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La piccola Giuseppina e il passato che non passa

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Mentre il Senato si appresta a dibattere il ddl Fiano, che inasprisce le pene per l’apologia del fascismo, esplode la polemica sulla commemorazione di Giuseppina Ghersi, una 13enne sequestrata e uccisa da un gruppo di partigiani il 25 aprile, a guerra appena finita. Il sospetto di strumentalizzazione è forte e legittimo. E a sinistra c’è chi ha perso la testa, come un dirigente dell’Anpi, che ha rilasciato dichiarazioni a dir poco sopra le righe. Evidentemente, c’è chi è nostalgico della censura e della repressione a senso unico

Non vogliamo sminuire la portata di una tragedia, che c’è stata ed è grave, criticandone la strumentalizzazione, che pure è stata fatta.

Né vogliamo, al contrario, cadere nel giustificazionismo, coprendo sotto il manto dei valori della resistenza, che non sono pochi e sono importanti, infamie che ancora gridano vendetta.

A rileggerla a mente fredda, la recente riesumazione della drammatica fine di Giuseppina Ghersi, la tredicenne di Noli barbaramente trucidata da alcuni partigiani, ha tutta l’aria di una strumentalizzazione.

E capire perché sia così non è difficile: questa storia, si apprende da vari siti internet (e da uno in particolare, dedicato alla piccola) si conosceva da anni. Precisamente, dal 29 aprile 1949, quando suo padre, Giovanni Ghersi presentò un esposto di sei pagine alla Procura di Savona, in cui raccontò la tragedia familiare capitatagli cinque anni prima, a partire dal 25 aprile, cioè a guerra finita.

Il primo a scoprire il cadavere della piccola, sequestrata perché – così tramandano gli atti – aveva ricevuto un elogio dallo staff del Duce dopo aver ricevuto un riconoscimento per un tema, fu Stelvio Murialdo, che qualche anno dopo avrebbe fondato un’associazione, I ragazzi del Manfrei, per ricordare questo ed altri avvenimenti.

Ma solo ora questa storia, più volte rilanciata, è deflagrata a livello nazionale. Perché? E, soprattutto, in cosa consiste la strumentalizzazione?

Tutto è partito dalla proposta di Enrico Pollero, consigliere nolino di centrodestra e figlio di partigiano di dedicare una targa commemorativa alla piccola Giuseppina. L’idea è stata approvata dal sindaco Giuseppe Niccoli, anche lui di centrodestra.

Nel sostenere la sua idea, Pollero è stato piuttosto equilibrato: «Non voglio commemorare chi ha combattuto dalla parte sbagliata, ma le vittime». Giusto.

E poi: «Penso che dedicare una targa a Giuseppina potrebbe essere un segno di pacificazione». Giustissimo.

A scavare un po’ più, si scopre che Pollero il 19 agosto 2016 aveva aderito a Forza Nuova. La cosa, per quanto legittima, si commenta da sé. Certo non può bastare l’adesione a un partito di destra radicale, che tuttavia ha richiami forti all’immaginario neofascista, per far parlare di strumentalizzazione.

Ma non può passare inosservato il fatto che la richiesta di Pollero sia emersa sulla stampa negli stessi giorni in cui infuria il dibattito sul ddl Fiano, appena approvato dalla Camera, che, se convertito in legge, inasprirà le sanzioni nei confronti dell’apologia del fascismo.

La coincidenza, insomma, coincide un po’ troppo.

Logico che da Noli, a questo punto, si sia scatenato un parapiglia, in cui ciascuno ha detto la sua e qualcuno ha sparlato un po’ troppo.

È il caso, ad esempio, di Samuele Rago, presidente provinciale savonese dell’Anpi, la principale associazione di ex partigiani: «Siamo assolutamente contrari. Giuseppina Ghersi era una fascista. Protesteremo con il Comune di Noli e la prefettura». Di più: «La pietà per una giovane vita violata e stroncata non allontana la sua responsabilità per la scelta di schierarsi e operare con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti. Se qualcuno vuole fare qualcosa per la sua memoria dovrebbe vigilare per impedire che il fascismo risollevi la testa». Ma peggio della dichiarazione di Rago è la pezza d’appoggio: «Eravamo alla fine della guerra, è ovvio che ci fossero condizioni che oggi possono sembrare incomprensibili». Quello che potrebbe dire, a parti invertite, qualche reduce di Salò o qualche ex ss a cui si rinfacciano atrocità.

È un’esagerazione definire infame questa dichiarazione di Rago?

Per fortuna il tempo è passato e certe esternazioni non bucano più come una volta, quando, per capirci, uccidere un fascista non era reato e la brutta dichiarazione di Rago non ha avuto troppo seguito.

Non l’ha avuto, ad esempio, nei vertici dell’Anpi, che condanna tutti «gli atti di vendetta e violenza perpetrati all’indomani della Liberazione. E lo fa anche oggi rispetto alla vicenda terribile e ingiustificabile dello stupro e dell’assassinio».

Sullo stesso filo Bruno Spagnoletti, dirigente della Cgil in pensione: «Non riesco a capire come si possa giustificare l’esecuzione di una bambina di 13 anni».

A riprova della natura complessa e composita della resistenza, arriva anche la dichiarazione dell’Associazione nazionale partigiani cristiani, che rigetta «l’ostilità a una iniziativa, come quella del Comune di Noli, che si limita a rendere la dovuta memoria a una vittima innocente degli eccessi della guerra di Liberazione».

Fin qui la polemica, che ribadisce come il clima scatenato dal ddl Fiano, che ha trovato finora reazioni piuttosto gelide nell’opinione pubblica non faccia bene al Paese.

Che senso ha riportare in Parlamento un problema, quello del fascismo, che dovrebbe essere, a 70 anni dalla sua fine pertinenza assoluta degli storici?

Lo sdoganamento definitivo delle atrocità della resistenza risale a 15 anni fa. Lo ha iniziato Giampaolo Pansa, che con le sue opere ha inserito nel senso comune, una visione meno oleografica dell’immediato dopoguerra e lo ha proseguito la stampa ufficiale.

Oggi sembra che il dibattito sia tornato indietro e che ai necrofili, che riesumano tragedie per riattizzare antiche contrapposizioni, si contrappongano i necrofagi, per i quali il sangue versato sembra non essere abbastanza. Non è il caso di chiamarsi fuori da questo dualismo barbaro, una volta per tutte? Certo è che una normativa che castiga l’intolleranza e il razzismo solo in una direzione non è l’ideale.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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