I Servizi Segreti europei? Li racconta un ex big del Sisde
Alfredo Mantici fa una comparazione tra le principali Agenzia occidentali e non solo, dal caos Usa ai retaggi del Kgb durante il Master in Intelligence dell’Unical. E l’Italia? Non sta malaccio ma c’è ancora molto da fare. Ma il problema vero è che manca una normativa europea che coordini tutti gli 007
Come stanno Servizi Segreti europei? Alfredo Mantici non lo dice a chiare lettere, ma dal suo ragionamento si capisce che c’è un bel po’ di casino tra gli 007 che operano tra il Portogallo e i Paesi di Visegrad.
È senz’altro una questione di metodi, perché è impensabile che dei Servizi che fino a tempi recenti si facevano una concorrenza spietata (e sotto sotto continuano a farsela) comincino ad agire di punto in bianco in piena concordia e con un’uniformità di vedute quantomeno accettabile.
Ma è soprattutto una questione di norme. Ha spiegato al riguardo Mantici: «La difficoltà di collaborazione tra agenzie di intelligence a livello europeo deriva principalmente dalla mancanza di un comune spazio giuridico perché i Servizi sono regolati in modo diverso nei diversi Stati».
Un problema non proprio da poco, che richiede analisi importanti. E chi meglio di Mantici? Già: oggi Alfredo Mantici è considerato uno dei migliori analisti di intelligence sulla piazza, dopo una lunga carriera di dirigente nel Sisde, il vecchio Servizio di informazione e sicurezza democratica. E in questa veste di esperto, il super 007 è intervenuto al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, dove ha tenuto banco per circa quattro ore.
Che sono bastate a malapena per spiegare tre cose: l’importanza di un concetto univoco di intelligence, lo schema di funzionamento dei Servizi e la loro evoluzione in Italia e nel resto d’Europa e d’Occidente.
Riguardo al primo punto, il prof ha chiarito con una punta di ironia che «prima di tutto è fondamentale definire l’intelligence nella legislazione specifica, altrimenti occorrere fare ricorso alla descrizione di spionaggio presente nel Codice Penale». Il che non sarebbe una bella prospettiva, dato che i due articoli del Codice dedicati all’argomento (il 257 e il 258) si occupano dell’attività in maniera non proprio lusinghiera. Ma non è solo una questione d’immagine, dato che il punto di vista penale è difensivo e quindi non fa emergere l’aspetto positivo dell’intelligence.
Al riguardo, Mantici propone un concetto chiave:
«L’intelligence è la raccolta e l’analisi di informazioni non altrimenti disponibili, utili al processo decisionale dell’esecutivo in materia di sicurezza nazionale. È questo il valore aggiunto dell’intelligence che è distinta dalle attività delle forze di polizia».
Un punto di vista completamente rovesciato, che si compenetra comunque con quello della legislazione penale. Detto altrimenti, è legittimo spiare per difendersi, mentre è deplorevole farsi spiare.
Ciò ovviamente non impedisce (e non deve impedire) la collaborazione tra le agenzie di intelligence. Ma, è il caso di ripetere, si tratta di una collaborazione non poco problematica, perché i Servizi sono diversi e funzionano in maniera diversa.
In astratto, i Servizi segreti sono strutturati in due modi: binario, cioè con la classica divisione tra intelligence interna e intelligence estera, o unitario, in cui le funzioni sono suddivise all’interno di un’unica agenzia.
È il caso dei Servizi spagnoli, che hanno mantenuto la struttura unitaria del vecchio Cesid (Centro Superior de Información de la Defensa) anche in seguito alla riforma del 2002, che ha istituito l’attuale Cni (Centro Nacional de Inteligencia). La particolarità di questo modello sta l’aspetto politico-amministrativo: il direttore generale del Cni ha rango di ministro e i suoi due vice sono assimilati a sottosegretari, sebbene la struttura sia inquadrata nel Ministero dell’Interno. Ciò consente il controllo diretto del primo ministro sull’operato dei Servizi, delle cui informazioni è destinatario. Questo sistema si è affinato durante alcune emergenze importanti, tra cui il contrasto al terrorismo basco, virulento anche dopo il franchismo.
Il modello binario per eccellenza, invece, è quello britannico, con il Secret Intelligence Service (per capirci il mitico MI6 di bondiana memoria), che si occupa di spionaggio estero e dipende dal Foreign Office, e il Security Service, l’MI5, che deve la sua notorietà soprattutto ai telefilm (ricordate Simon Templar, detto Il Santo, oppure Lord Sinclair in Attenti a quei due?) e si occupa di controspionaggio (e, a rigor di logica, di spionaggio interno…).
