Il Generale di Ferro che piegò i briganti
Roberto Vaccari racconta la vita del generale Cialdini in maniera equilibrata, ben lontana dall’acredine dei neoborbonici
La produzione storiografica sul Risorgimento è sterminata e comprende una gran copia di autori sia italiani sia stranieri. Il testo più celebre e celebrato è la monumentale biografia sul Gran Conte scritta da Rosario Romeo, quel Cavour e il suo tempo che in tre ponderosi volumi ricostruisce un’epoca intera incentrandola attorno alla figura del grande statista. Le biografie su Giuseppe Garibaldi abbondano ed in molte lingue, a conferma della fama internazionale dell’Eroe dei Due Mondi. Sorprende quindi un poco che sia mancata una biografia su Enrico Cialdini, uomo che, sebbene non abbia avuto l’importanza di un Cavour o di un Garibaldi, è stato comunque fra i protagonisti dell’unificazione italiana. Questo vuoto è stato finalmente colmato da Roberto Vaccari, autore del libro Enrico Cialdini. Il generale di ferro, uscito nel dicembre 2017 (Elis Colombini Editore, Modena).
L’opera ricostruisce la biografia dell’ufficiale modenese nell’interezza della sua vita, dalle origini familiari sino alla morte: la partecipazione al moto di Modena con il generale Carlo Zucchi nel 1841; l’esilio in Francia dopo la sconfitta; la guerra in Portogallo dalla parte dei liberali nel 1833-1834; il lungo impegno bellico in Spagna a fianco dei costituzionali contro i seguaci di don Carlos nella prima delle guerre carliste durata dal 1833 al 1841 ed a cui il modenese prese parte per sette anni; il ritorno in patria nel 1848, in cui egli combatté sotto il generale Durando alla battaglia di Monte Berico (presso Vicenza) in cui rimase gravemente ferito, e successivamente nel 1849 alla battaglia di Novara alla testa del 23° reggimento di fanteria; la sua partenza per la spedizione in Crimea nel 1855, in cui comandò una brigata della 1° divisione e combatté nella battaglia della Cernaia; il comando della 4° divisione di fanteria dell’esercito del regno di Sardegna nella II guerra d’indipendenza contro l’Austria nel 1859; la nomina a capo del 4° corpo d’armata e la spedizione nelle Marche contro l’esercito pontificio culminata nella vittoria di Castelfidardo; le operazioni contro l’esercito delle Due Sicilie con l’assedio di Gaeta e di Messina; la nomina a Luogotenente generale del re nelle provincie napoletane e la sua guida alla repressione del brigantaggio; l’intervento contro l’esercito di Garibaldi che voleva marciare su Roma dalla Sicilia ed il famoso episodio dell’Aspromonte; il suo ruolo nella III guerra d’indipendenza del 1866, in cui Cialdini ebbe il comando di un’intera armata; la nomina da parte diVittorio Emanuele II ad ambasciatore speciale in Spagna, per favorire l’accettazione di Amedeo d’Aosta quale nuovo sovrano del paese, con un incarico che egli tenne dal 1869 al 1873; il mandato come rappresentante diplomatico del Regno d’Italia a Parigi, che egli ricoperse dal 1873 al 1881.
La vita di Cialdini fu quindi densa d’azioni, in misura tale che risulta difficile riassumerle anche solo in una singola biografia. Merito di Vaccari è di aver ricostruito il percorso del generale di ferro nella sua interezza, essendo egli quasi esclusivamente conosciuto come il vincitore di Castelfidardo, Gaeta e Messina, per la lotta al brigantaggio e per la campagna del 1866. Al contrario, questo libro spiega con chiarezza come siano state cruciali nella sua formazione di militare ed in generale nella sua esistenza le esperienze belliche in terra iberica, prima in Portogallo, poi in Spagna. In particolare, la prima guerra carlista vide la presenza di molti italiani che combatterono assieme ai liberali contro i legittimisti, fra cui, oltre ad Enrico Cialdini, Manfredo Fanti, i fratelli Giovanni e Giacomo Durandi, Ignazio Ribotti, Nicola Arduino, Nicola Fabrizi, Domenico D’Apice, Carlo Bianco, Fernardo Fabbi ed altri ancora. Il conflitto fra cristini e carlisti in terra spagnola, pressoché completamente trascurato nella storiografia italiana, fu una vera fucina di militari che in seguito si distingueranno nelle guerre risorgimentali, tanto che dalla sua prova giungeranno parecchi generali del regno d’Italia, fra cui un comandante in capo, diversi ministri e senatori.
