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Secretum: l’Archivio vaticano come non l’avete mai conosciuto

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Nessun mistero più o meno “inconfessabile”: solo più di un millennio di grande storia custodito in ottantacinque chilometri di scaffali nei sotterranei del papato. Sergio Pagano, il penultimo prefetto dell’Archivio apostolico sfata i miti e le leggende nere sulla più grande raccolta di documenti al mondo in un libro intervista al giornalista Massimo Franco

L’aggettivo segreto, riferito al nome precedente (e più noto) dell’Archivio vaticano, non sta per proibito al mondo ma, semplicemente riservato.

Ancora: l’archivio dei papi non ha nulla di speciale (nel senso di pruriginoso), ma è tutto speciale. Lo è per il peso delle storie contenute in quelle carte preziose, che contribuiscono a creare la Storia.

E ce n’è abbastanza per confutare luoghi comuni (ad esempio, sul processo a Galileo) o per chiarire retroscena inediti, a volte scottanti (alcuni silenzi tuttora difficili da interpretare di Pio XII).

Tutto questo e di più, nelle quattrocento e rotte pagine di Secretum (Solferino, Milano 2024), il corposo libro intervista di Massimo Franco, firma di punta del Corrierone, a monsignor Sergio Pagano, vescovo titolare di Celene, assessore del Pontificio comitato di scienze storiche e per quel che qui più importa, prefetto dell’Archivio apostolico vaticano (l’ex Archivio segreto, appunto).

La copertina di Secretum

Sergio Pagano: un intellettuale-sacerdote a prova di bomba

A sfogliare Secretum non si capisce, nel caso di monsignor Pagano, dove finisca il sacerdote e inizi l’intellettuale e viceversa.

Certo è che per incutere soggezione a una superfirma come Franco ce ne vuole e Pagano ci riesce. Non per i titoli ecclesiastici, importanti e tutti davvero meritati, ma per il rigore del ragionamento e l’immensa ricchezza culturale: forse i veri secreta del monsignore.

Sergio Pagano ha diretto l’Archivio per 24 anni, dal 1997 al 5 luglio 2024. Quindi Secretum deve essere considerato anche una specie di testamento professionale e intellettuale dell’alto prelato che, oltre la propria attività (invisibile ai più ma preziosa), racconta sé stesso.

Classe ’48 e origini semplici (papà contadino, mamma casalinga) della provincia ligure, Pagano è un esempio riuscito di come la Chiesa sia ancora un ascensore molto selettivo ed efficace: entra nell’Ordine dei Barnabiti a diciotto anni e diventa sacerdote dieci anni dopo. Nel frattempo, si laurea in Teologia e si diploma in Paleografia presso la Scuola vaticana di paleografia diplomatica e archivistica, quindi entra nell’Archivio segreto con il titolo di scrittore, la qualifica base. In tale ruolo, si distingue subito per una ricerca importante sui faldoni del processo a Galileo commissionata da Giovanni Paolo II.

Monsignor Sergio Pagano

È la prima di un’importante serie di ricerche, gestite in prima persona o coordinate da monsignor Pagano: tra queste spicca senz’altro quella sul pontificato, importantissimo delicato e controverso, di Pio XII.

Inoltre, grazie a uno dei vari incarichi importanti (consultore storico della Congregazione delle cause dei santi) ricevuti prima di diventare prefetto dell’Archivio, il prelato ligure ha un punto di osservazione privilegiato anche sulle dinamiche in tempo reale della Chiesa, a cui non lesina critiche fondate, costruttive e originali.

Il secretum non esiste

Ma quali usci segreti e porte scorrevoli camuffate da pannelli e da scaffali, dichiara più volte monsignor Pagano al suo intervistatore nelle pagine di Secretum.

L’Archivio apostolico vaticano ha assunto l’attuale denominazione in seguito al motu propriu di papa Francesco del 22 maggio 2019, emanato per eliminare le ambiguità legate all’uso moderno del vocabolo segreto (o, peggio ancora, le suggestioni del termine latino…).

Ma, si perdoni l’irriverenza, se segreto è stato, era davvero di Pulcinella. Tale fu per i napoleonici, che lo confiscarono nel 1810. Tale, persino, per i fruttivendoli e per i macellai di Parigi, che ne usarono alcuni documenti per involtolare le loro merci, senza neppure sapere cosa avessero per le mani.

Inoltre, l’Archivio è poco segreto anche per gli studiosi che lo frequentano dal 1881 quando papa Leone XII ne aprì le porte.

La scelta fu praticamente obbligata (non lo avesse fatto il papa, avrebbe provveduto lo Stato italiano, a dire il vero all’epoca non troppo preparato a gestire quella mole di documenti) ma benefica.

Tuttavia, la mancanza di un segreto religioso o politico non vuol dire che l’Archivio sia totalmente trasparente. Lo impedisce, innanzitutto, la mole impressionante dei documenti, accumulati dal 1612, l’anno della fondazione, e disposti su 85 km di scaffali nel megabunker sotterraneo voluto da Paolo VI nel cortile della Pigna.