Il meccanismo di queste due agenzie è regolato da due normative decisamente semplici: il Security Service Act del 1989 (10 articoli) e il Secret Service Act del 1994 (7 articoli). L’elementarità di queste leggi si spiega con il ruolo determinante della politica. Spiega, infatti, Mantici:
«Nel caso del Regno Unito i ministri autorizzano operazioni di qualunque tipo assumendosi pienamente la responsabilità. Perciò l’intelligence opera per funzioni in modo da ottenere notizie sulle intenzioni di chi vuole operare ai danni dello Stato, prevedendo anche delle reazioni alle azioni e alle intenzioni di queste persone. C’è, poi, un Lord Justice che controlla l’attività e la regolarità delle attività dei Servizi e qualora rilevasse illegalità le riferisce al ministro competente e al primo ministro».
Interessante anche il sistema di reclutamento, che avviene in tre modi:
«La selezione nelle Università, la presentazione di domande (che sono valutate in maniera severa), le selezioni del Civil Service, dove le persone vengono individuate dagli operatori del MI5 e MI6 che assistono agli esami».
Sostanzialmente binario anche il sistema israeliano, nonostante vi operino tre agenzie: il mitico Mossad, che opera all’estero, lo Shin Bet, che è il servizio di sicurezza interna, e Aman, che si occupa delle informazioni militari ma fa essenzialmente analisi. Il dualismo è confermato dal punto di vista operativo e, sempre a proposito di dualismi, il sistema israeliano distingue in maniera rigida tra operativi e analisti e amministrativi.
C’è un’altra particolarità: gli 007 israeliani restano a disposizione del Servizio anche quando vanno in pensione o cambiano lavoro.
Due sono i Paesi che hanno abbandonato il modello unitario in favore di quello binario: la Francia e la Russia.
Oltralpe, in seguito alla riforma di Francois Hollande (2014), è sorta la Dgsi (Direction générale de la sécurité intérieure), dotata di funzioni a cavallo tra l’intelligence interna e la polizia giudiziaria vera e propria, che si affianca alla tradizionale Dgse (Direction générale de la sécurité extérieure: al riguardo, è d’obbligo il riferimento cineletterario a Il giorno dello sciacallo…).
Questo sostanziale sdoppiamento ancora non ha (o avrebbe dato) buona prova, visto che non pochi addetti ai lavori, e tra questi Mantici, attribuiscono al non perfetto coordinamento tra i due servizi non poche responsabilità nei recenti attacchi terroristici avvenuti in Francia (Bataclan, Charlie Hebdo e Nizza).
Nella Russia post sovietica il vecchio (e anch’esso mitico) Kgb è stato sostituito da due agenzie: la Fsb, che si occupa della sicurezza interna e la Svr delle faccende estere. C’è da dire, al riguardo, che potrebbe essere cambiato davvero poco rispetto ai tempi della falce e martello, di cui Putin coltiva in parte la memoria e (specialmente) la geopolitica: infatti, a detta degli esperti, il ricambio rispetto ai vecchi – e temuti – Servizi parrebbe sia stato più generazionale che politico e, soprattutto, che il know how sia mutato solo nell’approccio verso le tecnologie…
Il caos non è in Italia ma negli Usa, dove l’alternativa tra unitario e binario non si pone neppure: le agenzie della superpotenza sono 17 e di binario c’è solo la Cia, in cui la suddivisione tra operativi che agiscono all’estero con emolumenti di lusso, e analisti, che invece restano nella sede di Langley per stipendi da fame, è sin troppo rigida. E questo concorre a spiegare tre cose: innanzitutto la scarsa comunicazione tra le agenzie, sin troppo inefficienti a passarsi i dati tra loro, in seconda battuta la militarizzazione della Cia, che si è impegnata più volte in vere e proprie azioni di guerra, infine l’emorragia degli analisti, che come possono se la danno a gambe per lavorare nel privato, dove di sicuro li pagano meglio.
Dulcis in fundo l’Italia, dove la riforma del 2007, che ha istituito l’Aisi e l’Aise e ha messo in secondo piano la distinzione tra militari e civili che persisteva nella riforma del ’77 (da cui nacquero il Sismi e il Sisde), ha risolto, secondo Mantici, un bel po’ di problemi.
In primo luogo, i malfunzionamenti della suddivisione dei compiti (per materie e non per territorio). In secondo luogo, la farraginosità dell’organo di raccordo, il Cesis, che finì per essere diretto dal prefetto incaricato delle mansioni di segreteria. In terza battuta, i criteri di reclutamento (operato solo all’interno delle amministrazioni militari e civili), che non hanno garantito, o almeno non sempre, la meritocrazia, l’efficienza e il lealismo necessari per affrontare le vicende tragiche della storia recente del Paese, arrivato impreparato al ’68 e precipitato nella spirale del terrorismo.
E la situazione attuale? Secondo Mantici si può fare ancora molto, magari imparandolo dagli altri. Ma in fin dei conti non stiamo così male.
Se si pensa che prima di entrare nei Servizi Mantici era medico, possiamo star tranquilli: la diagnosi non è così male.
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