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Primati napoletani, una replica ai neoborbonici

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Rispondiamo con la doverosa “cazzimma” a una nota pubblicata contro di noi dal sito del Movimento Neoborbonico…

È davvero simpatico finire, anche senza l’onore della menzione, sul sito del Movimento Neoborbonico, che ci ha dedicato un ampio pistolotto, senza mai nominare la nostra testata, a firma di Emilio Caserta e con la consulenza dello storico Alessandro Romano.

Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico

Ci riferiamo al pezzo intitolato Trattatello divertente sui periodici, comici e inutili tentativi di smantellare i primati borbonici (leggi qui), con cui il dinamic duo in questione replica al nostro articolo Le Due Sicilie e i primati che non esistono (leggi qui).

Innanzitutto, un ringraziamento per averci segnalato il refuso nella citazione dantesca maccheronizzata con cui termina il pezzo dell’IndYgesto, che si è già provveduto a correggere.

Detto questo, non è inopportuno un ripasso di alcuni principi terra-terra del giornalismo, che, siamo sicuri, non dispiacerà al prof-presidente Gennaro De Crescenzo, il quale esibisce con orgoglio, tra i vari titoli, il tesserino da giornalista pubblicista.

Dunque, per quel che riguarda le testate registrate, non è vero che un pezzo non firmato sia necessariamente anonimo: lo si attribuisce sempre al direttore responsabile (e ne sanno qualcosa molti colleghi finiti sotto processo a causa di pezzi anonimi o scritti sotto pseudonimo, come dimostra anche il recente caso Sallusti). L’IndYgesto, a differenza del sito d’o Movimento, è testata registrata e segue le regole deontologiche del giornalismo.

Tuttavia il direttore, cioè chi scrive, il pezzo l’ha pure firmato in calce (l’espressione «a cura di» la utilizziamo di solito per le interviste). Il motivo per cui il pezzo non reca la firma in testa è piuttosto banale: non è farina del sacco dell’autore, che si è avvalso di una consulenza. Un semplice atto di umiltà, non un segno di fifa (e di cosa, poi?).

Però ciò che è davvero inaccettabile nel pistolotto di CasertaRomano è la mentalità tronfia di chi non accetta repliche o, più semplicemente, che il prossimo possa pensarla (e dirla, e scriverla) altrimenti.

Già: non abbiamo criticato i primati borbonici perché, apprendiamo dal pistolotto, vittime «di un consistente complesso di inferiorità se è del Sud e vuole a tutti i costi dimostrare che il Sud e la sua storia fanno schifo o è vittima di un consistente complesso di superiorità se è del Nord e vuole dimostrare a tutti i costi che il Sud fa schifo». Li abbiamo contestati, più semplicemente, perché non esistono. Non, almeno, nell’accezione di cosa fatta per primi, che è quella utilizzata daGennarino Settebellezze.

L’immenso Indro Montanelli

Per dirla col grande Montanelli (che riferiva quest’espressione ai re barbari durante il Tardo Impero), non abbiamo complessi razziali. Semplicemente, non ci beviamo le panzane. Non ci siamo bevute le favole del presunto genocidio operato al Sud dai piemontesi, non ci siamo bevuta la storiella della spoliazione del Grande Regno Prospero, non ci beviamo i primati.

Il fatto che non ce li beviamo come primati non vuol dire che li disprezziamo, anzi. Lo abbiamo già scritto:

«Se De Crescenzo e chi con e per lui si fossero limitati a parlare di positività anziché di primati, avrebbero reso al Regno delle Due Sicilie un servizio migliore, cioè lo avrebbero fatto passare per Stato che tentava di tenersi al passo dell’Europa con le doverose innovazioni».

Inoltre, la rubrica sulla Massoneria, di cui ci occupiamo come di tante altre cose, non ha alcuna attinenza con il corposo dossier dedicato alle tesi e all’immaginario neoborb. Se è per questo, ci occupiamo anche di rock, che per molti bacchettoni sarebbe la musica del diavolo…

Legare in maniera surrettizia la rubrica Cose Massoniche alle polemiche che muoviamo a certe tesi equivarrebbe a dire che scriviamo contro i neoborbonici perché, in quanto rockettari (e quindi presunti satanisti acidi) combattiamo il ricordo di una dinastia cattolicissima…

Nel nostro caso, l’allusione del dinamic duo non è debole: è campata in aria.

