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Storia e geopolitica della crisi ucraina: Giorgio Cella racconta i mille anni prima della guerra

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Dalle origini mitologiche, con impronte nordiche, curiose presenze sioniste e influenze bizantine, al mondo postsovietico e ai suoi sogni trasformati in incubi. Il docente della cattolica analizza le evoluzioni storiche che hanno trasformato russi e ucraini in fratelli “separati” prima e assassini poi…

A risfogliarlo oggi, Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci, Roma 2021) di Giorgio Cella, potrebbe sembrare l’ennesimo volume sull’Ucraina.

Invece no: la poderosa ricerca dello studioso monzese, docente alla Cattolica di Milano, è uno dei pochi libri destinati a restare quando il conflitto russo-ucraino finirà.

Per più motivi.

Innanzitutto, per il rigore e l’imparzialità della ricerca, pregi rari nell’attuale mercato editoriale, anche accademico, che si muove per cordate faziose e tifoserie.

Poi perché questa ricerca non è solo il prodotto di una expertise maturata su testi e fonti, che non sono proprio pochi, come dimostra la ricchissima bibliografia. Ma è anche l’esito di un’esperienza diretta sul campo: Cella, infatti, è stato anche osservatore Osce nelle elezioni ucraine del 2019.

Giorgio Cella

Infine, un altro motivo di originalità del volume di Cella è nel legame, evocato nel titolo, tra storia e geopolitica. È il caso di partire da qui.

Digressione: la rivincita della geopolitica

Bandita a lungo dal dibattito pubblico (anche perché puzzava di fascismo), la geopolitica è tornata alla ribalta a partire dagli anni ’90. Soprattutto nel linguaggio mediatico italiano, in cui si è trasformata in una parola passepartout simile al puffare dei celebri cartoni animati. La geopolitica, infatti, diventa in molti casi sinonimo di relazioni internazionali, di politica internazionale, di geografia politica e, a volte, entra anche nel lessico del Diritto internazionale.

In realtà, queste discipline sono tutte collegate, quindi non sempre l’abuso del termine geopolitica è improprio. Però Giorgio Cella intende la geopolitica in senso ristretto e letterale: cioè come disciplina che analizza le relazioni politiche a partire dal territorio, che assume una centralità assoluta.

Questa lettura geopolitica impone all’analisi storica un forte taglio realista, dato che le letture ideologiche e più o meno materiali, di cui sono cariche le propagande russa e ucraina (e delle loro tifoserie), passano in secondo piano rispetto alla concretezza del territorio. O, per dirla con Carl Schmitt, del dato tellurico.

Geopolitica vs storia

Questo particolare approccio, per cui la geografia è la costante e le attività umane le variabili delle relazioni politiche è l’aspetto più originale e credibile di Storia e geopolitica della crisi ucraina.

Grazie a questo angolo di visuale, Cella si smarca abilmente da due tesi opposte, che nascondono forti insidie ideologiche e sottintesi propagandistici.

La prima tesi, filorussa, è quella ribadita da Putin poco prima dell’invasione: l’Ucraina sarebbe uno Stato artificiale.

Per la seconda tesi, ovviamente filoucraina, l’ex repubblica sovietica sarebbe una nazione plurale, caratterizzata da una vocazione più occidentale rispetto all’ingombrante sorella maggiore.

La copertina di Storia e geopolitica della crisi ucraina

La lettura geopolitica supera entrambe: l’Ucraina, più che una nazione, è un territorio definito da due elementi: la sostanziale omogeneità orografica, costituita dall’alternanza di aree fluviali e steppe, e il suo ruolo storico, di confine ma anche di cerniera.

Già: prima della guerra quasi nessuno sapeva bene cosa fosse l’Ucraina, compresi gli operatori dei media che ora fanno a gara a esibire improbabili competenze slavistiche. Ora, invece, si fa a gara a tradurre la parola: Ucraina significherebbe il confine, il confine vicino o, come propone Cella, sul confine.

Non solo slavi

Va da sé che questo ruolo di cerniera, tra Occidente e Asia bianca, ha reso l’Ucraina anche un cuscinetto. Ad esempio, tra le orde mongole e l’Europa o tra il mondo russo e la Germania. Ma, ricorda l’autore, la storia di questa grande area ai margini dell’Europa (o, se si preferisce, nel cuore dell’Eurasia) non riguarda solo i popoli slavi. E non a caso, Cella ricostruisce altre esperienze significative verificatesi su quel confine.