La trattazione di Vaccari risulta equilibrata ed in sostanza obiettiva, lontana tanto dalla demonizzazione di Cialdini cara ad una certa pubblicistica ideologizzata quanto da una visione agiografica del generale modenese. Il biografo si sofferma pertanto anche sulle vicende più dibattute di questo personaggio, quali le misure da egli adottate contro le bande brigantesche, l’Aspromonte ed i contrasti con Garibaldi, infine il suo comportamento nel 1866.
Riguardo al brigantaggio, Vaccari spiega che nulla permette di ritenere dall’analisi delle fonti che Cialdini si proponesse un’azione repressiva indiscriminata contro la popolazione civile, al contrario il suo operato «rappresenta a pieno diritto lo Stato il cui compito primario è ripristinare l’ordine e controllare il territorio». Ciò impone di agire contro gruppi di criminali che ostacolano la pacifica esistenza degli abitanti e compiono razzie e violenze. Quale luogotenente del re egli fu anche capace di unire l’azione politica a quella militare, con indubbia efficacia.
Rimane invece difficile valutare la positività delle sue decisioni nella III guerra d’indipendenza, in cui alla testa di un’intera armata di 8 divisioni fece da spettatore all’attacco di Alfonso La Marmora al Quadrilatero, anziché appoggiarlo con un’azione decisa. Si è a lungo dibattuto se la responsabilità dell’inazione di Cialdini dipendesse da una decisione erronea oppure da una mancanza del capo di stato maggiore, quindi La Marmora stesso, e potrebbe esservi del vero in entrambe le ipotesi. Resta il fatto che un suo contegno più energico avrebbe potuto cambiare il corso della campagna in senso più propizio alle armi italiane.
La biografia di questo comandante militare viene inquadrata con regolarità nel contesto storico in cui egli si muove ed in particolar modo posta «nel panorama della generazione di militari-patrioti a cui appartiene». Vaccari rimarca nelle sue conclusioni la centralità di questa classe di ufficiali sia nella nascita dello stato italiano sia nella posteriore fissazione delle sue strutture. Cialdini stesso, sebbene fosse anzitutto un militare, ebbe anche un ruolo politico al punto che si parlò di lui quale candidato alla carica di primo ministro.
Il saggio offre finalmente una ricostruzione organica dell’esistenza, delle azioni e della personalità del generale di ferro, fornendo un punto di riferimento bibliografico assai utile e finora assente su di uno dei protagonisti del Risorgimento.
Marco Vigna
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NON SONO UN NEOBORBONICO,PERO’ LA STORIA BISOGNA RACCONTARLA TUTTA.
NON HO LETTO IL LIBRO DI VACCARI,BASTA LA RECENSIONE.
Egregio Pagnotto,
anche se fosse un neoborbonico, non cambierebbe nulla: per quel che mi riguarda, lei è libero di pensare quel che vuole e come vuole.
Ma di solito i libri si leggono. Questo sì.
Ripeto l’invito fatto sopra: abbassi i toni.
