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Giornata della memoria, dibattiti trash in Consiglio regionale

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Dopo le polemiche estive sulla “Giornata della memoria” approvata dai consigli regionali di Puglia e Basilicata e dedicata alle vittime del Risorgimento, è il caso di approfondire i dibattiti con cui le due assemblee hanno licenziato la mozione “revisionista”. Dai verbali emerge un profilo culturale non lusinghiero dei consiglieri e, nel caso pugliese, un sistema trasversale e “cesaristico” tutto da approfondire

Il problema non è discutere della giornata della memoria, l’ennesima, approvata finora dai Consigli regionali di Basilicata e Puglia e dedicata alle vittime del Risorgimento. Nel merito ci sarebbe molto da dire. Ma è compito degli storici.

Il problema, semmai, è riflettere sul modo in cui queste assise hanno approvato la mozione: quasi senza dibattito e nell’inerzia delle forze politiche. Anzi, un po’ di dibattito c’è stato, ma con risultati desolanti.

Piatta in Puglia, dove l’argomentazione della grillina Antonella Laricchia, è caduta in un terreno sin troppo fertile, la discussione è risultata vivace in Basilicata, dove non sono mancati gustosissimi sconfinamenti nel trash.

È il caso di approfondirli. Di sicuro per ridere, ma anche e soprattutto per capire a che punto si sia abbassata, soprattutto a livello locale, la qualità delle classi dirigenti.

Non che essere colti serva a far politica, ci mancherebbe. Però un minimo di cultura quando si discute di argomenti culturali non guasta.

Procediamo. Il 28 febbraio l’assise lucana è teatro di una seduta curiosa, in cui la mozione presentata dal pentastellato Giovanni Perrino non è passata, a dispetto del voto unanime, per mancanza del numero legale. Ciononostante, è utile seguire un po’ il dibattito per rendersi conto di alcune cose.

Innanzitutto, la mozione è un copia e incolla di quella presentata dalla Laricchia in Puglia. Ciò dà l’idea di un vero e proprio meccanismo ad orologeria, grazie a cui i grillini, senza nessun senso critico, hanno ripetuto la pappardella, senza tener conto delle specificità ambientali. Dunque, anche per i lucani, come per i pugliesi, «l’Unità d’Italia costò la vita di almeno 20mila meridionali, sebbene autorevoli storici annoverano finanche 100mila vittime». Inoltre, Perrino come già la Laricchia prende per buono l’errore relativo alla tragedia di Pontelandolfo e Casalduni, che i neoborbonici hanno trasformato in un falso storico.

Fin qui nulla di strano, sotto il profilo politico: i grillini difendono con coerenza la loro prima battaglia culturale. Certo che è quantomeno curioso che in un ambiente come quello del Movimento 5 Stelle, coagulatosi attorno a una massiccia opera di controcultura e controinformazione, a nessuno sia venuto in mente di saperne di più sugli autori di certe tesi e su chi le diffonde.

Il problema non sono solo i grillini: anche Aurelio Pace del gruppo misto riesce a infilare una serie di perle: «Dovremmo riscrivere una buona parte dei libri di storia che ci sono stati offerti, alla lettura che pone pure un’esigenza unitaria, che noi ribadiamo, che sottolineiamo, credo che sia addirittura antistorico immaginare che quell’unità noi la rivendichiamo tutti, ma certo pagine come quelle che ha indicato il consigliere Perrino, pure le pagine di Fenestrelle dove i deportati del Mezzogiorno d’Italia sono stati fatti morire di freddo all’interno di una partita molto più ampia, merita un dibattito storiografico».

Al netto dell’italiano, decisamente zoppicante, Pace ha fatto capire che è sostanzialmente d’accordo. E lo ha ribadito citando Sud, un volume di Marcello Veneziani, un altro giornalista pugliese.

Peccato solo che non lo abbia sfiorato neppure di striscio il dubbio che Veneziani, che a differenza di Aprile è un signor giornalista e un fine intellettuale, non sia uno storico professionista.