Ne citiamo solo una, importantissima, anche per la sua originalità: il Regno di Khazaria, cioè il primo Stato ebraico dopo la diaspora. Caso unico, questo regno, che ebbe una forte vitalità militare ed economica e rapporti stretti con Bisanzio, fu fondato da una popolazione turcofona – i khazari, appunto – convertita e non da ebrei. Ciò a dispetto del carattere di religione di stirpe dell’ebraismo.

Un sionismo, tra l’altro compiuto, senza ebrei alle porte dell’Europa.

Quest’esperienza, piuttosto lunga e intensa, conferma il ruolo di cuscinetto o (per dirla nel gergo anglofono delle relazioni internazionali) di buffer zone dell’Ucraina.

Il regno khazaro, infatti, ebbe un ruolo fondamentale di freno all’espansione dell’islam verso l’Europa. E questo precedente è importantissimo per la nascita del primo regno slavo.

Il battesimo di re Vladimir

Agli slavi piace bere…

Re Vladimir, poi canonizzato come il Santo (sebbene rimase un pagano feroce nella prassi politica e familiare), decretò la conversione degli slavi al cristianesimo perché, a differenza dell’islam, non proibiva l’alcol.

Ma Vladimir il Santo scartò anche l’ipotesi dell’ebraismo (il quale, al contrario dell’islam è una religione per sbevazzoni come il cristianesimo), che riteneva una fede per perdenti rancorosi (e forse aveva sotto gli occhi proprio la parabola khazara).

Il pragmatismo, anche un po’ tamarro, di questa scelta tracciò le coordinate del mondo slavo: il rapporto particolare con la civiltà cristiana, già matura in Europa ma agli esordi ai piedi del Caucaso, e i rapporti conflittuali con tutto il vicinato, quello germanico a ovest e quello asiatico a est.

Tra l’impero e il cuscinetto

La lettura geopolitica proposta da Giorgio Cella elimina ogni moralismo nella rilettura della storia slava.

È vero, ribadisce Cella, la Rus’ di Kiev fu la culla della civiltà slava e, contemporaneamente, il nucleo profondo dell’Ucraina, anche attuale. È altrettanto vera, inoltre, la natura derivativa del Granducato di Mosca, origine del futuro potere russo, nato come potentato secondario della dinastia rurikide.

Tuttavia, la particolare posizione di Mosca rispetto a Kiev ribadisce l’importanza della geografia nelle dinamiche storiche.

Infatti, la Rus’ di Kiev, indebolita da lotte intestine e guerre di successione infinite, si sfaldò e crollò sotto la spinta dei mongoli. La Moscovia, al contrario, riuscì a negoziare una propria autonomia e poi a conquistare la propria indipendenza dall’impero dei khan.

Un cosacco giura sulla sciabola

La morale di questa storia è piuttosto netta: Mosca vinse perché scelse l’assolutismo, Kiev perse perché restò legata agli schemi del potere feudale. Quella russa fu una scelta verso un potere più efficiente da tutti i punti di vista: militare, politico e amministrativo.

Mosca ottenne l’indipendenza e quasi condannò sé stessa a diventare impero per mantenerla, Kiev perse l’autonomia politica (ma non il prestigio) e divenne un cuscinetto eterno, teatro delle contese imperiali altrui: germanica, ma anche russa e turca.

L’imperialismo come destino

La lettura geopolitica di Cella confuta una certa russofobia emersa in alcune recenti storie dell’Europa orientale senza tuttavia finire nella russofilia.

Infatti, argomenta bene lo studioso, il potere degli zar si costruì su un’azione militare e su una narrazione efficaci: l’impero di Mosca, che inglobò letteralmente due continenti, nacque non in maniera aggressiva (come quello dei mongoli), ma difensiva. A partire da Ivan il Terribile, la Russia considerò sé stessa erede e baluardo della Rus’ medievale e difese questo ruolo contro tutti: senz’altro l’Impero Ottomano e i loro alleati tatari, ma anche gli eredi del Sacro Romano Impero, nelle due declinazioni germanica e austriaca e, infine, l’Occidente capitalista.

