Banche e riciclaggio: denunce insufficienti, solo un quarto dei reati è perseguito
Antonio Uricchio, tributarista ed ex rettore della “Aldo Moro” di Bari lancia l’allarme durante il Master in Intelligence dell’Unical: dopo trent’anni il sistema di prevenzione è inadeguato. Occorrono cambiamenti urgenti
Prima o poi tutti, anche i più furbi, incappano in qualche guaio e, quando pagano, pagano una volta per tutte.
Ma il problema, quando si parla di riciclaggio, è la tempistica: i reati finanziari vengono repressi sempre tardi. E la prevenzione? Forse la forma più efficace è l’intelligence.
E se lo dice uno come Antonio Uricchio, tocca crederci.
Classe ’61, ex rettore della Aldo Moro di Bari e presidente dell’Anvur (Agenzia nazionale del sistema di valutazione del sistema universitario e della ricerca) Uricchio ha una competenza a dir poco specifica che la dice lunga: è un tributarista.
Perciò le sue dichiarazioni pesano come macigni: «L’intelligence economica è tuttavia poco efficace, perché le segnalazioni di presunti casi di riciclaggio sono davvero poche: circa 80mila all’anno su una popolazione, la nostra di 60 milioni di abitanti».
Ma non è solo un problema legato alla quantità delle segnalazioni: «Di queste informazioni è utilizzato solo l’uno per cento e solo un quarto dei reati di riciclaggio è individuato attraverso queste segnalazioni».
Insomma: si segnala poco e di quel poco se ne usa ancor meno e solo una piccola parte delle informazioni utilizzate è efficace.
E c’è di più (e di peggio) secondo il professore pugliese: «L’obbligo della segnalazione viene previsto per legge in capo a chi partecipa alle stesse operazioni, come professionisti e banche».
Il che, tradotto in soldini, è come chiedere all’oste se il suo vino è buono. Infatti, ha proseguito il prof, «la qualità delle informazioni è scadente perché chi deve segnalare mette in rilievo spesso dati inutili e non fa emergere dati utili, fornisce informazioni incomplete, superate e frammentarie. Inoltre queste informazioni restano spesso circoscritte nell’ambito finanziario e non sono invece utilizzate in modo più pieno». Se le cose stanno così, non c’è da meravigliarsi se «dopo trent’anni dobbiamo constatare che questo sistema funziona poco».
Doveva essere una lezione, invece è una denuncia: queste dichiarazioni, Uricchio le ha rese durante la sua recente lezione al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, cioè in una sede accademica e didattica.
Nella quale, c’è da aggiungere, l’ex rettore ha proposto una serie di rimedi basati su un uso più efficace dell’intelligence, intesa sia come disciplina (e metodo operativo) sia come soggetti: «Occorrerebbe creare dei sensori estranei alle parti che compiono operazioni a rischio di riciclaggio». A questo scopo «può essere utile un’allerta preventiva che l’attività di intelligence può validamente assicurare, valorizzando anche la straordinaria possibilità predittiva dei big data». Gli 007 ideali di questa nuova intelligence finanziaria sarebbero i data scientist, figure dotate di una grande padronanza delle tecniche cognitive e capaci perciò di mettere in discussione i rigidi steccati tra i saperi.
Tuttavia, questa sproporzione tra le informazioni potenzialmente disponibili e il loro effettivo utilizzo (e la loro efficacia) non riguarda solo i reati finanziari, che sono la punta d’iceberg di un fenomeno di portata più globale. Anzi cosmica.
«In orbita attorno alla terra vi siano attualmente circa 50 mila satelliti che acquisiscono informazioni, la maggior parte delle quali non vengono utilizzate», ha puntualizzato al riguardo Uricchio. Anche su questo punto, i dati sciorinati dal professore sono impressionanti: «Esistono tre tipologie di satelliti: pubblici, spesso di uso militare; privati, limitati solo a specifiche attività; illeciti o che battono bandiera ombra, che non vengono dichiarati per diverse motivazioni». Un caos creato dall’accumulazione di materiale orbitante iniziata durante la Guerra Fredda e che rischia di degenerare nell’anarchia più pura, tranne per un freno: il programma Sentinel 1, che controlla la regolarità delle procedure dei satelliti e delle aziende che li producono e immettono in orbita.
Al momento lo spazio extraterrestre è, al pari del cyberspazio, in buona parte una terra di nessuno. Una torta enorme e appetitosa per molti. Quindi un oggetto di contese geopolitiche imprevedibili, da cui, secondo l’ex rettore di Bari, potrebbe scaturire in un futuro non proprio lontano, una vera e propria guerra satellitare.
Ma la disponibilità di enormi masse di dati (ai quali la definizione big data prima o poi rischia di andar stretta) è aumentata in maniera esponenziale grazie alla rete e all’intelligenza artificiale.
A differenza del petrolio, che è comunque una risorsa scarsa e allocata in poche aree, le informazioni sono una risorsa diffusissima. L’unico aspetto raro è la capacità di utilizzarle. E non è un caso che l’intelligence si sia praticamente spostata dal suo originario ambito economico verso gli altri settori della vita civile.
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