Massimo Franco

Questi documenti coprono dodici secoli di storia (dall’Ottavo al Ventesimo) e sono organizzati in oltre seicento fondi. Troppa roba per cui il personale non basta mai.

E che i segreti non siano davvero tali lo dimostra uno dei dossier a cui è dedicata ampia parte del libro: quello su Pio XII.

I silenzi del Pastor Angelicus

Per desecretare i documenti sul pontificato di Eugenio Pacelli ci sono voluti sessantun anni: tanti ne sono trascorsi dalla morte di papa Pio XII al 2019, quando papa Francesco ha decretato la desecretazione.

Per valutare la tempistica, torna utile qualche paragone. Nei democraticissimi Usa i documenti possono essere desecretati dopo cinquant’anni. In Russia, Putin ha disposto la chiusura degli archivi sovietici, già terreno di safari e razzie nell’era Eltsin (le ex spie e gli ex collaboratori, in particolare italiani, del Kgb ringraziano assaje…). In Italia, a dispetto di alcuni tentativi di regolamentazione nell’era Renzi, resta il caos temperato dall’arbitrio, per la gioia dei dietrologi camuffati più o meno bene da giornalisti.

Se si considera la massa di documenti, il periodo tragico del pontificato di Pacelli (la Seconda Guerra mondiale e l’avvio della Guerra fredda) e la sua durata (19 anni, dal 1939 al 1958), la tempistica è notevole.

Anche i risultati: dalla ricerca emerge un papa in prima linea nella lotta al nazismo e, soprattutto, nell’aiuto ai perseguitati, ebrei e non. Emerge, inoltre, un pontefice impegnato in un’opera massiccia di carità nell’Italia ancora devastata dalla guerra e non ancora prossima al boom. Certo, ci sono anche i silenzi del papa, considerati fino a non poco tempo fa quasi una colpa, soprattutto negli ambienti israeliani.

Pio XII

Lo scavo negli archivi rivela quel che in parte si immaginava (e che una buona fetta di studiosi aveva già sostenuto con efficacia): Pio XII tenne un atteggiamento prudente durante la guerra per non aggravare la situazione, già tragica, dei perseguitati dai nazisti.

Più difficile decifrare i silenzi tenuti dal papa nel dopoguerra, sebbene monsignor Pagano semini tracce e indizi nel corso del dialogo con Franco. E da questi si potrebbe ricavare almeno una suggestione.

Arriviamoci per gradi.

Primo punto: il dopoguerra di Pio XII è il momento in cui il Vaticano, grazie a un immenso lavoro diplomatico stringe l’alleanza definitiva con gli Usa. Quindi la Chiesa fa la sua scelta di campo (tra l’altro praticamente obbligata) nella Guerra fredda. Inoltre, questa scelta, come ha sostenuto con efficacia Antonello Carvigiani su Storia in Rete (n. 162 di maggio 2019) costò al pontefice una feroce campagna diffamatoria del Kgb, che arrivò a condizionare anche gli ambienti ebraici.

Secondo punto: è vero che papa Pacelli fu un oppositore tenace di Hitler. Tuttavia, questa intransigenza, dettata da motivi umanitari, non implicava prese di posizione specifiche.

Detto altrimenti: il papa e la segreteria vaticana erano più che consapevoli che l’Urss e il comunismo internazionale sarebbero stati, per il mondo cattolico e per l’Occidente, un pericolo altrettanto grande, se non più forte, del nazismo prossimo alla sconfitta. Non è un caso che il Vaticano aprì le proprie porte a vari fascisti e nazisti sconfitti e braccati, con la stessa generosità dimostrata a ebrei e antifascisti.

In questa equanimità ebbe senz’altro un peso più che preponderante lo spirito evangelico. Ma negare che con questa politica del soccorso la Chiesa abbia voluto anche disegnare un campo politico su cui il mondo cattolico potesse scommettere.

Anche papa Pacelli distinse, come avrebbe fatto Giovanni XXIII, l’errore, da condannare senza riserve, dagli erranti, da accogliere e perdonare. Ma, a differenza del papa buono, lo fece tra gli sconfitti. Viceversa, Pio XII esibì verso il Pci di Togliatti e Secchia un’intransigenza fortissima, che sfociò nel famoso anatema.

Terzo punto: questa linea politica vaticana era in perfetta sincrona con le scelte dell’Occidente, più (Usa e Gb) o meno (Italia, che subiva il fattore K) palesi.

Gli Usa, in particolare, avevano messo al sicuro molti esponenti poco compromessi del cessato Reich germanico. E ottennero un capolavoro politico accogliendo Reinhard Gehlen, generale della Wehrmacht e capo dei Servizi segreti tedeschi del fronte orientale. Gehlen, a guerra appena cessata, avrebbe riorganizzato i Servizi segreti per la Repubblica Federale Tedesca, con rara efficacia anticomunista.

Stesso discorso per la politica Usa in Italia verso i superstiti di Salò e, più in generale, del fascismo. In altre parole, il nemico di ieri era diventato un alleato contro l’amico di ieri diventato avversario pericoloso.

