Garibaldi e Cialdini napoletani onorari
Attraverso documenti inediti dell’Archivio di Stato di Napoli è possibile ricostruire il conferimento della cittadinanza ai due protagonisti del Risorgimento al Sud. Colpisce la motivazione per Cialdini: vietò ai suoi soldati di festeggiare la vittoria di Gaeta, perché ottenuta comunque su altri italiani e non su nemici e stranieri…
Undici giorni dopo l’ingresso di Giuseppe Garibaldi a Napoli, il 18 settembre 1860, il Decurionato – antico organo deliberativo comunale – dispone all’unanimità, su proposta del sindaco Andrea Colonna, «di presentare all’illustre Dittatore dell’Italia meridionale […] la sua adesione al Regno d’Italia sotto lo Scettro costituzionale del Re Vittorio Emanuele».
Il pronunciamento prendeva atto del crollo dello stato borbonico e della fuga dalla capitale di Francesco II, ultimo re delle Due Sicilie. Esso, però aveva anche un significato politico tutt’altro che irrilevante, dal momento che anticipava di oltre un mese il plebiscito per l’annessione dello Stato meridionale al Regno d’Italia, che avrebbe avuto luogo il 21 ottobre successivo.
La deliberazione del Decurionato si può leggere, in estratto conforme, nella busta 212, fascicolo 1, del fondo Prefettura conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli. Essa, oltre all’adesione della rappresentanza cittadina al nuovo Regno, stabilisce anche il conferimento a Garibaldi della cittadinanza napoletana, «per dare all’illustre Dittatore un attestato della gratitudine non peritura di questa Città per la nobile impresa da lui assunta».
Nel medesimo fascicolo si conserva un secondo «Estratto da’ registri delle deliberazioni del Decurionato» relativo alla sessione del 21 novembre 1860, che viene trasmesso dal sindaco all’intendente della Provincia di Napoli, il quale a sua volta lo inoltra al Dicastero dell’Interno per l’approvazione. Il contenuto dell’estratto è analogo a quello riguardante Garibaldi: stavolta il Decurionato decide di conferire la cittadinanza napoletana a Salvatore Pes, marchese di Villamarina, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Vittorio Emanuele II a Napoli durante l’ultimo periodo borbonico. Il riconoscimento, precisa l’estratto, era stato voluto dal sindaco Andrea Colonna «per l’indefesso e costante zelo col quale [Villamarina] à sempre sostenuta la difesa della libertà e della indipendenza d’Italia». Il Decurionato, aderendo alla proposta, rileva come «questa testimonianza d’onore sia ben dovuta ad uno dei più chiari e saldi propugnatori della causa italiana».
Il fascicolo comprende, infine, un incartamento intitolato «Cittadinanza offerta dal Decurionato di Napoli al Generale Cialdini ed al suo Corpo di esercito». Il 21 febbraio 1861, infatti, appena una settimana dopo la caduta della fortezza di Gaeta, il Decurionato di Napoli delibera all’unanimità di conferire la cittadinanza onoraria a Enrico Cialdini, che aveva condotto a termine vittoriosamente l’assedio, quale «testimonianza di riconoscenza» per «la generosità ed il patriottismo mostrato nel vietare ai suoi soldati di festeggiare una vittoria riportata sopra gl’Italiani». Una volta ricevuto l’assenso del Dicastero dell’interno, il 6 aprile successivo il sindaco Giuseppe Colonna di Stigliano si preoccupa di avvisare il governatore della Provincia di Napoli di aver stanziato dieci ducati dal capitolo delle spese impreviste, «per far in pergamena ed in ottima calligrafia la deliberazione con la quale questo Decurionato votò la Cittadinanza Napolitana al prode Generale Cialdini, nonché per un corrispondente astuccio in pelle onde inviarla all’illustre Generale, per seta moiré ed altri accessori».
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I documenti originali del Decurionato (gentile concessione dell’Archivio di Stato di Napoli):
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“Colpisce la motivazione per Cialdini: vietò ai suoi soldati di festeggiare la vittoria di Gaeta, perché ottenuta comunque su altri italiani e non su nemici e stranieri…” … lo stesso che continuò a bombardare Gaeta ANCHE DOPO LA RESA … siete dei servi… siete gli equivalenti dell’ascaro Sindaco di Napoli Colonna …
Egregio Costa,
ha tutto il diritto di pensarla diversamente non solo da noi ma anche dal decurionato napoletano dell’epoca.
Detto questo, per quanto riguarda l’assedio di Gaeta, La invito a citare le fonti che parlano di bombardamento a oltranza su Gaeta anche dopo la resa.
Se queste fonti sono il consueto Ciano, mi perdoni se le rispondo con una risata.
Se, invece, provengono da storici veri, mi permetto di farle notare che il vecchio diritto bellico regolava anche gli stati d’assedio. E che, ai sensi di quelle norme ora disapplicate, la resa consisteva nella consegna della piazzaforte e nel suo abbandono da parte delle truppe occupanti. Questo per farle capire che non bastava sventolare una bandiera bianca.
Su una cosa non transigo: l’uso antiquato, volgare e razzista del termine “ascaro”. Gli ascari (che in arabo significa soldato) erano i militi delle truppe coloniali, composte da eritrei e somali e poi da libici. Parliamo di soldati eroici, che hanno combattuto a fianco di noi italiani e sono morti assieme a molti dei nostri per difendere la bandiera italiana. Quindi, prima di usare certi termini in un determinato modo consulti un vocabolario e un libro di memorie militari e si sciacqui la bocca.
Noi saremo servi ma non ascari: non ne siamo all’altezza.
Questa volta passi, la prossima volta che insulta agiremo per le vie legali: questo è un giornale e non un social. E lei non ha il diritto di offendere noi e i nostri lettori.
Saluti e a non rileggerla.
Saverio Paletta
Interessante l’articolo per la conoscenza storica di questo episodio di assoluto rilievo e complimenti al Dott. Terzi. Per quanto riguarda la tua risposta allo scomposto commento del Sig. Costa, caro Saverio, la mia stima nei tuoi confronti cresce.
Sono io che la ringrazio, gentile Professore, per il cortese e autorevole commento.
Ringrazio Lorenzo Terzi per questo articolo, che è un esempio di come si scriva la storia quando si hanno onestà intellettuale e competenza archivistica.