Cella fa capire un’altra cosa: nella sua espansione la Russia non sempre fu cattiva. Ad esempio, la sconfitta dei tatari e degli ottomani mise fine al fiorente mercato di schiavi slavi praticato dai vicini islamici e ridimensionò non poco le ambizioni turche anche verso il resto d’Europa. Ancora: l’espansionismo militare non si tradusse solo in autoritarismo, perché gli zar riuscirono comunque a creare un sistema multietnico che funzionò per secoli.

Un incendio nel cuore di Kiev subito dopo i moti del 2014

Un’identità resiliente

E l’Ucraina? Non fu, spiega Cella, un terreno di contesa tra nazioni, ma l’oggetto del desiderio di imperi, in quanto tali abituati alla multiculturalità.

Infatti, dopo la fine della Rus, l’Ucraina profonda (cioè la parte che va dall’area di Kiev a ovest) finì prima sotto il dominio della Confederazione polacco-lituana, altro sistema imperiale rivale di quelli russo e ottomano e concorrente di quello germanico.

Poi, dopo la spartizione della Polonia, il Paese fu diviso tra l’Impero asburgico e quello degli zar.

L’identità nazionale ucraina si formò sotto sistemi di potere diversi, ciascuno dei quali diede un’impronta particolare. È il caso della lingua, che si diversificò gradualmente dal russo. Ed è quello della sfera religiosa, caratterizzata da una forte presenza cattolica.

L’aspetto più originale e problematico di questa identità resiliente (e in parte derivativa) fu la nascita delle comunità cosacche.

Un enigma della storia

Non c’è certezza sulle radici etniche dei cosacchi (erano tatari o turcofoni oppure slavi ribelli?). Né Cella risolve questo problema delle origini che, detto francamente, è compito più da storici tout court o da etnologi che da studiosi di geopolitica e politica internazionale.

Semmai, Storia e geopolitica della crisi ucraina analizza alcuni aspetti importanti della vita delle comunità cosacche, ritenute da molti un elemento base dell’identità ucraina.

Piazza Nezalezhnosti, sede dei moti di Euromaidan

In realtà, ricostruisce l’autore, i cosacchi ebbero rapporti controversi sia con gli zar, di cui furono alleati, sia con altre potenze. Di più: non è possibile neppure parlare dei cosacchi come di un’entità compatta, visto che le varie comunità e i vari gruppi fecero spesso scelte diverse e, addirittura, contrastanti, dalla loro nascita fino alla tarda epoca sovietica.

Come dire (e con buona pace di tanti propagandisti improvvisati): è vero che molte importanti città ucraine, a partire da Zaporižžja, sono nate da importanti realtà cosacche. Tuttavia, non è vero che l’identità cosacca sia fondativa dell’Ucraina.

L’onestà di un’analisi

Ci siamo limitati a questi cenni, soprattutto su eventi lontani, soprattutto per un motivo: non vogliamo fare un riassunto di Storia e geopolitica della crisi ucraina ma solo indicarne gli spunti più validi e originali.

Questi riguardano essenzialmente i rapporti storici tra le comunità slave sorte dalla Rus’ di Kiev (essenzialmente russa e ucraina, ma anche bielorussa).

La doppia dinamica dell’imperialismo russo e dell’affannoso percorso ucraino verso l’indipendenza ha tracciato le coordinate di un rapporto difficile tra fratelli separati: quello tra una democrazia impossibile (la Russia) e un’identità nazionale problematica (l’Ucraina).

Il libro si ferma a qualche mese prima del conflitto, ma ne analizza con implacabile lucidità tutte le premesse. E si concede un’ulteriore operazione verità sulle difficili trattative diplomatiche dell’epoca post sovietica (ad esempio, il memorandum di Budapest o gli accordi parziali tra Nato e Russia, alla base delle attuali polemiche di Putin, per finire con i controversi accordi di Minsk).

Storia e geopolitica della crisi ucraina è una ricerca onesta e imparziale. Una salutare doccia fredda all’eccessiva propaganda che stiamo subendo da mesi. Cosa più grave, spesso sotto le mentite spoglie dell’analisi accademica.

Siamo ben oltre e sopra il minimo sindacale per raccomandarne la lettura.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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