Ancora: non attacchiamo nessuno. Ci limitiamo a smantellare una revisione storiografica che non esiste. E lo facciamo non per un’antipatia, tutta da dimostrare, nei confronti di Aprile, De Crescenzo & co, ma per una banale questione deontologica: l’obbligo morale di smascherare le bufale. C’è chi lo fa con le scie chimiche, noi lo facciamo con certe tesi. Che male c’è? Abbiamo insultato qualcuno?

Procediamo coi primati.

  • Caso Genovesi: dispiace solo che sia stata messa in mezzo una figura che chi scrive considera di primissima grandezza (Antonio Genovesi, appunto).
Antonio Genovesi

Al riguardo, vogliamo far notare che attribuirgli il primato della prima cattedra europea di Economia (1754) è solo una questione di parole. È il caso di tradurre l’espressione Ökonomische, Polizei und Kameralwissenschaft, relativa all’intestazione della cattedra prussiana di Halle istituita nel 1727, che contende il primato a quella napoletana: Scienza economica, di polizia e camerale.

De Crescenzo e la Sublime Coppia considerano questa disciplina una «dottrina che univa “esercito ed economia”». Ci permettiamo un appunto: Polizei, in quest’accezione, non ha nulla a che fare con l’ordine pubblico o, più volgarmente, co ’e guardie: deriva da Polis e si riferisce alla dottrina dell’assolutismo illuminato che aveva preso piede in Austria e Prussia. Non ha un equivalente in italiano e, con molta approssimazione, potrebbe tradursi con arte del governo o buongoverno. Proprio sotto il prussianissimo Federico II (quello del giudice a Berlino, per capirci) entrò in voga l’espressione Polizeistaat (Stato bengovernato) o, addirittura, Polizei Rechtstaat (Stato di diritto bengovernato). Detto altrimenti, il termine ha a che fare più con Savigny che con l’Ispettore Derrick. La cattedra prussiana ha a che fare per davvero con l’economia, così come ce l’hanno a che fare la Cameralistica e la Polizia. Quella era davvero una cattedra di Economia.

Horst Tappert nei panni del mitico Ispettore Derrick

Se davvero si vuol rendere il giusto a Genovesi, sarebbe doveroso riconoscergli il ruolo di precursore dell’autonomia scientifica dell’economia, che si sarebbe raggiunta, qualche anno più tardi, solo con l’opera di Adam Smith. Ma quello di Genovesi è un merito individuale in cui la corona borbonica, sebbene degnamente indossata da don Carlos (quello vero…), c’entrava poco. Così come c’entrava poco con l’istituzione della cattedra, finanziata da un privato. Parliamo di niente.

  • Caso Filangieri: un altro grandissimo, Gaetano Filangieri, messo in mezzo in una baruffa chiozzotta. Nessuno discute i meriti immensi di questo giurista, capace di suonarle a grandissimi come Cesare Beccaria.
Il grande giurista Gaetano Filagieri

Tuttavia, l’obbligo di motivare le sentenze non è, in senso cronologico, un primato. Le leggine a cui si riferisce il dinamic duo regolavano le attività economiche di zone importantissime quanto lo era Napoli e miravano allo stesso obiettivo, che magari coglievano un po’ meno e parzialmente. Il merito di Filagieri è di aver codificato a livello dottrinario l’obbligo di motivazione della sentenza come principio generale dell’ordinamento. Ma è un merito individuale. È primato nel senso di meglio, non di per primo, come si ostinano a insistere ’o Professore e l’alunne.