L’apice è raggiunto da Luigi Bradascio che, pur essendo del Pd, siede in consiglio come esponente di una lista autonoma. Bradascio ha rivendicato di essere borbonizzante avant la lettre, e di aver fatto rimuovere l’intestazione di una piazza di Montalbano Jonico al generale Cialdini, definito al solito «criminale di guerra», e di averla reintestata a Giuseppe Bosetti, un soldato dell’esercito borbonico morto a Fenestrelle.

Con questo popò di premessa, l’esito è scontato. Nella successiva seduta del 7 marzo, la mozione è approvata. Non senza altre perle.

In questo caso ha dato il meglio di sé Perrino, che ha citato uno stralcio del diario di José Borjés, il militare spagnolo inviato dai Borbone per politicizzare e militarizzare il brigantaggio. Perrino, più volte ha pronunciato il nome dell’ufficiale spagnolo alla francese e, richiamato sul punto dal presidente del consiglio, Francesco Mollica dell’Udc, ha cercato di giustificarsi.

Un dettaglio trash: anche lo stenografo ha preso la sua brava stecca: anziché Borjes ha trascritto Borghes. Costoro, evidentemente, non vogliono solo riscrivere la storia, ma anche la sintassi.

Non finisce qui: dopo aver promesso ai colleghi consiglieri una copia del diario dell’ufficiale carlista, purché glielo rimborsino, Perrino si è lanciato in una flippica in cui ha paragonato il presunto genocidio risorgimentale ai processi costitutivi dell’Unione Europea. Solo il richiamo del presidente Mollica («Queste considerazioni sarebbero un buon motivo per non votare la mozione») ha salvato quel che resta della dignità culturale del Consiglio lucano. Dopo l’ennesimo volo pindarico di Pace («Non ho la vertigine di essere uno storico», ha ripetuto più volte: che sia caduto dal seggiolone durante la prima infanzia?), la mozione è passata con la sola astensione di Mollica. Il resto è cronaca: il Pd, attraverso Vito Santarsiero, ha deciso di fare marcia indietro e di approvare una contromozione che annulli quella di Perrino.

Giusto due parole sul Consiglio regionale pugliese, che ha approvato la mozione il 4 luglio. In questo caso, il trasversalismo è stato più forte. Con la sola, vistosissima eccezione del consigliere di maggioranza Liviano D’Arcangelo, che ha votato contro con una motivazione progressista e umanitaria: «Mi dispiace, ma non ce la faccio. Faccio proprio fatica a dividere le persone in meridionali e settentrionali, in italiani e stranieri. Io mi sento parte di un genere, che è quello dell’umanità».

Il resto è tutta prosa. Alla Laricchia, che per avallare la sua mozione, si è richiamata ai testi di Pino Aprile, il presidente Michele Emiliano ha risposto: «Il governo non ha nulla in contrario. Com’è noto, Pino Aprile è uno dei consiglieri del Presidente. Abbiamo anche tutta l’attrezzatura pronta per organizzare al meglio una giornata come questa».

La Puglia è più grande della Basilicata, ma l’ambiente politico che ha preparato e approvato la mozione è decisamente più ristretto e trasversale. Certo è che suona curioso il fatto che una forza antisistema come M5S si richiami all’autorità di uno scrittore che, allo stesso tempo, è consulente del presidente della Regione.

Ma non è il solo dato particolare. Aprile, infatti, è schierato in prima linea in numerose campagne, sposate in pieno dalla giunta Emiliano, a partire da quella sulla Xylella. Il che fa pensare che nella Regione più orientale d’Italia ci sia un vero e proprio sistema cesaristico, gestito con pugno di ferro dall’ex sindaco di Bari.

Ritorneremo su questo ed altri punti.

Una battuta, giusto per concludere: se la qualità delle assemblee regionali, specie al Sud, è questa, è chiaro che può passare di tutto. Oggi è toccato al revisionismo neoborbonico, domani chissà… 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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