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Quando la Calabria correva e sognava sui motori dei Giuliani

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“Corse e ricorsi”, ovvero la saga di una famiglia che ha dato a Cosenza due generazioni di campioni automobilistici

Anche chi cambia canale o volta pagina non appena vede qualcosa che ha a che fare con lo sport, è obbligato a riconoscere almeno due cose.

Innanzitutto, che lo sport è la massima forma di eroismo, individuale o di gruppo, riconosciuto dall’immaginario contemporaneo, dal quale è praticamente sparita la dimensione bellica.

In seconda battuta, che la narrazione dello sport è l’epica contemporanea, visto che l’epica, per statuto letterario, è il racconto delle gesta e non esistono gesta senza eroi ed eroismo.

Detto questo, occorre dire che c’è tanto, troppo, pessimo eroismo. Anzi, certi episodi squallidi ricordano che anche nello sport certi valori sono diventati merce rara. Eppoi c’è tanta pessima epica, praticata da mestieranti per i quali gli eroi nascono e muoiono sul campo o sulla pista.

In realtà, l’epica è degna di questo nome quando riesce a raccontare anche il mondo e la vita di questi eroi che, piaccia o meno, galvanizzano ed entusiasmano milioni di persone. È stato così dai tempi di Omero ai romanzi fantasy, dovrebbe essere così anche per l’odierna cronaca sportiva.

Ne è un esempio Corse e ricorsi. Una storia di famiglia e motori, scritto da Claudio Giuliani (e con la complice partecipazione del figlio Camillo, giornalista di razza) e appena sfornato dai tipi dell’editore Pellegrini di Cosenza.

L’apparente refuso del titolo, trasforma in metafora sportiva il canone filosofico che fu di Vico e, come fa notare il prefatore Emanuele Giacoia, di Gian Vincenzo Gravina. Nella metafora resta il Sud, ma cambia l’argomento: Claudio Giuliani – che non è un cronista sportivo ma un ingegnere proveniente da una famiglia antica e importante di Cosenza, della quale tra l’altro è stato sindaco – racconta le prime, vere competizioni automobilistiche avvenute in Calabria, e in particolare, nel Cosentino, dove proprio i piloti locali si distinsero bene su piste e strade che oggi farebbero rabbrividire gli incalliti dei rally.

Citiamole in ordine più o meno sparso.

Iniziamo dalla Coppa Sila, che fu inaugurata nel 1924. Cioè, ricorda l’autore, dopo la siciliana Targa Florio (che si svolse dal 1906 al 1977) e prima della Mille Miglia, iniziata nel 1927.

La prima edizione di questa gara si svolse su un tracciato di 144 chilometri, tutti nell’altopiano della Sila e su strade in gran parte non asfaltate. Era, precisa ancora Giuliani, una gara di regolarità: in altre parole, i piloti dovevano tenere una velocità media di 45 km orari. Roba tutt’altro che facile dati i mezzi e le vie. Sembra di rileggere le belle pagine dedicate da Alessandro Baricco ai primi treni, che viaggiavano a 40 orari stipati di passeggeri impressionati dall’impatto con una componente fino ad allora sconosciuta o quasi nella loro vita: la velocità. E c’è da dire che la Calabria di quell’epoca ricordava sin troppo la società della belle époque: arretrata ma desiderosa del progresso, fino a farne un’ideologia.

L’ideatore della Coppa Sila fu un medico, il professor Giuseppe Catalani. La sua idea piacque a tal punto che, a partire dalla seconda edizione, il percorso fu ampliato e fu aggiunto un altro premio: la Targa Catalani, dedicata ai vincitori di un tratto difficile del percorso, compreso tra Cosenza e Montescuro. Ventotto km in cronoscalata, che poi, a partire dal 1959, sarebbe diventata la Coppa Sila tout court.

Anche il fascismo, che governava con velleità modernizzatrici, si prese il suo: a partire dal 1929, il premio fu denominato Coppa Michele Bianchi, in omaggio al ministro calabrese, già quadrumviro della Marcia su Roma.