  • Caso De Jorio: altro bravo (e incolpevole) giurista messo in mezzo. Il profluvio di citazioni non sposta di una virgola la questione: per codice non s’intende un testo che contiene norme. Ma un insieme di norme coordinate tra loro effettivamente vigenti. Per usare un linguaggio moderno, era un disegno di legge, tra l’altro molto avanti per l’epoca e ben fatto. Purtroppo non era legge. È l’opera individuale di un esperto, non il primato di un Regno, che ci sarebbe stato solo se l’opera di De Jorio fosse diventata legge.
  • Museo mineralogico: nel sito d’o Movimento, a cui si riferisce il libro di don Gennarino, è presentato come primo museo d’o munno. Mettetevi d’accordo con voi stessi su quale versione usare o almeno correggete il sito, per una questione di rispetto al vostro editore.
  • Consolati e questioni diplomatiche. Il primo consolato americano è quello di Livorno (1794), come tra l’altro riporta il nostro Ministero degli Esteri.
Il “codice” marittimo di Michele De Jorio

Parliamo comunque di niente, visto che gli Usa dell’epoca erano un Paese la cui sovranità era agli esordi e non la superpotenza ammirata e temuta a partire dal XX secolo.

Discorso diverso per le relazioni diplomatiche con l’Impero Russo. Il primato non esiste per due motivi: uno logico e uno giuridico. A livello giuridico, non sono necessari atti formali perché tra due Stati nascano relazioni diplomatiche (quindi le cerimonie pompose di tanti film non sono indispensabili), ma bastano gesti significativi, quale l’invio di una delegazione o lo scambio di credenziali. In pratica, il fatto che nel 1771 la Serenissima avesse già un consolato russo implica che queste relazioni già vi fossero. Il che, se il calendario non è un’opinione, toglie il primato a Napoli, i cui rapporti con l’Impero degli zar risalgono al 1777. La fonte è sempre il Ministero degli Esteri. Il motivo logico? Ci sembra sia contenuto in quello giuridico, che non è un’opinione come non lo è tutto il resto.

  • Osservatorio astronomico e beni culturali. Accorpiamo i due punti sul presupposto comune del confronto Napoli-Roma. Di sicuro la Specola Vaticana è un osservatorio astronomico e precede a livello cronologico quello di Capodimonte di oltre un secolo e mezzo. Il primato, inteso in senso cronologico è romano. Anzi, pontificio. Ma ciò non sposta di una virgola il valore dell’osservatorio napoletano, che è un eccellenza ma non un primato.

Discorso non dissimile per la tutela dei Beni culturali. In questo caso la Sublime Coppia attribuisce al merito dei singoli legislatori le realizzazioni imposte dallo spirito del tempo: è chiaro che la legislazione napoletana fosse più complessa e completa di quella pontificia. Ma ciò si spiega per il fatto che, prima della Rivoluzione Francese, le codificazioni, imposte in tutt’Europa da Napoleone, non esistevano quasi. Si faceva tutto col Corpus Juris Civilis e perciò bastavano davvero poche leggi per regolamentare una materia specifica. Il che non sarebbe più avvenuto dopo la lezione napoleonica, di cui, c’è da dire, i napoletani furono i più bravi seguaci. Le norme borboniche furono senz’altro eccellenti. Ma non un primato.

  • Tribunali mercantili. I Consolati e i Consigli di commercio erano organi giudiziari a tutti gli effetti, cioè dei Tribunali speciali (scusate la bruttezza dell’espressione che evoca prassi più recenti dei regimi totalitari). Le funzioni erano uguali – norma più, norma meno – a quelle del Tribunale di Commercio napoletano. Lo stacco tra gli istituti piemontesi e toscani rispetto a quello campano è di almeno quindici anni. Perciò non è un primato.
  • Questioni accademiche. Le accorpiamo per via della comune matrice accademica. Per quel che riguarda l’orientalistica, lo scarto tra l’Institut francese e il Collegio napoletano è piuttosto marcato. Nessuno mette in dubbio l’eccellenza dell’Orientale di Napoli. Ma un’eccellenza non è un primato. Stesso discorso per la zoologia: non osiamo seminare dubbi su quel che dice il sito della mitica Federico II, tuttavia resta lo scarto cronologico. Quindi Napoli non ha il primato. Ciò, ovviamente, non toglie nulla al prestigio partenopeo.
  • Illuminazione pubblica. Nessuno toglie nulla per quel che riguarda il livello urbano. Ma le illuminazioni a gas realizzate a Milano erano comunque pubbliche e sono state realizzate prima. Applauso a Napoli, che valorizzò la propria dimensione metropolitana per prima. Ma i suoi impianti non furono i primi. Anche in questo caso parliamo di nulla, perché Napoli si inserì nella realizzazione dei gasometri assieme a tutte le altre città italiane. Non è un primato, tutt’al più una curiosità.
  • Caso Piria. Nessuno sminuisce il valore di questo scienziato-patriota. Resta che non fu il primo a sperimentare l’acetilsalicilico. Fu determinante senz’altro. Ma più nel senso dell’eccellenza che del primato.

