Scuola, concorso Dsga: la beffa del Miur
Alla fine il concorso riservato per i “facenti funzioni” si svolgerà lo stesso, a dispetto dei dubbi del ministero della Funzione pubblica e delle proteste dei candidati al concorso ufficiale. Il sindacato ha la meglio e Fioramonti si scioglie…
Alla fine si è tutto risolto nello sfogo dei candidati, che è tracimato a tratti sulla bacheca del ministro Fioramonti ed è stato accolto da Il Mattino di Napoli nella forma di una lettera aperta (leggi qui).
Ma non c’è stato nulla da fare: il concorso riservato ai Dsga facenti funzioni, si farà lo stesso.
Ma la decisione del Miur, e quindi del governo, che ha letteralmente calato le brache di fronte ai diktat dei sindacati, avrebbe meritato più di un approfondimento della stampa mainstream, soprattutto per via del piccolo colpo di scena che ha preceduto l’approvazione di questo concorso: ci si riferisce al bisticcio tra il Miur e il Ministero della Funzione pubblica, presieduto dalla grillina Fabiana Dadone.
Di questo breve braccio di ferro è filtrato davvero poco e questo poco è filtrato quasi esclusivamente da fonti sindacali (leggi qui).
I vertici della Funzione pubblica avevano sollevato due rilievi non secondari nei confronti del concorso riservato ai facenti funzioni, uno sostanziale e uno più formale, ma certamente non meno forte.
A livello sostanziale, si era giustamente rilevato che il bando non prevedeva il requisito della laurea.
Questo il nocciolo duro di tutta la vicenda: mentre oltre 6.000 candidati muniti delle lauree in Giurisprudenza, Economia, Scienze amministrative e Scienze politiche si preparano ad affrontare le prove scritte del concorso ufficiale per Dsga, previste nella prima settimana di novembre, si prepara un’altra infornata di Dsga, i facenti funzioni, saranno assorbiti nelle amministrazioni scolastiche sulla base di un solo requisito: aver svolto il ruolo dirigenziale per tre anni, anche se non in possesso dei titoli richiesti dalla legge e dal bando ufficiale di concorso.
A livello formale, i dirigenti della Funzione pubblica avevano fatto notare che il concorso per facenti funzioni era privo dei requisiti della straordinarietà e urgenza che, ai sensi dell’articolo 77 della Costituzione, ne poteva motivare l’inserimento all’interno del decreto per le scuole.
Infatti, dov’è l’urgenza di coprire i 3.500 posti di Dsga privi di titolare, se le funzioni saranno comunque assicurate per l’anno in corso dai facenti funzioni?
E cosa c’è di straordinario e urgente nell’assicurare in via definitiva ai facenti funzioni privi di laurea le stesse mansioni dirigenziali (per capirci, da categoria D) per ottenere le quali oltre 6.000 candidati con laurea stanno affrontando un concorso impegnativo, che prevede prove scritte teoriche in dieci materie più prove pratiche?
Questi rilievi, emersi il 10 ottobre, sono finiti in nulla, perché nelle ventiquattro ore successive, il concorso riservato è stato comunque approvato a dispetto dell’indignazione dei candidati al concorso ufficiale.
Eppure da questi rilievi si capisce che ce ne sarebbe abbastanza per far demolire il decreto dalla magistratura amministrativa o dalla Consulta, se solo esistesse la possibilità di ricorrervi.
Già: la furbata che ha reso possibile l’accordo tra Miur e sindacati sta tutta nella tempistica. Inserire il concorso per facenti funzioni in un decreto che ha vigore da subito, significa quasi azzerare la possibilità di ricorrere, perché gli interessati, cioè i candidati al concorso ufficiale, non avrebbero al momento un ruolo giuridico.
Non avrebbero diritti, se non quelli di partecipare al concorso che li riguarda, né interessi legittimi, se non quelli di assicurarsi che il loro concorso si svolga in piena legalità e correttezza.
I problemi potrebbero sorgere dopo: quando, a concorsi finiti, il Ministero si troverà a gestire due graduatorie per coprire i 3.500 posti. Quella del concorso ufficiale, che dovrebbe assicurare la copertura di 2.004 posti più la riserva del venti per cento riservata agli idonei non vincitori, e quella del concorso riservato, che in teoria dovrebbe coprire tutto il resto.
Ma il problema non è (solo) pratico.
È soprattutto di giustizia.
Da un lato, infatti, ci sono le esigenze legittime di chi partecipa a un concorso in cui si richiede la laurea (magistrale o da vecchio ordinamento) non per snobismo, ma perché la legge e i contratti collettivi ribadiscono da sempre che per fare il Dsga occorrono titoli accademici.
Dall’altro lato, ci sono le istanze dei facenti funzioni, che hanno coperto questo ruolo delicato solo perché lo Stato si è ben guardato a lungo di bandire un concorso. C’è chi li ha definiti precari, ma non sono tali: provengono tutti dai ranghi inferiori dell’amministrazione scolastica e molti di loro non hanno la laurea magistrale, perché non è richiesta per le loro mansioni.
Ma molti di loro sostengono comunque che le loro competenze sul campo valgono una laurea o più.
Il solito adagio italiano (la cui applicazione ossessiva ha rovinato il Paese) per cui la pratica batte la grammatica.
Ma siamo sicuri che questo detto possa valere nella nostra società complessa, in cui la pratica (in questo caso l’espletamento di funzioni dirigenziali delicatissime che comprendono anche mansioni di tipo notarile) è grammatica applicata?
Evidentemente, questo aspetto poco interessa ai decisori e ai sindacalisti, perché per loro il problema è politico: i facenti funzioni sono sindacalizzati perché un lavoro ce l’hanno già e, soprattutto, sono voti che pesano, perché grazie al sindacato hanno una voce unitaria, che è diventata grossa e minacciosa. E forse non ha torto chi afferma che è bastata la minaccia di aderire allo sciopero generale paventato dai sindacati perché il governo gialloverde trattasse e quello giallorosso subisse.
Non ha torto neppure il sindacalista che ha definito entità virtuale i candidati al concorso ufficiale: i 50.000 diventati poco più di 6.000 in seguito alle preselezioni dello scorso giugno sono concorrenti, cioè persone in competizione tra loro e prive di chi li rappresenta.
Sono senz’altro di più, ma non hanno voce. Possono essere voti da contare, ma non pesano quasi. Questa disparità di tutele ha reso possibile una violazione della Costituzione e una elusione delle normative altrimenti inimmaginabile: l’indizione di un concorso riservato (che è praticamente un concorso interno sotto mentite spoglie) mentre è in corso il bando ufficiale aperto a tutti, anche ai facenti funzioni privi delle lauree richieste dalla normativa.
La prepotenza di una minoranza rumorosa e organizzata ha avuto la meglio. E, a rivedere i punti salienti di questa vicenda, torna alla mente un passaggio meraviglioso de La fattoria degli animali: «Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri».
Ma non è del tutto così: alcuni sono bestie da macello, su cui lucra alla grande il business della preparazione ai concorsi e delle case editrici che sfornano manuali e codici come se non ci fosse un domani.
Gli altri, invece, già pasciuti dallo Stato, vanno al pascolo come se nulla fosse.
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