La piccola Greta e l’Apocalisse prossima ventura…
La ragazzina svedese è diventata l’icona di un nuovo millenarismo, quello ambientalista, che appassiona e divide. Mentre la comunità scientifica si interroga sulla portata del riscaldamento globale e sui suoi veri pericoli, in rete e sui media impazza un dibattito acceso, in cui il buonsenso sembra soccombere
Diciamolo subito: Greta non è il problema.
È solo l’icona di un dibattito che non è partito da lei e non terminerà con lei.
È il simbolo della paranoia, allo stesso tempo rituale e collettiva, che aggredisce ciclicamente le nostre civiltà.
In uno ieri remoto era il castigo di Dio, oggi è l’ambiente.
Ieri, i profeti di sventura assumevano le sembianze di quei predicatori folli e scarmigliati che pullulavano nell’Alto medioevo in cui la Chiesa ancora non era riuscita a disciplinare il Cristianesimo. Mille e non più mille, si diceva. Ma il caos dei calendari impedì quasi a tutti di celebrare l’anno Mille nello stesso momento e quell’Apocalissi annunciata da almeno due secoli si sciolse in tante piccole attese paranoiche.
Oggi questo profetismo assume le vesti candide e stralunate di una ragazzina che punta il dito con aggressività e candore contro i potenti. E il parallelo non finisce qui, perché c’è una nuova Religione, la tecnologia 2.0, in attesa di una Chiesa che la disciplini.
In questo caos può capitare benissimo che una adolescente riesca a diventare dirompente a partire da un Paese del civile Nord Europa, a cui non si può imputare praticamente niente in termini di inquinamento o mancato rispetto per l’ambiente.
Il tutto, grazie all’impatto determinante dei media, che hanno amplificato a dismisura il messaggio della ragazza e grazie ai quali l’immagine di Greta ha preso il posto della Greta reale. Già: proprio come fecero a loro tempo le icone con i santi che raffiguravano. Immagini che “divoravano” i soggetti ritratti per rappresentarne solo la santità.
Ma la TecnoReligione 2.0 non ammette santità, sebbene non pochi scienziati contemporanei abbiano i tratti nobili e il parlare alto e disincantato degli asceti.
Ammette solo ragionamenti e dimostrazioni, che gli iconografi moderni – i quali oggi hanno trasfigurato Greta e domani faranno altrettanto con altri – seppelliscono invece in un mare di emotività.
Proprio così: le icone, come tutti i simboli, sono divisive. Nel caso di Greta, tra chi si identifica con i messaggi ipersemplicistici della ragazzina e chi li rifiuta tout court.
Di qua, con lei, gli Apocalittici e i Nuovi Millenaristi, a cui si sono agganciati gli Ambientalisti, che poi sono i credenti di una delle Religioni Secolari nate a cavallo tra i due millenni.
Di là, ma non necessariamente contro di lei (sebbene le icone generino anche moltissime antipatie, che sono la versione postmoderna dell’iconoclastia antica), gli Scettici, gli Agnostici o i Fedeli del Verbo Progressista che si è dimostrato capace, nella sua versione tecnocratica, di passare da sinistra a destra – e viceversa – con una rapidità e una facilità incredibili.
Ma è impossibile trasformare un dibattito scientifico in immagini e simboli che non siano quelli delle formule e dei modelli matematici. Ed ecco, perciò, che tra le opposte tifoserie scompare il ragionamento delle due fazioni scientifiche impegnate a discutere del riscaldamento globale.
La parte maggioritaria non ha quasi dubbi: l’inquinamento, cresciuto a livelli vertiginosi a partire dalla seconda metà del XX secolo, è causa del riscaldamento globale.