Dopo l’interruzione bellica, la gara riprese col suo nome originale. Non era più l’Italia fascista ad assistervi, bensì quella che si preparava al boom, che avrebbe lanciato le grandi competizioni e tagliato fuori dall’agonismo che contava quei pionieri che, con sacrificio e sprezzo del pericolo, avevano lanciato l’automobilismo nei sogni di almeno due generazioni.

Già, ammonisce l’autore: quando iniziarono queste competizioni, la motorizzazione di massa, appena vagheggiata dall’ultima classe dirigente liberale, pianificata dal fascismo ma realizzata solo a partire dagli anni ’60, era abbondantemente di là da venire, quindi l’automobilismo era uno sport per i più abbienti. L’élite dell’élite. E, aggiungiamo noi, una élite di folli, che osavano correre in auto quando molti, tra i pochi che potevano permettersene una, avevano paura persino di camminarci. Il tutto a velocità che oggi fanno ridere: camminare voleva dire procedere tra i 30 e i 50 km orari, correre significava andare dai 50 km orari in su. E cento all’ora era la velocità di Nembo Kid.

Tra i pionieri figurano un paio di generazioni dei Giuliani.

Si parte, è il caso di dirlo, da Salvatore Giuliani (1881-1964), fratello del nonno dell’autore, e Domenico Giuliani (1903-1969), zio dell’autore. I due parteciparono in coppia alla primissima edizione della Coppa Sila e arrivarono quinti a bordo di una Fiat 501 S, che raggiungeva una velocità massima di 75 km orari. Un bolide, per l’epoca.

La galleria di famiglia prosegue con Camillo Giuliani (1913-1991), papà dell’autore e nonno dell’autore ombra, vincitore, nel 1959 della Targa Catalani.

Poi si termina con l’autore, habitué della Coppa Sila e di varie altri tornei, e suo cugino Ottavio Giuliani Jr (1940-1969), scomparso prematuramente per un sinistro stradale banale, che sembra una beffa del destino, se si considera che questo bravissimo e spericolato pilota era uscito sempre indenne da competizioni pesantissime.

Non è il caso di aggiungere altro. Speriamo solo di aver anticipato quel po’ che basta per invogliare alla lettura di un libro che riesce a raccontare un bel pezzo di storia locale – e non solo – combinando più chiavi di lettura.

Innanzitutto, quella sportiva e quella sociale. L’automobilismo nell’Italia e, soprattutto, nel Sud, espresse l’ansia di futuro e il desiderio di emancipazione attraverso il progresso tipica delle componenti più avanzate delle società arretrate.

L’automobilismo, infatti, anticipò la motorizzazione di massa, trasformando le automobili in oggetti del desiderio, perché simboli di potenza, e i piloti in modelli da emulare. Se si vuole, fu il risultato più importante del futurismo nella cultura di massa italiana che trovò proprio nei motori uno dei simboli più forti. Mutatis mutandis, fu un po’ quel che avvenne con l’aeronautica, che in Italia ispirò più di un entusiasmo grazie ai primati di Italo Balbo. Nell’immaginario fascista volevano celebrare il nuovo rango di potenza dell’Italia, ma in realtà fornirono utili stimoli all’aeronautica civile, che si sarebbe affermata a partire dal dopoguerra.

Le altre due chiavi di lettura sono quella local-familiare e nazionale. «Racconta il tuo villaggio e racconterai il mondo», diceva più o meno Tolstoj.

E il racconto di Claudio Giuliani riesce, combinando con semplicità ed efficacia più dimensioni, a rendere bene l’ambiente di quegli atleti che, con grandi sacrifici, giravano, anzi correvano tutto il Paese per provare il brivido del rombo del metallo pesante.

Acqua passata? Certo. Ma sarebbe bello che tornasse, perché nella dimensione amatoriale di quel modo di fare sport c’era davvero, si perdoni il bisticcio, più amore che nei box di ambienti in cui i milioni e l’hi tech hanno offuscato tutto il resto.

Corse e ricorsi sarà presentato in prima assoluta a Villa Rendano, nel cuore di Cosenza. Un’occasione per sentire il racconto, questo fantastico racconto, dalla viva voce dell’autore che ne è anche il protagonista.

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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