Ettore Loizzo, il gran maestro che salvò il Goi
Torna in libreria Confessioni di un gran maestro, il libro intervista dell’ex notabile della massoneria più potente a cura del giornalista Francesco Kostner. Un racconto biografico lucido, critico e senza peli sulla lingua…
Pettegolezzi succosi, retroscena piccanti e rivelazioni choc? Proprio no, sebbene l’argomento sia pruriginoso e gli autori l’affrontino con un bel po’ di malizia.
Si parla di massoneria e non di una massoneria qualsiasi, bensì di quella del Sud profondo: la più chiacchierata e indagata, al punto di finire più volte nel mirino della magistratura e della Commissione parlamentare antimafia.
La testimonianza di un gran maestro
Ettore Loizzo. Confessioni di un gran maestro, il libro intervista di Ettore Loizzo, ex gran maestro aggiunto del Grande Oriente D’Italia, e del giornalista Francesco Kostner è, al riguardo, un piccolo caso editoriale: dopo due fortunate edizioni a inizio millennio, è stato riedito alla fine dell’estate appena trascorsa dall’editore Pellegrini di Cosenza, con una nuova impostazione e con l’aggiunta di documenti storici importanti
A questo punto è doverosa una domanda: a che serve ripubblicare un libro-intervista che già a suo tempo aveva fatto cassetta?
La risposta non è proprio banale: la cronaca di ieri diventa la storia di oggi. Loizzo, ventuno anni fa, era un vivo che parlava dei vivi. Quindi il libro intervista di allora conteneva un intervento autorevole sulle vicende della più importante comunione massonica italiana dalla viva voce di uno dei suoi massimi protagonisti.
Oggi, questo stesso libro diventa un documento storico importante, perché consente di rileggere lo stesso punto di vista in un mondo completamente trasformato, che ha coinvolto nei suoi mutamenti la stessa massoneria.
Ma di quale massoneria parla Loizzo?
L’ex gran maestro (scomparso nel 2011) racconta senz’altro le vicende del Goi dell’epoca, sopravvissuto a due scossoni terrificanti: lo scandalo P2, che infiammò l’opinione pubblica (non solo) italiana negli anni’80 e la pesantissima inchiesta, che caratterizzò il decennio successivo, condotta dall’allora procuratore di Palmi Agostino Cordova sui presunti legami tra le logge e la ’ndrangheta.
Loizzo visse l’affaire P2 da testimone privilegiato (era appena entrato nel consiglio nazionale del Goi) e fu protagonista dell’inchiestona calabrese. Non, ovviamente e per sua fortuna, in qualità di indagato ma di vera e propria controparte dialettica della magistratura.
Un contesto massonico
Queste cose sono note non solo ai massoni e agli esperti di massoneria ma anche ai semplici appassionati di certe cronache: il gran maestro cosentino prese il toro per le corna e salvò il Grande Oriente dopo che il gran maestro dell’epoca, Giuliano Di Bernardo, andò via per fondare un’altra obbedienza, la Gran Loggia Regolare d’Italia, con la benedizione dei vertici della Libera Muratoria britannica.
In quel frangente drammatico, caratterizzato da una scissione catastrofica e da un’inchiesta giudiziaria pesante e invasiva, Loizzo assunse la reggenza del Goi assieme a Eraldo Ghinoi e lo traghettò verso la gran maestranza dell’avvocato romano Virgilio Gaito.
L’ingegnere calabrese racconta le sue vicende e i suoi punti di vista dall’angolatura della sua Cosenza, da sempre uno dei più importanti centri massonici della Penisola, per via dell’alto numero di grembiulini tra i suoi abitanti.
Proprio in quegli anni la comunità massonica del capoluogo calabrese era divisa da una forte dialettica tra l’ala che faceva capo allo stesso Loizzo e quella che, invece aveva il suo punto di riferimento nell’avvocato Ernesto d’Ippolito, altra figura prestigiosa della società civile cosentina. Una sfida tra titani interna in una massoneria cittadina così forte da determinare equilibri nazionali.
E c’è da scommettere, a proposito, che interi passaggi del libro contengano frecciate e messaggi in codice che solo i sopravvissuti di quel delicato giro di boa possono decifrare del tutto.
Probabilmente non riuscirebbe a decifrarli neppure lo stesso Kostner, che ha ribadito più volte nel volume di non essere massone e, ciononostante, di aver scontato sulla propria pelle i pregiudizi riservati ai massoni, sia per aver intervistato Loizzo, sia per aver moderato un dibattito pubblico della Libera Muratoria.
Virtù e limiti di un notabile calabrese
È il momento di approfondire il racconto che l’ex big del Goi ha fatto di sé stesso.
Dal libro emerge il ritratto di un notabile calabrese del Novecento dalla formazione essenzialmente ottocentesca, con tutti i pregi e difetti del caso.
Tra i pregi si devono annoverare la coerenza, la forte passione etica e il senso delle istituzioni, tipici della generazione scomparsa nel passaggio di boa del millennio.
Tra i difetti, spicca senz’altro l’impostazione culturale piuttosto rigida, a tratti scolastica e non poco ideologizzata, che un po’ fa a pugni con l’elasticità mentale e l’eclettismo che, secondo i tradizionali catechismi massonici, dovrebbero essere irrinunciabili nei grembiulini, specie in quelli di rango.