Saverio Paletta
“Riguardo al brigantaggio, Vaccari spiega che nulla permette di ritenere dall’analisi delle fonti che Cialdini si proponesse un’azione repressiva indiscriminata contro la popolazione civile, al contrario il suo operato «rappresenta a pieno diritto lo Stato il cui compito primario è ripristinare l’ordine e controllare il territorio». Ciò impone di agire contro gruppi di criminali che ostacolano la pacifica esistenza degli abitanti e compiono razzie e violenze. Quale luogotenente del re egli fu anche capace di unire l’azione politica a quella militare, con indubbia efficacia.” ANCHE GLI ECCIDI DELLA POPOLAZIONE CIVILE E CASALDUNI E PONTELANDOLFO INCENDIATI,IL MASSACRO DI AULETTA ECC. RIENTRANO IN QUESTA SINGOLARE LETTURA DELLE GESTA COMPIUTE NEL SUD DA QUESTO CRIMINALE,”generale di ferro”?A GAETA QUESTO SIGNORE INQUINO’ LE SORGENTI CHE ALIMENTAVANO L’ACQUEDOTTO CHE PORTAVA L’ACQUA ALLA FORTEZZA ASSEDIATA E DURANTE LE TRATTATIVE PER LA RESA CONTINUO’ A BOMBARDARE DALLA TERRA E DAL MARE.FECE SPARARE ANCHE A GARIBALDI E L’UNICO POSTO AVREBBE DOVUTO COMBATTERE,A CUSTOZA,BRILLO’ PER LA SUA INAZIONE E NON SI CAPISCE PERCHE’ L’ABBIA PASSATA LISCIA ANZI ABBIA POI FATTO UNA SPLENDIDA CARRIERA:RAMORINO,MENO DI VENT’ANNI PRIMA PER MOLTO DI MENO VENNE FUCILATO.
Egregio Pagnotto,
mi permetto, prima di risponderLe, una piccola segnalazione tecnica: nel linguaggio del web, scrivere a tutte maiuscole equivale a urlare.
Quindi abbassi i toni.
Veniamo pure a Cialdini: sull’IndYgesto abbiamo esaminato, indipendentemente dal libro di Vaccari, l’episodio di Pontelandolfo.
Dalle fonti utilizzate, risulta che l’operazione militare ordinata (quindi non guidata né condotta in prima persona) da Cialdini nel Sannio non fu il massacro indiscriminato che sottende lei.
Per quel che riguarda Gaeta, su cui ci ripromettiamo di tornare, le fonti borboniche, cioè i diari di guerra degli ufficiali che gestirono la piazzaforte non parlano di avvelenamento dei pozzi, ma confermano che si trattò di un assedio condotto secondo le norme del Diritto internazionale bellico allora vigenti: blocco navale e terrestre, uso delle artiglierie ecc. Ma anche scambi di prigionieri e di ambasciatori. Non risulta, tra l’altro un numero elevato di vittime tra gli assediati, civili e militari, il che smentisce l’ipotesi della procurata epidemia.
Per il resto, provi a sfogliare il libro di Vaccari e lo confronti con fonti un po’ più serie di quelle su cui si è documentato.
Un saluto
Saverio Paletta
stranissimo sottotitolo “in maniera equilibrata, ben lontana dall’acredine dei neoborbonici” : se e’ equilibrato bisogna confrontarsi con neoborboni o altri che NON hanno acredine ! Si parla di brigantaggio che viene DOPO una guerra NON DICHIARATA (io conosco solo l’invasione della Polonia da parte della Germania nazista !) a cui si aggiunge l’invasione dello stato della chiesa (in base a quale diritto o in risposta a quale aggressione ?) ! Io sono contento dell’unita d’Italia e del nome che i miei mi hanno dato, ma di Vaccari e vostro mi lascia superperplesso !
Egregio Italo,
Voglia perdonare il ritardo con cui Le rispondo.
Una credibile statistica, che pubblicheremo senz’altro a breve, fornitaci da uno studioso di Diritto internazionale (le dichiarazioni di guerra sono disciplinate da questa branca), dimostra altro: le dichiarazioni, fino alla Prima Guerra Mondiale, erano eccezioni.
Ma tant’è: a livello giuridico non erano ritenute necessarie: perché ci fosse guerra, bastava lo stato di fatto, ovvero le operazioni militari, e dei “fatti concludenti”, cioè la rottura delle relazioni diplomatiche ed economiche.
Converrà con me che chi definisce un militare “macellaio” senza darsi la pena di approfondire esprime acredine, o no?
Un cordiale saluto e buona giornata
Saverio Paletta