storico Paolo Gheda fornisce un’utile bussola nella sua Presentazione ad Aldo Moro e l’Intelligence: «Se è quindi possibile sostenere che Aldo Moro, nei suoi incarichi istituzionali, abbia cercato di intrattenere con i servizi di informazione “la relazione tipica dello statista” come si afferma nel presente volume, ovvero mostrando consapevolezza della loro importanza per la tutela dello Stato, evitando però di sfruttarli per scopi personali di strategie di politica interna o estera, in effetti nell’esercizio individuale della sua leadership politica – e svolgendo in questo senso gli interessi del suo partito, la Dc, in una fase di crescente perdita di consenso – lo statista sembrerebbe essersi relazionato con l’intelligence palesando un qualche minore distacco, o perlomeno con un certo grado di contaminazione anche semplicemente subita nel corso degli eventi».
La distinzione è piuttosto chiara: da un lato, c’è il Moro istituzionale, che usa i Servizi per tutelare l’interesse nazionale e perseguire la ragion di Stato, dall’altro c’è il Moro politico, che obtorto collo, è stato costretto a sporcarsi le mani. Ma questa distinzione, nel contesto della Prima Repubblica, in cui i partiti si confondevano con le istituzioni, risulta molto sfumata.
La visione complessiva di questo rapporto, ricostruito nella sua scansione cronologica e nella sue dinamiche politiche, è trattata in maniera sintetica e agevole nel saggio di Mario Caligiuri, che dà il titolo al volume. «Un autentico uomo di Stato», spiega il docente dell’Unical, «non può non essere anche un uomo di intelligence, nel senso che sa riconoscere e utilizzare questo strumento fondamentale nell’interesse delle istituzioni e dei cittadini». Sempre secondo Caligiuri, fu Moro a insegnare a Cossiga, considerato in seguito il politico più esperto di questo delicato settore, i fondamentali sull’intelligence e sui Servizi d’informazione. C’è da dire, al riguardo, che lo stesso ex presidente della Repubblica riconobbe in più occasioni all’ex presidente del Consiglio il ruolo di maestro.
I punti focali di questo rapporto comunque non facile con i Servizi sono noti: oltre alla citata vicenda del governo Tambroni, è doveroso menzionare la travagliata gestazione e gestione del centrosinistra organico, guidato da Moro dal ’64 al ’69. Questo, per stare sull’argomento, è il periodo dei tentativi golpisti attribuiti prima al generale De Lorenzo e poi al principe Borghese. E al riguardo non si può fare a meno di notare l’apparente contraddizione per cui prima De Lorenzo è il suggeritore occulto di Moro e poi, su indicazione di Segni, avrebbe imbastito il piano Solo per ostacolare il piano di riforme radicali, che comprendeva una massiccia quantità di nazionalizzazioni, del centrosinistra di Moro. I dati certi di questa vicenda piuttosto torbida sono essenzialmente due: il fatto che il piano Solo sia emerso attraverso la stampa alla fine degli anni ’60 e la massiccia opera di schedatura di varie personalità, politiche e non solo, attuata dai Servizi in quel periodo, che a dirla tutta è l’aspetto più grave (e provato) dell’azione di De Lorenzo.
Gli altri punti focali del rapporto tra Moro e i Servizi si fondano sulle esigenze di politica estera, che lo statista democristiano interpretò sia da presidente del Consiglio sia, a partire dagli anni ’70 da ministro degli Esteri. A Moro è attribuito il duplice ruolo di continuatore della politica mediterranea iniziata da De Gasperi e sostenuta da Enrico Mattei e di inauguratore del neoatlantismo: cioè di quella dottrina secondo cui l’Italia, nel quadro della fedeltà alla Nato, doveva (e poteva) ambire a una politica autonoma, nel Mediterraneo e in particolare verso i Paesi arabi, rispetto anche agli interessi, concorrenti e a volte confliggenti, dei Paesi alleati, specialmente Francia e Gran Bretagna, le ex potenze egemoni coloniali egemoni nell’area.