La minoranza, che ha trovato voce nei cinquecento scienziati, non sostiene proprio l’opposto. Ma dice “altro”. Sostiene che, sì, esiste un riscaldamento globale ed esiste un forte inquinamento, tuttavia non c’è alcuna prova che tra inquinamento e riscaldamento ci sia un nesso o un nesso solo. E, infatti, qualcuno di questi scienziati, come l’italiano Zichichi, arriva a sostenere che le attività antropiche pesino solo il 5% nel riscaldamento globale.
Ma nessuno nega due cose: che il riscaldamento ci sia e che l’inquinamento è comunque arrivato a livelli di guardia.
Come si vede, è una posizione piuttosto articolata per cui è riduttivo parlare, come sta avvenendo in rete, di “negazionismo”.
Ma il punto vero è un altro: l’incomunicabilità della scienza, che in parte è dovuta a difficoltà oggettive (come spiegare una tesi, tra l’altro non certa, ai tantissimi digiuni di adeguato background?) e in parte a una divulgazione spesso non all’altezza.
Nelle tifoserie e nei fideismo non muore solo il ragionamento. Muore il buonsenso.
È buonsenso, ad esempio, capire che l’inquinamento va contenuto a prescindere dagli esiti apocalittici paventati – se a ragione o a torto non sta a noi dirlo – dai sostenitori del riscaldamento globale.
Perché magari non è vero che l’anidride carbonica prodotta dall’uomo è la causa dell’Apocalisse prossima ventura, ma è sicuro, come rivelano le statistiche, che ci uccide comunque nella quotidianità.
Perché magari non è vero che il riscaldamento globale sia (solo) colpa dell’uomo, ma è pur vero che di questo dato dobbiamo tenere conto per prevenire i disastri che sicuramente ne deriveranno.
Inoltre, sfugge l’aspetto politico della vicenda: il vero “bersaglio” dell’allarme, di cui la piccola Greta è icona, non è lo “sporco Occidente”. Perché buona parte di quest’Occidente non è più così sporca, visto che in Europa da tempo sono state avviate politiche di basso impatto ambientale. Sono i Paesi, dentro e fuori l’Occidente, più difficili da “evangelizzare”, vuoi perché la loro democrazia si è sclerotizzata (Usa), oppure perché privi di democrazia (Cina) o, infine, perché i loro meccanismi del consenso e dell’opinione pubblica sono non poco distorti rispetto ai nostri standard (India e Brasile).
E questo complica la partita di non poco, visto che difficilmente si può chiedere di deindustrializzarsi a chi ha imboccato da poco e con costi umani gravi la via dello sviluppo o a chi cerca di contrastare la crisi puntando sull’industrializzazione a oltranza.
Eppure è in queste contese – per la verità, per la pace e per la giustizia – che si gioca la partita del futuro. E per risolverle le icone non bastano.
Saverio Paletta
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Ha ragione Michele Serra a mettere in guardia, su La Repubblica ieri, contro l’allarmismo sui fenomeni climatici. Ha ragione a scrivere che si sbaglia ad annunciare la Siberia se cade un fiocco di neve, la desertificazione se non piove da due giorni, la glaciazione se l’inverno tocca il sottozero, la morte per disidratazione di nonni e neonati se il termometro tocca il sottozero. Perché è vero che l’anidride carbonica cresce, le temperature salgono, i deserti avanzano, le foreste rimpiccioliscono, i mari si alzano e le specie si estinguono. Ed è vero anche che gli Stati (e tutti noi) dovremmo fare molto di più contro il riscaldamento globale. Ma va criticato anche l’allarmismo che dà per imminenti catastrofi che sono di là da venire perché anche quando si parla del clima bisogno tenere conto della naturale tendenza al catastrofismo dell’uomo che sopravvaluta le guerre in corso nel mondo, i fenomeni migratori, la povertà, la criminalità, gli effetti negativi dell’innovazione tecnologica, ecc. ecc. Probabilmente la soluzione sta nel cercare un giusto bilanciamento tra la preoccupazione per gli innegabili effetti negativi del riscaldamento globale e la convinzione che le catastrofi sono meno imminenti di quanto si pensa.