Greta Thunberg, una storia che non funziona
Se la vicenda della giovanissima ambientalista svedese fosse la trama di un film, il pubblico sbadiglierebbe a metà pellicola. In realtà è l’ennesima strumentalizzazione dei giovani e delle loro presunte capacità rivoluzionarie
Volete capire davvero il fenomeno Greta Thunberg? Bene. Uscite dalle cronache e immaginate che si tratti di una sceneggiatura. Per un film, più che per una fiction (una fiction di questo genere non può durare a lungo e si affloscia da sé).
Cominciamo dalla trama. L’antefatto è che i potenti della Terra si erano un po’ distratti e non si rendevano ben conto che le loro grandiose idee di sviluppo infinito comportano enormi danni ambientali. Nell’immediato e soprattutto in futuro. Non solo riguardo al riscaldamento globale ma in innumerevoli altri ambiti.
Perciò – a partire dagli esimi statisti alla Merkel fino all’ultimo sottosegretario dei governucci locali – proseguivano imperterriti per la loro strada e se ne infischiavano di qualsiasi voce contraria. Salvo allestire, di tanto in tanto, qualche maxi convegno planetario tipo la Cop21 di fine 2015. I cui «elementi chiave», ci spiega il sito ufficiale della Commissione Europea, consistono nel costruire «un ponte tra le politiche odierne e la neutralità rispetto al clima entro la fine del secolo».
Su questo sfondo così benintenzionato, ma ahinoi inconcludente, ecco irrompere la nostra eroina. Una giovinetta svedese (sempre molto evolute e progressiste, le socialdemocrazie scandinave) che spunta dal nulla e tutto a un tratto risveglia l’attenzione del mondo intero. Come? Piazzandosi assiduamente davanti al Parlamento di Stoccolma e inalberando il cartello/slogan: Skolstrejk för klimatet (Sciopero della scuola per il clima).
Di fronte a tanta determinazione, e a un messaggio così incisivo e rivelatore, ecco verificarsi l’Imprevedibile. La protesta della bionda scolaretta suscita l’attenzione generale. Degli utenti Internet, alias il Popolo della Rete. Dei media grandi e piccoli, mainstream o fai-da-te. Dei succitati potenti della Terra, con qualche rara eccezione tipo il solito, perfido Trump.
Big Surprise!
Chi più, chi meno, tutti si risvegliano dal loro colpevole torpore e promettono che cambieranno. Ci ripenseranno. Si emenderanno. Oh, sì. Adesso sì. Adesso che a scuoterli e a illuminarli è arrivata la stramba ma perentoria ragazzina.
Domanda: vi sembrerebbe un intreccio credibile, per un film?
A noi non tanto. Anzi: proprio per niente.
Torniamo alla realtà, allora: Greta Thunberg, al di là delle sue intenzioni e della sua (in)consapevolezza, è l’ennesimo specchietto per le allodole. L’ennesima messinscena sui giovani che con i loro sogni e il loro dinamismo risaneranno il Pianeta, sia pure senza abbatterne le strutture portanti. A cominciare da quelle economiche.
È la stessa favoletta che è stata usata in tanti altri casi. E che ha nello sfruttamento/stravolgimento della musica rock – della cultura rock – uno dei suoi esempi più nitidi e inequivocabili.
Che meraviglia, le fresche e prorompenti intuizioni dei teenager e giù di là. Quanto è interessante ascoltarle da loro stessi, e a favore di telecamera, in modo che la loro innocenza si mescoli alla colpevolezza degli adulti e la stemperi, la addolcisca, la riscatti.
In attesa di riassorbirli totalmente nel sistema come lavoratori, come imbonitori, come consumatori.
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