A questo proposito, è noto tra gli studiosi – e non solo – il cosiddetto lodo Moro, cioè l’accordo sottobanco stretto dal governo italiano con l’Olp e il Fplp, le due organizzazioni politico-terroristiche che si battevano contro Israele e contro l’Occidente per l’indipendenza della Palestina. Questo accordo, di cui fu garante il già citato Stefano Giovannone, confermò la dottrina mediterranea italiana e, tolto qualche episodio drammatico, tenne al riparo l’Italia dall’elevata quantità di attentati che insanguinarono il resto dell’Europa.
Da questa linea di politica estera – formale equidistanza italiana tra Israele e mondo arabo ma sostanziale vicinanza a quest’ultimo – derivarono alcuni contrasti importanti nel Servizio segreto militare tra la componente filoisraeliana che faceva capo a Gianadelio Maletti, vicino ad Andreotti, e quella filoaraba, rappresentata da Vito Miceli, vicino a Moro.
E si potrebbe continuare a lungo.
Dei singoli aspetti del complesso legame tra il leader politico e l’intelligence sin qui delineati, si occupano gli altri saggi di Aldo Moro e l’Intelligence.
In particolare, Andrea Ambrogetti viviseziona la fase delicata del centrosinistra e, ovviamente, il piano Solo e i rapporti tra lo statista e i vertici dei Servizi in Aldo Moro e i servizi di informazione. Le sfide degli anni Sessanta e Settanta.
Francesco Maria Biscione in Aspetti del «Memoriale» di Aldo Moro relativi all’intelligence si concentra sui documenti prodotti dallo statista nei 55 giorni di prigionia alla ricerca di un’interpretazione autentica sulla genesi e sulla gestione del delicato rapporto moroteo con i Servizi.
Vera Capperucci si concentra sugli avvenimenti che precedettero il varo del centrosinistra in La segreteria Moro (1959-1964) e il caso Tambroni con un taglio di analisi più concentrato sulla storia politica tout court che sull’intelligence.
Massimo Mastrogregori in Moro e il mondo del segreto: appunti e osservazioni riprende e amplia alcuni capitoli della seconda parte della sua recente biografia su Aldo Moro e focalizza con precisione il tema dell’intelligence sullo sfondo degli anni di piombo fino al tragico epilogo del ’78.
Il masterpiece del volume è Il lodo Moro. L’Italia e la politica mediterranea. Appunti per una storia, un vero e proprio libro nel libro (circa 120 pagine) in cui Giacomo Pacini riassume con efficacia le dinamiche del conflitto arabo-israeliano e approfondisce la politica italiana e morotea nei riguardi del Medio Oriente. Una vera miniera di informazioni che arricchisce il volume travalicandone con garbo i confini.
Virgilio Ilari, uno dei maggiori storici militari italiani, fornisce alla raccolta un contributo importante da due punti di vista: documentario innanzitutto e sotto il profilo della testimonianza scientifica. Infatti, il suo Aldo Moro nella storia militare della prima repubblica è essenzialmente un collage di estratti da Storia Militare della Prima Repubblica (Widerholdt Frerés, Invorio 2009), un classico della storiografia accademica. Quest’operazione, in apparenza di cucina, ha il pregio di inserire l’analisi dell’operato di Moro nel contesto degli studi strategici, ma soprattutto di testimoniare come, sin dagli anni ’90, il periodo a cui risale la prima edizione della Storia Militare di Ilari, esistesse già un interesse scientifico serio verso il mondo dell’intelligence e i suoi rapporti con la politica.
In appendice al volume, gli interventi dell’ex leader Dc Ciriaco De Mita e di Luigi Zanda, senatore del Pd ed ex sottosegretario all’Interno con Cossiga.
Due testimonianze biografiche chiudono Aldo Moro e l’Intelligence, un’antologia che consente di scoprire aspetti finora sottovalutati dello statista di cui si celebra il quarantesimo anniversario dalla scomparsa. Ma, soprattutto, permette di lanciare uno sguardo diverso, meno condizionato ideologicamente, sulla storia contemporanea italiana. Non è poco.
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