I silenzi postbellici di Pio XII, in tale contesto, potrebbero assumere un profondo significato, anche politico. Non nel senso del potere, ma di sopravvivenza: la Chiesa era nel mirino di Stalin e il Pci di allora, a dispetto degli ammiccamenti di Togliatti al mondo cattolico, era un partito davvero pericoloso per la fragile democrazia italiana.

Gli indizi ci sono, il resto tocca al lettore.

Galileo a processo e Leopardi taccagno

Una ricostruzione giudiziaria veritiera e un gossip gustosissimo.

La prima riguarda il processo a Galileo, una vicenda più dibattuta che conosciuta, su cui le carte scovate con pazienza da monsignor Pagano praticamente a inizio carriera gettano una nuova luce.

Vediamone alcuni dettagli importanti.

Innanzitutto, Galileo non subì il processo del 1633 per l’eliocentrismo in sé, ma per aver disatteso l’ammonizione fattagli dall’inquisitore san Roberto Bellarmino nel 1616.

Quest’ammonizione non toccava il merito della teoria eliocentrica che la Chiesa non rifiutava più del tutto. Bellarmino si era limitato a vietare allo scienziato pisano di sostenere pubblicamente la sua ipotesi.

Basta questo passaggio per capire come dal racconto di Pagano emerga un ritratto della Chiesa molto più complesso e problematico di quel che possono immaginare molti critici postumi (e facili). Tanto più che l’ex prefetto dell’Archivio apostolico vaticano esibisce le prove di come anche nel mondo protestante l’eliocentrismo non fosse del tutto accettato.

San Roberto Bellarmino

E veniamo al gossip d’epoca, che risale a un paio di secoli dopo il processo a Galileo e ha per protagonista nientemeno che Giacomo Leopardi.

Il poeta marchigiano, che non era ancora diventato un big della letteratura, soggiornava a Napoli. Proprio durante questo soggiorno (per la precisione, il 14 settembre 1836) nella capitale del Regno delle Due Sicilie, scrisse a monsignor Ferretti, il nunzio apostolico presso i Borbone, per fare una richiesta molto italiana: l’esenzione dalle tasse. «Io sono di Recanati e sono qui per caso», affermava il poeta…

Cultura e fede di un custode della storia

Dalla lunga intervista di monsignor Pagano a Massimo Franco emergono almeno due concetti che forse alcune frange del mondo cattolico non riescono a capire. Il primo: essere religiosi non vuol dire essere bigotti o paternostari. Il secondo: la fede può essere cieca, ma chi crede deve poter vedere (e pensare) finché è possibile.

A proposito del Padre Nostro, l’alto prelato si è espresso in modo duro sulla modifica autorizzata dalla Conferenza episcopale italiana, in cui l’espressione classica «non c’indurre in tentazione» è sostituita da «non abbandonarci alla tentazione»: occorreva spiegare anziché cambiare, è la critica di Pagano. Che aggiunge: per fortuna recito il Pater Noster in latino e scavalco questa brutta modifica.

Ancora più tosta la presa di posizione di monsignor Pagano sulla traduzione bipartisan del latino fratres in fratelli e sorelle, laddove il termine originale includeva già i due sessi: un domani non basterà più, visto che anche la sessualità sta diventando fluida e quindi anche il linguaggio dovrebbe adeguarsi, spiega il prefetto.

Monsignor Pagano un conservatore? Probabilmente no. Di sicuro non nella sua lunghissima attività nell’Archivio, dove ha fatto ricerche delicate, senza nascondere né censurare nulla. Né, soprattutto, nella sua lunga prefettura, iniziata con l’introduzione delle tecnologie più moderne.

papa Francesco
Papa Francesco

Sergio Pagano argomenta sempre le sue posizioni con rigore e pacatezza, soprattutto con una grandissima razionalità. Non esemplifica mai, anche nella consapevolezza che tutta la realtà, tutte le vicende umane, anche quelle in apparenza più elementari, sono complesse. Le sue critiche non risparmiano alcuni tendenze della Chiesa attuale (ad esempio, i preti che vivono in maniera troppo moderna e modaiola) e alcuni indirizzi, a cui non sono stati estranei i pontefici: su tutti, la tendenza recente a beatificare troppo e troppo in fretta.

L’ex prefetto esprime una visione sempre lucida e iper razionale, anche nelle critiche, che non sono poche né leggere. Soprattutto, ragiona con il distacco dei veri storici, di cui molti laici (e persino atei) sono perfettamente incapaci.

Monsignor Pagano, quando parla di storia, non invoca dogmi ma argomenta e dimostra. E, va da sé, confuta. Come, ad esempio, nel respingere le teorie del complotto sorte attorno alla scomparsa prematura (e comunque non chiarissima) di Giovanni Paolo I. Non predica mai, ma procede con ragionamenti solidi, anche sulle materie più sofisticate. La sua è una fede che si sente sempre ed emerge quando evoca la Provvidenza, come se fosse l’astuzia della ragione che consente di scommettere, nonostante tutto, sull’umanità.

Ed è forse questo il più grande atto di fede che si può chiedere a un religioso che, quando guarda in alto, trova sempre certezze.

Rigorosi si nasce, brillanti si diventa. E si resta, anche col clergyman.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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