Tutto questo per rispondere a fatterello con fatterello. Ma la verità è che a noi la logica dei primati non interessa affatto.

Chi scrive vuole bene al Sud, tant’è che continua a vivere nella sua parte più profonda. Ma amare non vuol dire stimare a prescindere e accantonare ogni spirito critico sul presente e sul passato.

Ultima nota: il libro lo abbiamo acquistato, come dimostrano le foto dello slideshow in fondo al pezzo. Ci siamo limitati a notare che costa non poco: più, per citare a mo’ d’esempio due altri tomi costosi, dell’edizione Guanda de Il tramonto dell’Occidente di Spengler curata da Stefano Zecchi o, a proposito di storiografia vera, della Storia del Regno di Napoli di Benedetto Croce, sia nell’originale (e ormai solo per antiquari) Laterza, sia nell’edizione più recente (e quasi introvabile) di Adelphi. Dopodiché rassicurate pure l’editore: il libro lo abbiamo preso.

La Sublime Coppietta ci ha rimproverati di aver smantellato pochi primati. Ma lor signori credono davvero che ci fermiamo qui?

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

Comments

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  1. Mi scuso se torno sull’argomento ma vorrei far notare che i primi a dubitare della veridicità dell’elenco di «primati» pubblicato da numerosi siti «neo-borbonici» sono i suoi autori. Comparando infatti i testi che sono apparsi negli anni, si scopre che alcune voci sono semplicemente scomparse. Così è accaduto non soltanto per il famigerato riconoscimento parigino del rango di terza potenza economica mondiale, ma anche per il «Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Mostra industriale di Parigi)» del 1856 e per il primo premio ottenuto nella stessa circostanza per la lavorazione dei coralli e, a cercar bene, forse si scoprirebbero altre sparizioni. Probabilmente nella prossima edizione si dissolverà la rivendicazione della «Prima bandiera italiana e seconda nel mondo (dopo quella inglese) per presenze nei porti francesi» nell’anno 1859, visto che ho appena dimostrato proprio su questo giornale che si tratta di un falso.

  2. Nella «recensione» qui ricordata dal dottor Paletta l’articolista prende in esame, pur senza citarmi, anche il mio intervento sul preteso primato – in verità un secondo posto – nelle presenze «della bandiera» borbonica nei porti francesi nel 1859. Ignora invece quello nel quale dimostro l’assenza del regno di Ferdinando II all’Esposizione Universale di Parigi del 1855, forse perché è ancora disponibile in rete un dotto intervento del De Crescenzo nel quale si assicura che le Due Sicilie a Parigi c’erano «con ampi stand e folta delegazione».
    Purtroppo l’articolista non ha nemmeno adesso indicato le fonti di quel primato, con il che avremmo discusso dei mezzi di prova da lui forniti. Si è invece appellato all’autorità (!) di alcuni libri – qualificandoli erroneamente come fonti –, ha ricordato il numero delle imbarcazioni mercantili del regno delle Due Sicilie, che ovviamente non c’entra nulla con il mio intervento, ha evocato il commercio tra Due Sicilie e porti nord-americani «nel triennio 1845-1847». Insomma ha parlato d’altro. Poiché io ho trascritto tutti i dati della mia fonte chi volesse potrà da solo controllare se per numero di navi, tonnellaggio o valore dell’import-export le Due Sicilie detenessero il «primato» vantato dall’aritmetica neoborbonica.
    Io confermo quanto scrivevo a conclusione del mio precedente intervento: per uno stato di seconda fila come quello borbonico, le cifre del commercio con la Francia sono da ritenersi buone. È la pretesa di trasformarle in “primato” contro l’evidenza dei numeri che ridicolizza tutto.
    Ringrazio il dottor Paletta per l’ospitalità, se vorrà accordarmela

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