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Caso Rackete, basta tifoserie

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Dopo la decisione del gip, che ha “scarcerato” la capitana della Sea Watch 3, resta solo la propaganda di Salvini. Ma anche questa, prima o poi, dovrà finire…

Inutile insistere con le tifoserie, perché il giudice per le indagini preliminari ha messo la parola fine sulla vicenda Sea Watch con un’ordinanza convincente: Carola Rackete non ha commesso alcun reato nel forzare il blocco.

Non è una questione di “toghe rosse”, come pure in più d’uno ha insinuato, perché il gip ha riconosciuto alla comandante la scriminante più ampia e dettagliata: l’adempimento di un dovere.

Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3

Già: è dovere di chiunque, in mare, soccorrere chi si trova in difficoltà e salvare vite umane, come può: tirando a bordo i potenziali naufraghi oppure lanciando l’allarme.

È dovere di chiunque trasportare i potenziali naufraghi nei pressi del porto più sicuro, che in questo caso non può essere la Libia, per ovvie ragioni, né Malta, che è grande quanto tre quartieri di Napoli ed è già satura.

Resta l’Italia, per evidenti motivi geografici e per indiscutibili motivi giuridici, che derivano da trattati internazionali stipulati prima della nascita dell’Ue (con buona pace di chi ha tentato con la consueta foia propagandistica di scaricare sull’Europa le responsabilità di questa vicenda) e della Costituzione, che non è proprio un pezzo di carta igienica.

Inutile provare a spiegare il diritto a chi gli preferisce gli slogan. Semmai, in attesa che la Rackete sia interrogata per l’accusa più seria, cioè il presunto favoreggiamento all’immigrazione clandestina, è il caso di porsi alcune domande.

Matteo Salvini in una pausa dagli impegni, istituzionali e non

Innanzitutto: come mai tutto questo clamore per il soccorso a una cinquantina di presunti profughi, comunque inermi, ridotti allo stremo e disarmati, quando nelle stesse ore del braccio di ferro a Lampedusa sbarcavano cinquanta profughi nel Crotonese?

La risposta è banale: attaccare una ong come Sea Watch paga di più, perché è un bersaglio visibile e funzionale a certe dietrologie. Molto di più degli scafisti che sbarcano direttamente sulle nostre coste, spesso col beneplacito della criminalità organizzata.

In seconda battuta: come mai tutto questo clamore per la cinquantina di profughi della ong quando la Spagna, negli stessi concitati momenti, ne ha accolti tre volte tanto?

La risposta è meno semplice ma si ricollega a quanto abbiamo già detto: Salvini vellica il proprio elettorato facendo leva sui bassi istinti dell’egoismo. Ma finché è propaganda ci sta.

Il problema è l’irresponsabilità con cui il Ministro dell’Interno abusa del proprio ruolo e della doppia immunità di cui gode, come parlamentare italiano e come parlamentare di quell’Unione Europea su cui sputa fango dopo aver goduto dei vantaggi: non è legittimo che un ministro dell’Interno giudichi l’operato di un altro potere, in questo caso la magistratura. E non è legittimo tracimare così tanto nel diritto di critica come ha fatto Salvini.

Né vale, a questo riguardo, la formuletta con cui il leader della Lega ha giustificato le proprie pesantissime affermazioni: «Da cittadino comune». Già: un ministro dell’Interno non è un cittadino comune e, in virtù del suo ruolo, deve pesare quel che dice nelle virgole, perché non tutto può finire a urla da curva Sud e a motteggi da satira.

Soprattutto, non vicende così delicate.

Carola Rackete, vittima di strali sessisti aizzati ad arte sulla rete, non è una fanatica indemoniata dal mito della “Open Society” sorosiana: è una professionista del mare, che ha agito in piena scienza e coscienza del suo ruolo e, come ha stabilito l’ordinanza, dei doveri che ne derivano.

Il grande Montanelli. Lui sì che di destra se ne intendeva

Il problema, a voler dare ragione ai dietrologi, è a monte e consiste nello stabilire in maniera inequivocabile se le ong fanno quel che fanno per sincera convinzione umanitaria o per obbedire ai disegni di qualche finanziatore, che potrebbe non essere un filantropo.

Ma queste accuse vanno provate, perché bisogna andarci cauti prima di paragonare una marinaia provetta a scafisti dalla fedina penale incerta e dai legami discutibili. Salvo, ovviamente, non voler finire nella trappola mentale tipica dei complottisti, per i quali la mancanza di prove certe è la prova del complotto.

La propaganda ha le sue ragioni e lo comprendiamo al punto da dire che, allo stesso modo di Salvini, hanno fatto propaganda Delrio, la Prestigiacomo e i radicali quando sono saliti a bordo della Sea Watch 3.

Ma risolvere i problemi è un’altra cosa. Ora, è chiaro che gli spot di Salvini e compari non cadono nel vuoto ma attecchiscono in un’opinione pubblica che avverte la mancanza di controlli sull’immigrazione come causa di insicurezza.

Purtroppo, non risulta che – all’infuori di normative non troppo ragionevoli e di dubbia costituzionalità – questo governo abbia fatto qualcosa di concreto. E, per carità, non si tiri in ballo l’Ue a sproposito, perché l’emigrazione non è materia europea principale.

Ma ciò non toglie che potrebbe diventarlo, magari grazie a un impegno deciso dell’Italia, che ha una congrua rappresentanza nelle istituzioni dell’Unione Europea, a partire dall’alto numero di europarlamentari, coi quali potrebbe far pressione per pretendere una normativa più equa. Ma come si fa, se il principale assenteista è lo stesso Salvini che chiacchiera tanto e a sproposito?

Francamente, non crediamo nell’umanitarismo “a prescindere” di certo sinistrismo radical chic da fricchettoni fuori tempo massimo. Ma crediamo di non aver fatto nulla di tanto grave per meritare una destra così pasticcona, inconcludente e becera.

E non lo diciamo da un punto di vista sinistrorso, ma da quello di chi la destra la desidera sobria, rigorosa (e magari un po’ bacchettona) e fattiva. Di chi la vorrebbe, per dirla col grande e compianto Montanelli, color fumo di Londra e, invece, se la ritrova rumorosa, a colori pacchiani e piuttosto sudamericana.

Siamo seri e stiamo calmi, perché, con buona pace di chi immagina l’Italia come un fortino assediato dai turbocapitalmondialisti, nessuno ce l’ha con noi più di noi stessi.

Ora, finita la propaganda (che non può durare in eterno perché prima o poi le immunità parlamentari finiscono o si rivelano insufficienti), lasciamo l’ultima parola agli inquirenti. E, nel frattempo, restiamo umani.

Saverio Paletta

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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