Ad esempio, risulta stereotipato l’anticlericalismo di cui Loizzo fa sfoggio in molte parti del libro, che a volte sfiora antiche polemiche più anticristiane che anticattoliche. Lo dimostrano le dichiarazioni contenute nel secondo capitolo, Gesù Cristo l’Esseno, in cui l’ex gran maestro riesuma le suggestioni archeologiche sulla tribù degli esseni, di cui avrebbe fatto parte il Gesù storico, per negare la natura divina di Cristo. L’esemplificazione, in questo caso, sa più di settimanale divulgativo che di conoscenza esoterica. Di più: è in palese contrasto con tutto quel filone di studi che si richiama in parte a Rudolf Steiner e René Guenon e cerca di riallacciare i rapporti tra l’aspetto religioso e metafisico del cristianesimo e cultura iniziatica. Tra teologia ed esoterismo.
Ma la rigidità ideologica emerge anche nell’approccio politico, in cui Loizzo visse con grande sofferenza la contraddizione tra il suo indirizzo culturale marxista (fu iscritto al Pci fino ai primi anni ’80 e fu consigliere comunale sotto le insegne falce & martello) e il suo ruolo in massoneria. Una doppia appartenenza di cui fece le spese: fu costretto a dimettersi da Italo Garraffa, all’epoca dirigente comunista cosentino, in nome di un’asserita incompatibilità tra militanza politica e grembiule, a dispetto del fatto che lo statuto del partito non la prevedesse.
Ancora: piuttosto superficiale appare l’elogio di Gramsci, che in fin dei conti vanta un merito solo nei confronti della massoneria: la difesa, più interessata che appassionata della Libera Muratoria che stava per essere sciolta dal fascismo. Una difesa fatta con la consapevolezza che le camicie nere avrebbero riservato alle sinistre lo stesso giro di vite esercitato sulle logge.
La riflessione su Gelli
Piuttosto banale anche il giudizio su Gelli, di cui Loizzo quasi minimizza l’importanza e fornisce un ritratto al limite del caricaturale. Certo, anche a inizio millennio era fortissima l’esigenza di prendere le distanze dal venerabile della P2.
Tuttavia, la demonizzazione a posteriori dell’industriale toscano risulta un po’ posticcia e Kostner sembra quasi divertito a stuzzicare il suo interlocutore. Il quale, nonostante gli stimoli, non riesce a dissipare i dubbi sui rapporti tra i vertici della massoneria ufficiale e i seguaci del venerabile.
Al riguardo, val la pena di ricordare come alcune inchieste giornalistiche importanti (soprattutto quelle del mitico Mino Pecorelli e di Roberto Fabiani de l’Espresso) avessero anticipato di oltre un anno le indagini della magistratura, grazie a soffiate documentatissime provenienti dal mondo delle logge. Possibile che un dirigente di alto livello come Loizzo fosse sostanzialmente all’oscuro sull’entità del grumo di potere assemblato da Gelli senza andare troppo per il sottile?
Molto più plausibile quel che traspare dall’intervista, cioè che la P2 e i giri gelliani fossero più subiti che tollerati dalla dirigenza ufficiale del Goi, forse perché le trame del venerabile erano giudicate una specie di male necessario.
Loizzo vs Cordova
Più sfumato il discorso sull’inchiesta di Palmi e sulla scissione di Di Bernardo. In questi casi, Loizzo va giù duro e lancia a Cordova tutte le critiche possibili (ovviamente, nei limiti del penale) e lancia una serie di epiteti piccanti all’ex gran maestro. Tanta aggressività, a dirla tutta, Loizzo poteva permettersela, proprio in virtù dell’impegno profuso per salvare la sua istituzione. Tuttavia, nonostante la veemenza, restano inevasi alcuni interrogativi inquietanti: l’inquinamento mafioso delle logge c’era o no? E, soprattutto, le alte dirigenze ne erano consapevoli?
Non basta appellarsi al fatto che l’inchiesta naufragò in maniera misera, a dispetto dei mezzi e dei quattrini impiegati per glissare l’argomento sul piano storico, che è poi quel che interessava allora e interessa oggi.
Certo, l’ex gran maestro aggiunto era abilissimo nei sottintesi e nei non detti. E forse suggerisce più di una risposta nell’ultima parte del libro, in cui fa una lucida autocritica e affonda il coltello nelle piaghe della massoneria, scaduta più che degradata per via di un proselitismo eccessivo, operato senza selezionare in maniera adeguata nel mondo profano.
Per concludere
Non è il caso di andare oltre: chi vuole nomi (e Loizzo ne fa tanti, specie nella realtà calabrese), dettagli e ricostruzioni, si cimenti col libro, che risulta anche oggi denso e agevole come dovrebbe essere ogni ricostruzione giornalistica.
Questa riedizione di Ettore Loizzo. Confessioni di un gran maestro contiene una testimonianza importante di una transizione delicatissima nella storia del nostro Paese. Dopo, il mondo di cui il notabile cosentino fu esponente di punta sarebbe stato inghiottito da una trasformazione epocale, di cui ventuno anni fa si potevano appena percepire le prime fasi.
Vale la pena, allora leggere (o rileggere) questa testimonianza forte e schietta, che racconta una società che non c’è più e una massoneria completamente diversa, con le sue luci e le sue ombre. Chissà che non esca qualche spunto per approfondire con serenità le tante questioni rimaste sul tappeto su vicende che ancora aspettano di essere affrontate e chiarite con serenità.
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